Ordinanza n. 372/2001

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ORDINANZA N.372

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 30 novembre 1955, n. 1335 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo statuto delle Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951), nella parte in cui ha ratificato l'art. VIII, paragrafo 5, della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 1999 dal Giudice di pace di Trieste nel procedimento civile Andrea D'Agostino contro Lee Gaither Truce ed altri, iscritta al n. 105 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2001 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che il Giudice di pace di Trieste, con ordinanza in data 18 marzo 1999, pervenuta alla Corte costituzionale il 25 gennaio 2001, nel corso di un procedimento civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 30 novembre 1955, n. 1335, (Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo statuto delle Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951), nella parte in cui, ratificando l’art. VIII, paragrafo 5, della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, <<sancisce l’inesistenza della legittimazione passiva dello Stato ospitato nei giudizi civili di risarcimento del danno>>, nel presupposto che tale disposizione determini una violazione degli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione;

che la citata disposizione della Convenzione dispone che le richieste di indennizzo [...] originate da atti o da omissioni commessi da membri di una forza od un elemento civile durante l’esecuzione di mansioni ufficiali, o derivanti da qualsiasi atto, omissione o fatto per cui una forza od un elemento civile siano responsabili legalmente, e che provochino, nel territorio dello Stato di soggiorno, danni a terzi che non siano delle parti contraenti, saranno regolate dallo Stato di soggiorno;

che, relativamente alla vicenda sottoposta al suo giudizio, il giudice rimettente si limita a specificare che la parte attrice avrebbe affermato la solidale responsabilità degli Stati Uniti d’America e di tre militari statunitensi, indicati come autori materiali di un danneggiamento non altrimenti identificato, <<sul presupposto che, essendo questi ultimi dipendenti della US NAVY, gli stessi dovevano comunque considerarsi in servizio, ancorchè in provvisoria "libera uscita">>, alla stregua di citata giurisprudenza penale di legittimità e contabile, onde l’autorità militare statunitense avrebbe avuto l’obbligo di vigilanza e la responsabilità per il comportamento dei suoi sottoposti;

che il rimettente riferisce che i convenuti Stati Uniti d’America avrebbero contestato la propria legittimazione passiva, in base all’art. VIII, paragrafo 5, della citata convenzione, adducendo che la pretesa risarcitoria dovrebbe essere regolata dallo Stato di soggiorno, cioé dall’Italia, mentre la parte attrice, di fronte a siffatta eccezione, ha proposto una questione di legittimità costituzionale nei termini, non meglio precisati, di cui ad un verbale di udienza;

che - quanto alla rilevanza della proposta questione - il rimettente, <<premessa la ricostruzione dei fatti allegati dall’attore>>, da essa desume la riconducibilità della vicenda all’indicata norma della Convenzione, ed afferma di non poter procedere all’istruttoria <<stante l’insussistenza del presupposto processuale della legitimatio ad causam degli U.S.A.>> e di dover conseguentemente pronunciare una sentenza sul rito, in quanto la norma impugnata escluderebbe <<la possibilità per lo Stato ospitato di essere convenuto in un giudizio civile a fronte di una domanda risarcitoria fondata su responsabilità aquiliana dei suoi sottoposti>>;

che - rileva ancora il rimettente - la parte attrice ha offerto <<di provare a mezzo di interpello del legale rappresentante della Marina convenuta>> il rapporto di dipendenza fra i marinai convenuti e gli Stati Uniti d’America, <<la circostanza che il fatto sarebbe successo nel mentre i detti marinai erano in servizio>> e <<la circostanza che, subito dopo il fatto, ufficiali della nave "Ponce" sarebbero intervenuti sul posto e avrebbero scattato numerose fotografie del mezzo danneggiato rammostranti, dunque, l’esistenza del danno e le sue particolarità>>, ed inoltre ha chiesto l’esibizione da parte della convenuta di tali foto, ai sensi dell’art. 210 del codice di procedura civile;

che le richieste istruttorie sarebbero irrilevanti per la carenza di legittimazione dello Stato ospitato, nè comunque potrebbero rivolgersi nei confronti dello Stato ospitante;

che - quanto alla non manifesta infondatezza della questione - il rimettente lamenta che la norma denunciata, ratificando il citato articolo della Convenzione di Londra, determinerebbe una limitazione al diritto alla prova, per effetto della carenza di legittimazione dello Stato ospitato, giacchè impedirebbe alla parte danneggiata <<di avvalersi dei metodi previsti dal codice di rito per stimolare la confessione del responsabile del medesimo Stato ospitato>> e così causerebbe <<una discriminazione sul piano processuale tra i cittadini, sul solo presupposto della nazionalità dell’autore del fatto illecito>>, poichè qualora tale fatto venga commesso da un militare delle Forze armate italiane o di un paese non aderente alla NATO, i mezzi istruttori di cui agli artt. 228 e 210 c.p.c. sarebbero azionabili per dimostrare la commissione del fatto durante l’esecuzione del rapporto di servizio;

che, del resto, l’assunzione dell’interrogatorio formale nei confronti del responsabile dello Stato ospitante <<non sortirebbe esito alcuno non essendo lo stesso oggettivamente in grado di poter confessare alcunchè, ignorando in fatto le relative circostanze>>, mentre la mancata osservanza dell’ordine di esibizione da parte del medesimo Stato non potrebbe fornire elementi ai sensi dell’art. 116 c.p.c., per l’oggettiva impossibilità di tale Stato a procedere alla relativa produzione;

che infine, secondo il rimettente, i responsabili di illeciti in danno dei cittadini italiani, appartenenti a forze armate dei paesi della NATO <<beneficerebbero di una discutibile esenzione dall’osservanza del disposto di cui all’art. 25 Cost.>>;

che il Presidente del Consiglio dei ministri é intervenuto in giudizio, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’infondatezza della questione e, in via preliminare, la sua inammissibilità per insufficiente esposizione dei presupposti di fatto e di diritto della controversia, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza;

che gli Stati Uniti d’America hanno depositato tardivamente una memoria.

Considerato che l’ordinanza di rimessione indica i termini della vicenda oggetto del giudizio a quo in modo del tutto generico, limitandosi ad enunciare (fra l’altro mediante un rinvio alle allegazioni della parte attrice) che la controversia é stata instaurata contro gli Stati Uniti d’America e contro tre marinai in "libera uscita", autori materiali di un non meglio specificato danneggiamento, per ottenere l’affermazione della responsabilità solidale dei convenuti e la loro condanna al risarcimento del danno;

che il rimettente, nel procedere al giudizio di rilevanza della questione, dopo avere richiamato la deduzione della parte attrice, secondo cui i marinai autori materiali del danneggiamento, ancorchè in provvisoria libera uscita, dovevano considerarsi in servizio, ed avere riferito che a sostegno di tale affermazione si poteva citare giurisprudenza italiana penale e contabile, sostiene che nel giudizio a quo la norma denunciata sarebbe applicabile proprio per la permanenza dello stato di servizio durante la libera uscita, senza peraltro indicare a quale delle due ipotesi previste dal paragrafo 5 dell’art. 8 della Convenzione di Londra la vicenda giudicata si dovrebbe ricondurre;

che, infatti, tale norma contempla sia le richieste di indennizzo originate da atti od omissioni commessi da membri di una forza o da un elemento civile durante l’esecuzione di mansioni ufficiali, sia quelle derivanti da qualsiasi altro atto, omissione o fatto per cui una forza od un elemento civile siano responsabili legalmente;

che - anche a voler ritenere che il rimettente (mostrando di considerare in servizio i militari in "libera uscita") si sia riferito alla prima ipotesi - la motivazione sulla rilevanza é del tutto insufficiente, non avendo il rimettente in alcun modo individuato, in via ermeneutica, il significato della norma denunciata, al fine di giustificare la riconduzione ad essa della fattispecie concreta;

che, in particolare, il rimettente non ha chiarito che cosa debba intendersi agli effetti della Convenzione per <<esecuzione di mansioni ufficiali>> e se in tale concetto possa rientrare la "libera uscita" (anche al lume delle specificazioni di cui ai successivi paragrafi 6 e 7 dello stesso art. VIII), ma ha solo evocato giurisprudenza italiana che considererebbe in stato di servizio il militare in "libera uscita";

che, del resto, le stesse considerazioni varrebbero anche se l’ordinanza avesse inteso ricondurre la vicenda all’altra ipotesi prevista dal paragrafo 5 dell’art. VIII;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 30 novembre 1955, n. 1335 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo statuto delle Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951), nella parte in cui ha ratificato l’art. VIII, paragrafo 5, della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, sollevata, in relazione agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, dal Giudice di pace di Trieste con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2001.