Ordinanza n. 236/2001

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 236

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando  SANTOSUOSSO

- Massimo VARI  

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 4- ter, commi da 2 a 7, del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato) convertito in legge 5 giugno 2000, n. 144, anche in relazione all’art. 442, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 5 luglio, il 21 giugno e il 25 luglio 2000 dalla Corte di assise di Palermo, rispettivamente iscritte ai n. 689 e 696 del registro ordinanze 2000 ed al n. 45 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 46 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2000 e n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con tre ordinanze di analogo tenore - emesse il 21 giugno, il 5 e 25 luglio 2000 - la Corte di assise di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, commi da 2 a 7, della legge 5 giugno 2000 n. 144 (recte: del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, recante “Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato”), convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144), “anche in relazione all’art. 442, comma 2, cod.proc.pen.”, per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 97, 101, secondo comma, 102, primo comma, 111 e 112 della Costituzione;

che il giudice a quo premette che, nel corso di tre diversi giudizi, taluni degli imputati - chiamati a rispondere, tra gli altri, di più reati punibili con la pena dell’ergastolo ovvero di un delitto punibile con l’ergastolo ed altri delitti punibili con pena detentiva superiore a cinque anni - ipotesi nelle quali, alla pena dell’ergastolo, si aggiungerebbe la sanzione dell’isolamento diurno - avevano chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato, a norma dei commi 2 e seguenti dell’art. 4-ter del decreto-legge n. 82 del 2000;

 che, ad avviso del rimettente, la norma censurata – la cui giustificazione dovrebbe ravvisarsi nella finalità di consentire all’imputato, che non abbia potuto accedere al giudizio abbreviato ordinario per l’avvenuta scadenza del termine di proposizione della richiesta, di usufruire comunque di tale rito speciale - si porrebbe in contrasto, innanzitutto, con l’art. 3 della Costituzione: la possibilità, per gli imputati di reati punibili con l’ergastolo, di accedere al giudizio abbreviato, a semplice richiesta non sindacabile dal giudice, fino alla conclusione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di primo grado (art. 4-ter, comma 2) fonderebbe, infatti, un irragionevole privilegio per tale categoria di imputati, consentendo loro di avanzare la richiesta di rito speciale dopo aver conosciuto e valutato la situazione probatoria consolidatasi nell’istruttoria dibattimentale o, addirittura, sulla base del prevedibile esito delle prove ancora da assumere, senza che a ciò corrisponda una ragione apprezzabile di economia processuale;

che tale meccanismo normativo non avrebbe quindi altro effetto se non quello di realizzare, a beneficio dell’imputato, un ingiustificato sconto di pena, tale da vanificare anche la funzione rieducativa della stessa;

che, inoltre, l’incostituzionalità della norma denunciata, per violazione degli artt. 3 e 27 della Carta, risulterebbe ancor più evidente nelle ipotesi in cui l’imputato, il quale abbia optato per il rito abbreviato, sia riconosciuto colpevole di più reati punibili, ciascuno, con la pena dell’ergastolo o di un delitto punito con l’ergastolo ed altri puniti con pena complessiva superiore a cinque anni;

che in tali ipotesi, infatti, - a fronte di una pena detentiva costituita, in astratto, dall’ergastolo inasprito dall’isolamento diurno - la diminuente per il rito speciale implicherebbe la sostituzione automatica della pena dell’ergastolo con la pena detentiva della reclusione a trenta anni, nella quale rimarrebbe inevitabilmente “assorbito” l’inasprimento punitivo dell’isolamento diurno, lasciando così sprovvisti di sanzione i delitti concorrenti: con l’irragionevole conseguenza che “l’imputato che abbia commesso un solo omicidio soggiacerà alla stessa pena e allo stesso trattamento sanzionatorio complessivo inflitto a chi abbia commesso decine di omicidi oppure omicidi e stragi” ;

che, ancora, la scelta del rito abbreviato, rimessa all’assoluta discrezionalità dell’imputato, verrebbe a vulnerare sia l’art. 24 della Costituzione, inibendo l’assunzione di mezzi di prova chiesti dalle altre parti e già ammessi, sia gli artt. 101, secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, non essendo riconosciuto al giudice il potere di valutare, in concreto, fondamento e giustificazione del rito alternativo richiesto, anche in relazione allo stato di sviluppo dell’istruttoria dibattimentale;

che la facoltà di scelta del rito da parte dell’imputato comporterebbe altresì una lesione del principio della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, sancito dall’art. 111 della Costituzione, in quanto verrebbe riconosciuto di fatto, all’imputato stesso, il potere di “espungere” prove già ammesse e non ancora assunte;

che, con riferimento alle prove articolate dalla pubblica accusa, ciò comporterebbe anche la violazione dell’art. 112 della Costituzione, poiché verrebbe vanificato, in tal modo, l’obbligo del pubblico ministero di dare impulso alla formazione della prova per l’esercizio dell’ azione penale;

che la norma impugnata si porrebbe da ultimo in contrasto con gli artt. 97, primo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione in quanto, nell’ipotesi in cui il rito abbreviato venisse richiesto soltanto da alcuni dei coimputati, si avrebbe un sensibile allungamento dei tempi di definizione del procedimento, per la duplicazione del processo e del materiale decisorio, con la compromissione, ad un tempo, tanto del principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia, quanto del nuovo, specifico vincolo costituzionale della <<ragionevole durata del processo>>.

Considerato che le ordinanze sollevano la medesima questione e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;

che il decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’Amministrazione della giustizia), convertito, con modificazioni, nella legge 19 gennaio 2001, n. 4, ha apportato rilevanti innovazioni al quadro normativo di riferimento della questione oggetto della presente decisione;

che, in particolare, l’art. 7 del citato decreto-legge ha introdotto, nel comma 1, una norma di interpretazione autentica dell’art. 442, comma 2, ultimo periodo, cod.proc.pen., stabilendo che << l’espressione “pena dell’ergastolo” deve intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno >>, ed ha aggiunto, nel comma 2, un ulteriore periodo al capoverso del medesimo art. 442 cod.proc.pen., disponendo che <<alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo>>;

 che, inoltre, a fronte di tali disposizioni, l’art. 8 del medesimo d.l. n. 341 del 2000 ha dettato una particolare disciplina transitoria per i procedimenti penali in corso, stabilendo che l’imputato, in determinate ipotesi, possa revocare la richiesta di giudizio abbreviato ovvero la richiesta di cui al comma 2 dell’art. 4-ter del d.l. n. 82 del 2000;

che, pertanto, gli atti devono essere restituiti al giudice rimettente, perché valuti se la questione sollevata sia tuttora rilevante nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2001.