Ordinanza n. 241/2001

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ORDINANZA N. 241

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI 

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 27 luglio 2000 dal Giudice istruttore del Tribunale di Gela nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Licalsi Liliana e la S.A.I. spa ed altri, iscritta al n. 710 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Giudice istruttore del Tribunale di Gela, con ordinanza emessa il 27 luglio 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine perentorio entro il quale il convenuto deve notificare la citazione al terzo chiamato in causa;

che il rimettente premette in fatto che il giudizio, avente ad oggetto il risarcimento dei danni da incidente stradale cagionato da veicolo non identificato, è stato instaurato nei confronti della società assicuratrice designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, la quale, sostenendo che i danni erano stati aggravati dalla non corretta esecuzione dell’intervento chirurgico subito dall’attrice, ha chiesto di chiamare in causa l’ente gestore della clinica; che il predetto ente, costituitosi in giudizio, ha chiesto di chiamare in causa il chirurgo responsabile dell’intervento; che il chirurgo, a sua volta, ha chiesto il differimento della prima udienza per chiamare in garanzia la propria compagnia assicuratrice ed ha poi reiterato tale istanza, non avendo provveduto a citare il terzo per l’udienza a tal fine differita;

che il rimettente, dovendo decidere circa la concessione di un nuovo termine per la chiamata in causa del terzo, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 269, secondo comma, cod. proc. civ., anzitutto per la ingiustificata disparità di trattamento tra attore e convenuto, in quanto soltanto il primo è tenuto al rispetto del termine perentorio fissato dal giudice per la citazione del terzo, mentre il secondo può reiterare la richiesta di differimento dell’udienza, qualora non abbia provveduto alla citazione;

che, ad avviso del giudice a quo, la norma in esame contrasterebbe anche con gli artt. 24 e 111 della Costituzione, in quanto consente al convenuto di reiterare la richiesta di fissazione della nuova udienza per la chiamata del terzo, rendendo così il convenuto stesso arbitro dei tempi e della dinamica del processo, in violazione sia del principio di ragionevole durata del giudizio che del diritto di difesa dell’attore;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione.

Considerato che dalle premesse in fatto contenute nell’ordinanza di rimessione risulta chiaramente come la parte che deve notificare la citazione al terzo e che a tal fine ha chiesto la concessione di un nuovo termine non sia l’originario convenuto, bensì uno dei terzi chiamati in causa;

che la norma disciplinante la fattispecie concreta deve individuarsi nell’art. 271 del codice di procedura civile, il quale espressamente statuisce le modalità della chiamata in causa ad opera del terzo, con rinvio al terzo comma dell’art. 269 del medesimo codice;

che la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 269 cod. proc. civ. risulta quindi inammissibile per difetto di rilevanza, non essendo la disposizione impugnata applicabile nel giudizio a quo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Gela con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2001.