Ordinanza n. 308/2001

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ORDINANZA N. 308

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Roma con ordinanza emessa il 14 novembre 2000, iscritta al n. 857 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis [comma 1, primo periodo] della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante <<Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà>> [come modificato dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356], nella parte in cui prevede che il permesso premio non può essere concesso ai condannati per i reati ivi indicati che non collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordinamento penitenziario, anche nell'ipotesi in cui l'esecuzione della pena era già iniziata al momento dell'entrata in vigore della legge di modifica;

che il Tribunale rimettente - investito del reclamo avverso un provvedimento del magistrato di sorveglianza che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di permesso premio presentata da un detenuto condannato con sentenza dell'aprile 1985 per sequestro di persona a scopo di estorsione ed altri reati e in espiazione della pena dal giugno 1989 - rileva che la richiesta non potrebbe essere accolta, perchè, come risulta anche da precedenti provvedimenti, il condannato non ha collaborato con la giustizia e non ricorrono le condizioni di cui alla sentenza n. 137 del 1999 della Corte costituzionale;

che la norma censurata, nel prevedere, in relazione a determinati delitti, una diversa e più restrittiva disciplina delle condizioni per l'accesso ai permessi premio, al lavoro all'esterno e alle altre misure alternative previste dal capo VI dell'ordinamento penitenziario, violerebbe, ad avviso del giudice a quo, l'art. 25 Cost., in quanto <<il principio costituzionale di irretroattività della norma penale incriminatrice deve essere riferito non solo alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie ma anche alle norme che regolano l'esecuzione della pena>>, sul presupposto che le disposizioni <<concernenti l'ordinamento penitenziario, incidendo sulle modalità di esecuzione della pena in termini di contenuto e/o afflittività hanno indubbiamente natura sostanziale e non processuale>>;

che il <<momento in cui sorge una situazione di affidamento meritevole di essere tutelata>> sarebbe quello in cui inizia l'esecuzione, in quanto <<in tale momento lo Stato esercita la propria pretesa punitiva in cambio di un adeguato impegno del condannato sul piano del trattamento rieducativo, sicchè le modifiche peggiorative apportate dovrebbero essere ininfluenti nei confronti di quei condannati che, al momento della loro entrata in vigore, stiano già espiando la pena>> ed abbiano quindi fondatamente ritenuto <<di doversi confrontare durante la propria detenzione con le norme allora in vigore>>;

che sarebbe inoltre violato l'art. 3 Cost., in quanto l'applicabilità dei benefici penitenziari verrebbe a dipendere da un dato temporale <<variabile per contingenze diverse>> e dal <<diverso momento in cui ha avuto inizio l'esecuzione della pena>>;

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che il Tribunale di sorveglianza di Roma dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante <<Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà>>, come modificato dall'art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui preclude l'accesso ai permessi premio ai condannati per i reati ivi indicati che non collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordinamento penitenziario, anche nell'ipotesi in cui l'esecuzione della pena era già iniziata al momento dell'entrata in vigore della legge di modifica;

che tale disciplina violerebbe il principio di irretroattività della legge penale, che andrebbe riferito <<non soltanto alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie ma anche alle norme che regolano l'esecuzione della pena [ ...] che hanno indubbiamente natura sostanziale e non processuale>>, nonchè il principio di eguaglianza per l'asserita diversità di trattamento di <<posizioni sanzionatorie assolutamente identiche, a seconda del diverso momento in cui ha avuto inizio l'esecuzione della pena>>;

che questa Corte con ordinanza n. 280 del 2001, che a sua volta richiama le argomentazioni svolte nella sentenza n. 273 del 2001, ha dichiarato manifestamente infondata analoga questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Sassari in riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost., rilevando che l'accesso al beneficio del permesso premio <<implica l'assenza di pericolosità sociale, che ne costituisce un presupposto sostanziale, mentre la norma censurata individua un criterio legale di valutazione di un comportamento che deve necessariamente concorrere al fine di accertare che il condannato abbia reciso i collegamenti con la criminalità organizzata e, quindi, non risulti socialmente pericoloso>>;

che con la menzionata sentenza n. 273 del 2001 la Corte aveva infatti affermato che, <<in relazione all'esecuzione delle pene detentive per i delitti indicati dal comma 1, primo periodo, dell'art. 4-bis, la collaborazione con la giustizia - già rilevante nell'ordinamento sul terreno del diritto penale sostanziale (...) - assume, non irragionevolmente, la diversa valenza di criterio di accertamento della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata, che a sua volta é condizione necessaria, sia pure non sufficiente, per valutare il venir meno della pericolosità sociale ed i risultati del percorso di rieducazione e di recupero del condannato, a cui la legge subordina, ricorrendo a varie formulazioni sostanzialmente analoghe, l'ammissione alle misure alternative alla detenzione e agli altri benefici previsti dall'ordinamento penitenziario>>;

che tale conclusione riposa sulla constatazione che nei confronti degli autori dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'art. 4-bis, che sono espressione di forme di criminalità organizzata connotate da livelli di pericolosità particolarmente elevati, <<la collaborazione con la giustizia é un comportamento che deve necessariamente concorrere ai fini della prova che il condannato ha reciso i legami con l'organizzazione criminale di provenienza>>;

che pertanto, per effetto delle modifiche apportate nel 1992 alla disposizione censurata, <<l'atteggiamento di chi non si adoperi "per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori" o per aiutare "concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati" (art. 58-ter dell'ordinamento penitenziario) é valutato come indice legale della persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata>>;

che la norma impugnata, non comportando una modificazione dei presupposti sostanziali dei permessi premio, rimane estranea alla sfera di applicazione del principio di irretroattività della legge penale di cui all'art. 25, secondo comma, Cost.;

che é priva di fondamento anche la censura riferita all'art. 3 Cost., in quanto la diversità di trattamento "nel tempo", che consegue cioé al mutamento del regime giuridico, é effetto connaturato alla successione delle leggi ed é quindi fenomeno in relazione al quale non é configurabile la lesione del principio di eguaglianza (vedi, ex plurimis, sentenza n. 410 del 1995);

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata con riferimento ad entrambi i parametri costituzionali evocati dal rimettente.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2001.