Ordinanza n. 283/2001

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ORDINANZA N. 283

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI                    

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 167, secondo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 29 marzo 2000 dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Gasbarro Bianca Rita e Conforte Antonio ed altra, iscritta al n. 747 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente della Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 giugno 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Giudice istruttore del Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 29 marzo 2000, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 167, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che il convenuto debba proporre a pena di decadenza le eventuali domande nuove;

che, come precisa il rimettente, il giudizio, il quale ha ad oggetto il risarcimento dei danni cagionati in un incidente stradale da un veicolo privo di assicurazione, é stato instaurato nei confronti del responsabile del sinistro e dell’impresa assicuratrice designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada; che la società assicuratrice, costituitasi alla prima udienza, ha formulato domanda di regresso nei confronti del convenuto rimasto contumace, chiedendo l’autorizzazione a notificare a quest’ultimo la comparsa di risposta contenente la predetta domanda; che tale istanza era stata respinta da esso giudice, in quanto la convenuta, costituitasi tardivamente, era decaduta dalla facoltà di proporre domande; che la convenuta assicurazione aveva chiesto la revoca dell’ordinanza, rilevando che il regime delle preclusioni non può trovare applicazione al di fuori delle tassative ipotesi per cui é stabilito e che l’azione di regresso, riconducibile alla surrogazione legale prevista dall’art. 1203, n. 5, del codice civile, non si configura diversamente dalla domanda già proposta dall’attrice nè costituisce una controdomanda, essendo diretta ad ottenere l’attribuzione del medesimo diritto del danneggiato;

che il giudice a quo, dopo aver affermato che la domanda di regresso, proposta dall’assicurazione nei confronti del convenuto, deve qualificarsi nuova rispetto a quella dell’attrice, quantomeno sotto il profilo soggettivo, osserva che la novella introdotta dalla legge n. 353 del 1990 delinea un sistema ispirato ai principi di immediatezza e concentrazione del processo, nel quale fin dalla prima udienza di comparizione il thema decidendum deve essere definito;

che, ad avviso del rimettente, solo se si applicasse alle domande nuove la disciplina dell’art. 167 cod. proc. civ. si potrebbe raggiungere il risultato voluto dal legislatore, evitando che la proposizione di tali domande nuove in corso di causa possa compromettere la sollecita definizione di quelle originarie;

che tuttavia l’art. 167, secondo comma, cod. proc. civ. disciplina soltanto la proposizione delle domande riconvenzionali, non già di quelle nuove, sì che é necessario, ad avviso del giudice a quo, sollevare questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il convenuto debba proporre le eventuali domande nuove a pena di decadenza;

che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, in quanto l’esistenza di preclusioni per la proposizione di domande nuove si deve desumere dalla interpretazione sistematica delle norme.

Considerato che dall’ordinanza di rimessione si rileva come il giudice a quo, con il provvedimento di cui é stata chiesta la revoca, si sia pronunciato ed abbia già risolto in via interpretativa la questione afferente al termine per la proposizione di domande nuove da parte del convenuto, mostrando ancora nella detta ordinanza di condividere la tesi sostenuta da autorevole dottrina in ordine all’applicabilità dell’art. 167 cod. proc. civ. a casi come quello di specie;

che il dubbio di legittimità costituzionale appare perciò prospettato dal rimettente non già perchè non sia altrimenti possibile definire la controversia quanto piuttosto per ottenere indirettamente da questa Corte un avallo a favore della interpretazione dal medesimo assunta nel precedente provvedimento, oltre che ai fini delle future decisioni;

che la questione é pertanto manifestamente inammissibile (ordinanza n. 466 del 2000).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 167, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Roma con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2001.