Ordinanza n. 267/2001

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ORDINANZA N. 267

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 197, lett. a), 210, comma 4, e 513, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 2000 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di G. C. ed altri, iscritta al n. 682 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di costituzione di Ferrari Valerio nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;

udito l’avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 197, comma 1, lettera a), 210, comma 4, e 513, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui sanciscono l’incompatibilità con l’ufficio di testimone del coimputato nel medesimo reato e dell’imputato in procedimento connesso, prevedono per gli stessi soggetti la facoltà di non rispondere e, nel caso in cui si avvalgano di tale facoltà, non consentono al giudice di dare lettura delle dichiarazioni precedentemente rese in assenza dell’accordo delle parti;

che a parere del giudice a quo il combinato disposto delle norme oggetto di impugnativa verrebbe a configurare un sistema in forza del quale sarebbe consentito «al coimputato ed all’imputato di procedimento connesso dichiarante contra alios di sottrarsi ad libitum al contraddittorio e di sottrarre ad libitum elementi di prova rilevanti al vaglio dibattimentale»;

che alla stregua degli accennati rilievi il sistema così delineato verrebbe a porsi in contrasto con il principio della indisponibilità del processo e della prova da parte dei soggetti privati, evocandosi, sotto tale profilo, il contrasto con gli artt. 3, 25, 101, secondo comma, 111 e 112 della Costituzione;

che compromesso sarebbe anche il diritto di difesa dell’imputato, che comporta per il medesimo la facoltà «di avvalersi del diritto al silenzio ed il diritto di mentire, anche qualora accetti di sottoporsi all’esame nel contraddittorio delle parti»;

che parimenti vulnerato risulterebbe anche «il diritto da parte di colui che viene accusato dal coimputato o dall’imputato in procedimento connesso di sottoporre al vaglio del contraddittorio le dichiarazioni rese nei suoi confronti»: un diritto, questo, che - sottolinea il giudice rimettente - già enucleabile in base agli artt. 3 e 24 Cost., è stato oggi espressamente sancito dall’art. 111, quarto comma, della medesima Carta;

che nel giudizio sono intervenuti il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, nonché la parte privata, chiedendo entrambi dichiararsi inammissibile o comunque infondata la proposta questione.

Considerato che, dopo la pronuncia della ordinanza di rimessione, è intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e di valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’art. 111 della Costituzione), la quale ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, fra l’altro modificando anche le disposizioni che hanno formato oggetto della presente impugnativa;

che di conseguenza, essendo mutate le norme censurate ed il contesto complessivo della disciplina di riferimento, gli atti devono essere restituiti al giudice rimettente perché verifichi se la questione sollevata sia tuttora rilevante nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Milano.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2001.