Ordinanza n. 374/2001

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ORDINANZA N.374

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 459, 464 e 565 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1999 dal Pretore di Patti – sezione distaccata di S. Agata di Militello nel procedimento penale a carico di R. A. N., iscritta al n. 46 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2001 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che con ordinanza del 6 febbraio 1999, emessa in un giudizio conseguente a opposizione a decreto penale, il Pretore di Patti – sezione distaccata di S. Agata di Militello ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 459 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la nullità della richiesta di decreto penale di condanna, se non preceduta dall’invito a comparire per rendere interrogatorio a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., nonchè degli artt. 565 e 464 cod. proc. pen., in "combinato disposto" tra loro, nella parte in cui non prevedono la nullità del decreto che dispone il giudizio a seguito di opposizione al decreto penale di condanna se non preceduto dal citato invito a comparire per rendere interrogatorio;

che il rimettente muove dalla riforma apportata dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’art. 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale), relativamente alle norme processuali che disciplinano la richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 cod. proc. pen.) e la citazione diretta a giudizio nel rito pretorile (art. 555 cod. proc. pen.), assumendo che per effetto di tali modifiche – in particolare attraverso l’obbligo della preventiva contestazione dell’addebito all’indagato e la possibilità per quest’ultimo di essere ascoltato ancor prima che venga adottata qualsiasi determinazione in ordine alla formulazione dell’imputazione o alla chiamata in giudizio – si sarebbe realizzata la "giurisdizionalizzazione della fase istruttoria", tesa ad assicurare già nel corso delle indagini preliminari una piena estrinsecazione del diritto di difesa;

che peraltro, poichè l’obbligo del previo invito a comparire per rendere interrogatorio a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., introdotto in via generale per gli altri modelli processuali, non é stato esteso al procedimento per decreto penale, ne conseguirebbe, secondo il giudice a quo, una disparità di trattamento tra imputati (art. 3 della Costituzione), in danno di chi sia sottoposto allo speciale procedimento per decreto, posto che in quest’ultimo modulo processuale l’imputato non verrebbe messo in grado di difendersi pienamente attraverso l’espletamento di un eventuale interrogatorio, e rimarrebbe così privato in modo del tutto irragionevole – a seguito di una scelta processuale effettuata dal solo pubblico ministero – di un fondamentale strumento di garanzia (art. 24 della Costituzione); uno strumento, aggiunge il rimettente, che permetterebbe alla persona sottoposta al procedimento penale, già nella fase delle indagini preliminari, di prospettare le proprie difese e di definire la propria posizione, fornendo tutti gli elementi utili al fine di una eventuale archiviazione, in modo da evitare di essere esposto agli effetti pregiudizievoli che qualsiasi rinvio a giudizio, anche se destinato a risolversi in una pronuncia assolutoria, inevitabilmente comporta;

che nel giudizio così promosso é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, rilevando l’analogia tra la questione sollevata e altra precedentemente decisa dalla Corte - con l’ordinanza n. 432 del 1998 - nel senso della manifesta infondatezza, ha concluso nel medesimo senso.

Considerato che il giudice rimettente individua la possibile lesione del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e della garanzia della difesa (art. 24 della Costituzione) nella mancata estensione al procedimento per decreto penale della previsione dell’obbligo di effettuare l’invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio, a norma dell’art. 375, comma 3, cod. proc. pen., quale requisito di validità del giudizio, così come é stato stabilito in generale nel procedimento "ordinario" a seguito delle modifiche introdotte nella disciplina del processo dalla legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell’art. 323 del codice penale, in materia di abuso d’ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del codice di procedura penale);

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, é intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), che, nel quadro di una più generale revisione del procedimento penale dinanzi al tribunale anche in composizione monocratica ha, in particolare, modificato la normativa che forma oggetto del presente giudizio di costituzionalità;

che, per effetto della nuova disciplina, il previo invito all’indagato a presentarsi per rendere interrogatorio nell’ambito delle indagini preliminari non costituisce più un obbligo incondizionato per il pubblico ministero, bensì é previsto solo in seguito a una specifica richiesta in tal senso da parte dell’indagato, cui deve essere comunicato l’"avviso della conclusione delle indagini preliminari" (art. 415-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 17, comma 2, della citata legge n. 479 del 1999);

che, in connessione con la anzidetta nuova configurazione dell’eventuale contraddittorio tra pubblico ministero e indagato, é stata conseguentemente posta dal legislatore una nuova e diversa disciplina circa la nullità degli atti di citazione a giudizio, in caso di omissione dell’avviso e del susseguente invito a presentarsi (v. in particolare l’art. 416, comma 1, e l’art. 552, comma 2, cod. proc. pen., quali modificati rispettivamente dall’art. 17, comma 3, e dall’art. 44 della legge n. 479 del 1999);

che, dato il complessivo mutamento del quadro normativo assunto dal giudice rimettente quale premessa e termine di raffronto della censura di incostituzionalità, occorre, in via del tutto preliminare rispetto a ogni altro profilo, restituire gli atti al giudice medesimo, al quale spetta di valutare se, a seguito delle modifiche intervenute nella disciplina processuale in esame, la questione sollevata sia, nel giudizio principale, tuttora rilevante nei termini in cui essa é stata proposta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Pretore di Patti – sezione distaccata di S. Agata di Militello.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2001.