Ordinanza n. 257/2001

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ORDINANZA N. 257

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria  FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 13, commi 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza emessa il 27 settembre 2000 dal Tribunale di Padova nel procedimento civile vertente tra Osasu Cizini e la Prefettura di Padova, iscritta al n. 794 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che il Tribunale di Padova, con ordinanza emessa in data 27 settembre 2000 (r.o. n. 794 del 2000), nel corso di un procedimento civile promosso da uno

straniero, che aveva impugnato il provvedimento di divieto di reingresso nel territorio dello Stato italiano, emesso nei suoi confronti dal prefetto contestualmente al decreto di espulsione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 13 e 14, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);

che il rimettente osserva che il regime normativo contemplato dalle norme impugnate, nel prevedere che lo straniero espulso non possa rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno (comma 13), dispone che detto divieto opera per un periodo di cinque anni, salvo che il pretore o il tribunale amministrativo regionale, con il provvedimento che decide sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione ne determinino diversamente la durata per un periodo non inferiore a tre anni, sulla base di motivi legittimi addotti dall’interessato e tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel territorio dello Stato;

che, ad avviso del giudice a quo, detta previsione, riconoscendo il potere del giudice di rideterminare la durata del divieto di reingresso dello straniero espulso solo nel caso in cui lo stesso giudice decida sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione, ed escludendolo in caso di impugnazione del solo provvedimento relativo alla entità della durata del divieto di cui si tratta, sarebbe anzitutto in contrasto con gli artt. 24 e 113 della Costituzione, in quanto lederebbe il diritto di difesa ed escluderebbe la tutela giurisdizionale contro l’atto amministrativo prefettizio che determina in cinque anni la durata del divieto di reingresso;

che, sempre secondo l’ordinanza di rimessione, il regime giuridico impugnato violerebbe il principio di ragionevolezza, non comprendendosi il motivo per il quale la valutazione della congruità della durata del divieto di cui si tratta dovrebbe essere di esclusiva competenza del giudice e non potrebbe, invece, essere compiuta dal prefetto contestualmente alla emanazione del decreto di espulsione. La disciplina in questione sarebbe anche in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, in quanto lederebbe il diritto di ogni uomo di vedere valutato il proprio comportamento, oltre a costringere lo straniero a subire la emanazione di un provvedimento di divieto di reingresso per la durata di cinque anni, e ad instaurare un procedimento giurisdizionale del tutto inutile, nonostante le ovvie difficoltà legate alla sua condizione;

che il giudice a quo prospetta, infine, il vulnus all’art. 102 della Costituzione, per contrasto con il principio della separazione dei poteri, in quanto la normativa di cui si tratta demanderebbe al giudice un’attività non giurisdizionale, ma sostanzialmente amministrativa, quale quella attinente alla valutazione della congruità della durata del divieto di reingresso per un periodo di cinque anni, in contrasto, altresì, con il principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia, di cui all’art. 97 della Costituzione;

che nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o infondatezza della questione, rilevando che i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dal rimettente derivano da una interpretazione inesatta della normativa denunziata.

Considerato che identica questione di legittimità costituzionale è già stata rimessa alla Corte dallo stesso Tribunale di Padova con ordinanza 1°agosto 2000 e dichiarata manifestamente infondata con l'ordinanza n. 165 del 2001;

che non sono stati addotti motivi nuovi e diversi che possano indurre la Corte a modificare il proprio orientamento, in quanto il giudice a quo si basa su un erroneo presupposto interpretativo, cioè l’esistenza di una preclusione, per lo straniero espulso, di ricorrere al giudice per ottenere esclusivamente la rideterminazione della durata del divieto di reingresso;

che rientra nella discrezionalità del legislatore l’attribuzione ad un giudice (sia amministrativo, sia ordinario: nella fattispecie la normativa si riferisce ad entrambi) del potere - in sede di decisione di ricorso giurisdizionale - di annullare un atto amministrativo (anche parzialmente), affidando (ove ritenuto rispondente ad esigenze di speditezza) anche il potere di determinare la durata di una prescrizione (nella specie effetto interdittivo), fissando alcuni criteri di legittimità, pur lasciando spazio ad una valutazione discrezionale (ordinanza n. 165 del 2001).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 13 e 14, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 24, 113, 2, 3, 102 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2001.