Ordinanza n. 254/2001

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 254

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 2 ottobre 1997, n. 334 (Disposizioni transitorie in materia di trattamento economico di particolari categorie di personale pubblico, nonché in materia di erogazione di buoni pasto), promosso con ordinanza emessa il 12 luglio 2000 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, sui ricorsi riuniti proposti da Altomare Francesco ed altri contro il Ministero della difesa ed altri, iscritta al n. 826 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che nel corso di un giudizio nel quale alcuni appartenenti alle Forze armate dello Stato in posizione di ausiliaria alla data del 1° gennaio 1996 con il grado di generale di corpo d’armata o di divisione (o grado equiparato), o i loro aventi causa, lamentavano che l’Amministrazione della difesa avesse disatteso le istanze dirette ad ottenere il computo, nella determinazione dell’indennità di ausiliaria, anche di quella di posizione ex art. 1, comma 2, della legge 2 ottobre 1997, n. 334 (Disposizioni transitorie in materia di trattamento economico di particolari categorie di personale pubblico, nonché in materia di erogazione di buoni pasto), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della citata disposizione per contrasto con gli artt. 3, 36, 38 e 97 Cost.;

che, preliminarmente, in punto di rilevanza, il rimettente osserva che i ricorsi non potrebbero essere accolti ostandovi espressamente la disposizione censurata;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo premette che nella determinazione dell’indennità di ausiliaria si devono considerare il trattamento di quiescenza percepito dal soggetto interessato e quello economico spettante nel tempo al suo pari grado in servizio nello stesso ruolo e con anzianità corrispondente e che la normativa sull’indennità di ausiliaria (art. 67 della legge 10 aprile 1954, n. 113, come sostituito dall’art. 44, della legge 19 maggio 1986, n. 224, quest’ultima disposizione interpretata autenticamente dall’art. 6, comma 2, della legge 23 dicembre 1990, n. 404) prevede l’onnicomprensività del trattamento spettante nel tempo al pari grado in servizio con tutte le maggiorazioni e le indennità, salvo quelle di carattere personale;

che è ininfluente se gli interessati abbiano o meno goduto durante il servizio dell’indennità di posizione, giacché non si tratta di stabilire se essa sia o meno da inserire nella loro base pensionabile, bensì di individuare il trattamento economico del pari grado in servizio cui rapportare la quantificazione dell’indennità di ausiliaria;

che la disposizione denunciata violerebbe gli artt. 3 e 38 della Costituzione nella parte in cui esclude che l’indennità di posizione riconosciuta dal 1996 in favore dei generali di divisione e di corpo d’armata e gradi corrispondenti delle Forze armate in attività abbia effetto ai fini della determinazione di quella di ausiliaria dei pari grado;

che detta indennità di posizione, infatti, è riconosciuta dal comma 1 della disposizione denunciata «a titolo di anticipazione sul futuro assetto retributivo» e, per i militari, è correlata esclusivamente al grado di generale di divisione e di corpo d’armata e gradi corrispondenti, sicché rientra tra gli emolumenti a carattere generale e tra «le maggiorazioni» che, ex art. 6, comma 2, lett. a), della legge n. 404 del 1990, sono inclusi nel trattamento economico dei pari grado in servizio dei quali occorre tener conto ai fini della determinazione dell’indennità di ausiliaria;

che, quindi, vi sarebbe contrasto tra la disciplina dell’indennità di ausiliaria e il limite posto dalla disposizione denunciata, con violazione del principio di ragionevolezza;

che ulteriore riscontro di ciò si troverebbe nell’art. 3, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 169, nel quale si ribadisce la progressiva riduzione della differenza tra il trattamento di quiescenza percepito e quello economico spettante nel tempo al pari grado in servizio dello stesso ruolo e con anzianità corrispondente a quella posseduta dall’ufficiale all’atto del collocamento in ausiliaria;

che vi sarebbe un vulnus all’art. 3 Cost. anche sotto il profilo del contrasto con l’esigenza di tutela dell’affidamento del cittadino per la efficacia retroattiva della legge n. 334 del 1997 (decorrente dal 1° gennaio 1996), in quanto i collocati in ausiliaria anteriormente a tale data potevano confidare in un trattamento di quiescenza commisurato a quello economico spettante nel tempo ai loro pari grado in servizio dello stesso ruolo e con anzianità corrispondente, mentre la disposizione censurata avrebbe vanificato tale affidamento, con ciò violando altresì l’art. 38 Cost., posto a tutela dei diritti previdenziali;

che l’indennità di ausiliaria è un istituto che svolge una funzione di riequilibrio nel reddito complessivo del militare costretto ad andare in pensione con un periodo di servizio inferiore rispetto agli altri pubblici dipendenti, funzione che risulta eliminata dalla disposizione censurata la quale, alterando il raccordo tra la posizione predetta e quella di servizio attivo, vanificherebbe altresì i principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;

che, infine, poiché la posizione del militare in ausiliaria segue la cessazione dal servizio ma non è ancora pensionamento vero e proprio e si caratterizza per una serie di peculiarità, tra le quali è compresa anche la parametrazione della relativa indennità sulla retribuzione del pari grado in servizio, la limitazione contenuta nella disposizione denunciata violerebbe anche il principio di proporzionalità della retribuzione ex art. 36 Cost.;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, in via principale, che questa Corte disponga la restituzione degli atti al giudice a quo, in virtù delle disposizioni legislative e amministrative successive alla legge n. 334 del 1997, e, in subordine, sollecitando una pronuncia di inammissibilità o di manifesta infondatezza della questione.

Considerato che la Corte rimettente dubita della legittimità costituzionale – in relazione agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione – dell’art. 1, comma 2, della legge n. 334 del 1997, nella parte in cui, riconoscendo l’indennità di posizione in favore dei generali di divisione e di corpo d’armata e gradi corrispondenti delle Forze armate, prevede che la stessa non produca effetti ai fini della determinazione dell’indennità ausiliaria, con ciò violando l’art. 3 della Costituzione per contrasto con il principio di uguaglianza, sotto i profili della contraddittorietà con altra norma dell’ordinamento che introduce il principio dell’onnicomprensività del trattamento spettante nel tempo al pari grado in servizio con tutte le maggiorazioni e le indennità senza esclusione alcuna, salvo quella di carattere aggiuntivo–personale, nonché della carenza di ragionevolezza della limitazione discriminatoria disposta e del contrasto con l’esigenza di tutela dell’affidamento del cittadino;

che, seppure il principio di onnicomprensività in parola fosse costituzionalmente vincolante, va rilevato che l’indennità di posizione non rientra tra le maggiorazioni tutelate dal principio stesso, perché strettamente correlata all’esercizio effettivo delle funzioni dirigenziali;

che l’osservazione che precede discende dalla più recente disciplina legislativa in materia di pubblico impiego ove vige la regola secondo cui il trattamento economico accessorio del personale dirigenziale non è corrisposto in relazione allo status, ma è collegato al livello di responsabilità attribuito con l’incarico di funzione e ai risultati conseguiti nell’attività amministrativa e di gestione (art. 24 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall’art. 16 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80);

che in tale assetto normativo l’indennità di posizione è chiaramente collegata all’incarico ricoperto e quindi al servizio effettivamente espletato, laddove l’indennità ausiliaria ha una ratio diversa, in quanto svolge la funzione di compenso per la disponibilità del militare cessato dal servizio ad essere richiamato in qualunque momento;

che, dunque, la differente natura dei due istituti rende non irragionevole una diversità di disciplina;

che la Corte rimettente lamenta altresì che la disposizione censurata violerebbe gli artt. 36 e 38 Cost. e, rispettivamente, il principio di proporzionalità della retribuzione e il canone della garanzia dei diritti previdenziali, nonché l’art. 97 Cost. sotto il profilo del buon andamento e della imparzialità dell’amministrazione;

che, tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la scelta in concreto dei meccanismi di perequazione è riservata al legislatore ordinario, chiamato a compiere il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle disponibilità finanziarie, e che questa valutazione va operata non nel senso di un doveroso, costante allineamento, ma nel senso che il verificarsi di un macroscopico ed irragionevole scostamento – non riscontrabile nella specie in esame – è indice sintomatico della non idoneità del meccanismo in concreto prescelto a preservare la sufficienza dei trattamenti ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati ad una esistenza libera e dignitosa (sentenza n. 126 del 2000);

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, della legge 2 ottobre 1997, n. 334 (Disposizioni transitorie in materia di trattamento economico di particolari categorie di personale pubblico, nonché in materia di erogazione di buoni pasto), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2001.