Ordinanza n. 322/2001

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ORDINANZA N.322

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Giovanni Maria FLICK                                 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 149 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1999 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti Rizzacasa Giovambattista contro ENEL spa, iscritta al n. 496 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti l’atto di costituzione di Rizzacasa Giovambattista nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2001 il Giudice relatore Annibale Marini.

Uditi l’avvocato Claudio Chiola per Rizzacasa Giovambattista e l’avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 15 aprile 1999, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 149 del codice di procedura civile "nella interpretazione giurisprudenziale che prevede che la notifica si perfeziona nel momento del ricevimento, anche se la parte notificante abbia adempiuto in termini, da luogo diverso da quello in cui deve essere effettuata la notifica, a tutte le formalità richieste per la effettuazione della notifica stessa a mezzo di ufficiale giudiziario che si avvale del servizio postale";

che, secondo il rimettente, la norma denunciata, così interpretata, ostacolerebbe l’esercizio del diritto di impugnazione a chi, risiedendo in luogo diverso da quello in cui deve essere eseguita la notificazione, si avvalga del servizio postale, adempiendo tempestivamente alle formalità previste dallo stesso art. 149 cod. proc. civ. ma "restando nondimeno esposto alla disorganizzazione di uffici pubblici, quali quelli postali, che sono soltanto strumenti ausiliari dell’amministrazione della giustizia";

che la norma stessa, nella richiamata interpretazione giurisprudenziale, non esprimerebbe d’altro canto – ad avviso ancora del giudice a quo - una regola generale dell’ordinamento, atteso che "la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ. si perfeziona invece alla data di spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento", "mentre per quanto attiene ai ricorsi amministrativi la notifica si perfeziona con la spedizione dell’atto risultante dal servizio postale (...)analogamente a quanto avviene nella disciplina del contenzioso tributario (...)";

che il ricorso al servizio postale in materia di notificazioni di atti giudiziari risulterebbe dunque diversamente disciplinato in relazione a fattispecie analoghe, escludendosi solo in alcuni casi, e non in altri, l’esposizione della parte notificante al rischio del disservizio postale;

che nel giudizio di legittimità costituzionale si é costituito Giovambattista Rizzacasa, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione o, in subordine, "per l’adozione di una sentenza interpretativa adeguatrice del disposto dell’art. 149 c.p.c. al principio costituzionale di tutela del diritto di difesa, affermando che lo scopo della notifica per posta é legittimamente raggiunto nel momento in cui vengono realizzati gli adempimenti formali gravanti sulla parte intimante";

che, ad avviso della parte privata, il rischio derivante dalla legittima scelta della notificazione a mezzo del servizio postale non potrebbe ricadere sul notificante anche oltre il limite dell’ordinaria diligenza, pena la violazione del suo diritto di difesa, garantito dall’art. 24 Cost., nè varrebbe invocare, in senso contrario, il diritto di difesa dell’intimato, giacchè i due contrapposti interessi devono essere bilanciati mentre la norma impugnata, nell’interpretazione ormai consolidata, offrirebbe piena tutela esclusivamente al destinatario della notificazione, a scapito del notificante;

che nel caso di specie, comunque, ad avviso ancora della medesima parte privata, l’interesse del destinatario della notificazione non verrebbe affatto in rilievo, essendo in discussione esclusivamente l’interesse del notificante a non incorrere in decadenze a causa del disservizio postale, senza che a lui sia imputabile alcuna negligenza, restando salva la possibilità di adottare gli opportuni correttivi al fine di evitare che dal suddetto disservizio possa derivare qualsiasi menomazione del diritto di difesa del notificatario;

che la disciplina dettata dall’art. 140 cod. proc. civ. e quella relativa alle notifiche in materia di ricorsi amministrativi e nell’ambito del contenzioso tributario costituirebbero poi – sempre secondo la parte privata - adeguati termini di comparazione ai fini dello scrutinio di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della questione;

che l’Avvocatura in particolare osserva che gli artt. 140 e 149 cod. proc. civ., messi a confronto dalla Corte rimettente ai fini dello scrutinio di costituzionalità in riferimento al principio di eguaglianza, perseguirebbero finalità differenti e non sarebbero pertanto utilmente comparabili;

che la disciplina dettata dall’art. 140 cod. proc. civ. – per l’ipotesi di notificazione eseguita personalmente dall’ufficiale giudiziario, ma resa impossibile per irreperibilità o rifiuto del destinatario – sarebbe ispirata all’evidente fine di non pregiudicare il diritto di difesa del notificante a causa di circostanze personali o possibili comportamenti dilatori del destinatario, mentre la norma denunciata – riguardante la diversa ipotesi di notificazione effettuata a mezzo del servizio postale – sarebbe coerente, nell’interpretazione seguita dalla costante giurisprudenza di legittimità, con l’orientamento espresso dalla stessa Corte costituzionale riguardo all’inderogabile esigenza di tutelare il diritto di difesa del notificatario.

Considerato che la Corte rimettente, chiamata ad esaminare un’ipotesi in cui la tardività della notifica era stata cagionata da un disservizio postale nella consegna del plico, richiede una pronuncia additiva che anticipi il perfezionamento della notificazione al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario;

che, nel sollevare l’anzidetta questione, la stessa Corte assume che l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 149 cod. proc. civ., da essa censurata, per un verso si sarebbe formata "nel silenzio del dettato normativo" - e dunque non sarebbe imposta dal tenore letterale della norma – mentre per altro verso non sarebbe rispondente ad alcuna "regola generale dell’ordinamento" ed anzi sarebbe lesiva del principio di eguaglianza, oltre che del diritto di difesa del notificante;

che, sulla base di tali premesse, il giudice a quo avrebbe dovuto coerentemente adottare una diversa interpretazione della norma, nel senso ritenuto compatibile con i menzionati principi costituzionali, a ciò sicuramente non ostando nè il tenore testuale della norma (come ammesso dalla stessa Corte rimettente) nè la qualificazione in termini di diritto vivente della interpretazione oggetto di critica;

che siffatta qualificazione non può, infatti, vincolare, da sola, il giudice di legittimità ad un’opzione interpretativa pur ritenuta lesiva di valori costituzionali, atteso che proprio alla Corte di cassazione l’ordinamento attribuisce la funzione di nomofilachìa, cui si ricollega la stessa formazione, e perciò anche l’evoluzione nel tempo, del diritto vivente;

che, dunque, la Corte rimettente non ha nella specie assolto l’onere di verificare, prima di sollevare la questione di costituzionalità, la concreta possibilità di attribuire alla norma denunciata un significato diverso da quello censurato e tale da superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 149 del codice di procedura civile sollevata dalla Corte di cassazione, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2001.