Ordinanza n. 320/2001

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ORDINANZA N. 320

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI                     

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 660, comma 5, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 luglio 2000 dal Magistrato di sorveglianza di Bari, iscritta al n. 685 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2001 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Bari, con ordinanza in data 10 luglio 2000, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 660, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il ricorso per cassazione contro l’ordinanza che dispone la conversione delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilità del condannato ne sospende l’esecuzione e non attribuisce al giudice la facoltà di inibire l’effetto sospensivo quanto meno nelle ipotesi di palese inammissibilità del ricorso;

che il remittente premette di avere, con ordinanza in data 18 maggio 1999, previo accertamento della sua insolvibilità, disposto la conversione delle pene pecuniarie comminate nei confronti di un condannato nella sanzione della libertà controllata in misura corrispondente, e rileva che tale ordinanza, regolarmente notificata nel giugno 1999, é divenuta "inoppugnabilmente esecutiva", essendo spirato il termine utile per proporre ricorso per cassazione;

che tuttavia – precisa il giudice a quo - in data 16 giugno 2000, e cioé circa un anno dopo le rituali notifiche, il difensore ha proposto ricorso per cassazione e in data 19 giugno 2000 ha presentato istanza di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 660, comma 5, cod. proc. pen., istanza sulla quale egli é chiamato a decidere;

che il Magistrato di sorveglianza di Bari, rilevato che l’art. 660, comma 5, cod. proc. pen. espressamente prevede che la semplice proposizione del ricorso produce automaticamente la sospensione dell’efficacia dell’ordinanza impugnata ed esclude qualsiasi valutazione da parte del giudice che ha disposto la conversione, individua la ratio di tale previsione nell’esigenza di evitare che nella sfera giuridica dei condannati si producano gli effetti di provvedimenti, la cui legittimità potrebbe essere disattesa dalla Corte di cassazione;

che, tutto ciò premesso, il remittente dubita della legittimità costituzionale del citato art. 660, comma 5, cod. proc. pen. in riferimento all’art. 3 della Costituzione, in quanto:

- sarebbe contraddittorio ed illogico "il riconoscimento della sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza a fronte di un ricorso che, in partenza, appare assolutamente inidoneo a incidere sulle statuizioni sinora adottate";

- non apparirebbe incongruo riconoscere al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato la possibilità di prendere atto di una ipotesi di inammissibilità del gravame così manifesta, quale quella del ricorso presentato fuori termine, e inibire in tali casi l’effetto sospensivo dell’impugnazione;

- escludere che il giudice possa procedere, nella fattispecie in esame, al mero accertamento dello spirare del termine di impugnazione significherebbe, attraverso una interpretazione formalistica della disposizione censurata, legittimare un palese "aggiramento" della ratio della norma stessa: lo strumento del ricorso potrebbe, infatti, essere utilizzato, ben oltre i termini concessi, a scopo puramente dilatorio, cioé al fine di impedire, nelle more della pronuncia da parte del giudice dell’impugnazione, l’efficacia del provvedimento con cui é stata disposta la conversione;

che, secondo il giudice a quo, la disposizione censurata sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, in ragione, da un lato, della contraddittorietà del sistema e della irrazionale parità di posizioni che verrebbe a determinarsi tra il condannato diligente (che presenti ritualmente e tempestivamente ricorso per cassazione) e il condannato negligente, che si preoccupi esclusivamente di paralizzare l’efficacia del provvedimento impugnato, e, dall’altro, dello "sfruttamento" di un diritto inviolabile, quale quello di difesa, per il perseguimento di scopi che non sarebbero meritevoli di tutela;

che l’art. 660, comma 5, cod. proc. pen. sarebbe in contrasto altresì con l’art. 25, secondo comma, della Costituzione, poichè il principio di legalità "rende doverosa non solo la repressione delle condotte violatrici della legge penale, ma anche l’applicazione, nel caso di colpevolezza accertata con sentenza di condanna divenuta irrevocabile, delle relative sanzioni", e "abbisogna, per la sua concretizzazione, della "legalità" del procedere di tutti i soggetti processuali", nonchè con l’art. 101 della Costituzione, per violazione del principio della indefettibilità della giurisdizione;

che, ad avviso del remittente, la norma impugnata violerebbe l’art. 3 della Costituzione anche sotto un altro profilo: premesso che la libertà controllata, oltre ad essere disposta, come nel caso di specie, dal magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero, in conversione di una pena pecuniaria non eseguita per insolvibilità del condannato, può essere irrogata, in sentenza, dal giudice della cognizione in sostituzione delle pene detentive brevi, in questa seconda ipotesi troverebbe applicazione l’art. 666, comma 7, cod. proc. pen., e l’esecuzione non sarebbe sospesa a seguito della proposizione del ricorso per cassazione, sicchè un medesimo istituto (la libertà controllata) sarebbe irragionevolmente differenziato nella sua disciplina e nei suoi effetti;

che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e, rilevato che é precluso al giudizio di costituzionalità ogni intervento in materia penale che si risolva in un trattamento sfavorevole per l’imputato, anche quando, come nel caso di specie, riguardi il regime della esecuzione della pena, ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile.

Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 108 del 1987, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del comma 7 dell’articolo 586 del codice di procedura penale previgente, nella parte in cui escludeva che l’opposizione avverso il provvedimento che ordinava la conversione della pena pecuniaria avesse effetto sospensivo;

che tale soluzione fu adottata sul rilievo che, in un sistema processuale incardinato sul principio generale dell’effetto sospensivo delle impugnazioni, la discriminazione prodotta dalla disposizione allora censurata, con la quale si tendeva tra l’altro a scoraggiare l’opposizione con la minaccia della irrogazione di un’ulteriore sanzione pecuniaria nel caso in cui l’incidente fosse risultato manifestamente infondato, non era sorretta da apprezzabili ragioni giustificative, sia perchè la dilazione esecutiva non poneva alcun serio ostacolo alla realizzazione della pretesa punitiva dello Stato, sia, soprattutto, perchè i tempi tecnici di definizione della procedura incidentale avrebbero potuto provocare effetti irreparabilmente pregiudizievoli per l’interessato nei casi in cui, come spesso si verificava, la pena sostitutiva da espiare fosse stata di breve durata;

che nella relazione al progetto preliminare del vigente codice di rito, la previsione dell’art. 660, comma 5, secondo cui il ricorso avverso l’ordinanza di conversione ha effetto sospensivo, viene indicata come "soluzione vincolata dalla citata sentenza n. 108 del 1987";

che, sebbene il provvedimento di conversione della pena pecuniaria, che nel sistema previgente era adottato, in assenza di contraddittorio, dal pubblico ministero o dal pretore, non possa essere assimilato all’ordinanza del magistrato di sorveglianza emessa in un procedimento pienamente garantito, qual é quello di cui all’art. 678 del codice in vigore, i principî espressi in quella sentenza non possono che essere ribaditi;

che anche sotto il vigore del nuovo codice, infatti, l’esclusione dell’effetto sospensivo del ricorso per cassazione sarebbe priva del benchè minimo fondamento giustificativo e potrebbe anzi recare grave nocumento all’interessato, attesa la normale brevità della pena da espiare a seguito della conversione;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 660, comma 5, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, e 101 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Bari, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2001.