Ordinanza n. 216/2001

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ORDINANZA N.216

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. da 18 a 35 del codice di procedura civile e 9 della legge 2 dicembre 1998, n. 420 (Disposizioni per i procedimenti riguardanti i magistrati),promossi con ordinanze emesse il 27 ottobre 1999 dalla Corte d'appello di Milano, il 17 gennaio 2000(n. 2 ordinanze) dal Giudice istruttore del Tribunale di Rimini, il 17 gennaio 2000 dal Presidente del Tribunale di Rimini e l'8 marzo 2000 dalla Corte d'Appello di Milano, rispettivamente iscritte ai numeri 32, 148, 149, 150 e 209 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica numeri 8, 16 e 21, prima serie speciale, dell'anno 2000.

  Visti gli atti di costituzione della R.C.S. Editori s.p.a., di Luigi Tosti e del Comune di Gazzada Schianno, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che con ordinanza del 27 ottobre 1999, iscritta al n. 32 del r.o. del 2000, la Corte d'appello di Milano - nel corso di un giudizio civile d'impugnazione contro la sentenza con cui il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda proposta (anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 30-bis del codice di procedura civile, introdotto dall’art. 9 della legge 2 dicembre 1998, n. 420, recante "Disposizioni per i procedimenti riguardanti i magistrati") da un magistrato in servizio nel distretto di Milano contro una società editrice di un quotidiano, per il risarcimento del danno derivante da diffamazione a mezzo stampa - ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. da 18 a 35 cod. proc. civ., ritenendoli in contrasto con gli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che quando sia comunque parte in causa un magistrato dello stesso ufficio dell'organo giudicante o di un ufficio dello stesso distretto, la competenza territoriale spetti al giudice del capoluogo di altro distretto, analogamente a quanto dispongono per i procedimenti penali l’art. 11 del codice di procedura penale ed ora per quelli civili l'art. 30-bis cod. proc. civ., introdotto dalla citata legge n. 420 del 1998 (che peraltro, non essendo retroattivo, non si applica ai giudizi promossi anteriormente alla sua entrata in vigore);

che, secondo il giudice rimettente, tale irretroattività rende palese la disparità di trattamento di fattispecie del tutto simili e lede il principio della terzietà del giudice;

che la società editrice si é costituita, chiedendo l'accoglimento della questione;

che é intervenuto il Presidente dei Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza della questione; che, con ordinanza del 17 gennaio 2000, iscritta al n. 148 del r.o. del 2000, il Giudice istruttore del Tribunale di Rimini - nel corso di un giudizio per risarcimento del danno vertente fra due magistrati dello stesso ufficio giudiziario, promosso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 420 del 1998, che ha introdotto l’art. 30-bis cod. proc. civ.) - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. da 18 a 36 cod. proc. civ. e dell’art. 9 della legge n. 420 del 1998, nella parte in cui non prevedono l’applicabilità del criterio di competenza territoriale di cui all’art. 30-bis cod. proc. civ. ai giudizi, nei quali sia parte un magistrato, pendenti alla data della sua entrata in vigore;

che, ad avviso del remittente, le norme impugnate contrastano con l’art. 111 Cost. (perchè il principio del giusto processo vale per tutti i processi civili, anche se in corso all’epoca della novella) e con l’art. 3 Cost. (per l’irragionevole disparità di trattamento del regime della competenza, tra cause riguardanti magistrati anteriori alla riforma del 1998, per le quali il foro domestico é passibile di sospetti di parzialità, e cause successive, devolute ad un foro neutro esente da tali sospetti);

che é intervenuto il Presidente dei Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della questione;

che, con ordinanza in data 17 gennaio 2000, iscritta al n. 149 del r.o. del 2000, il Giudice istruttore del Tribunale di Rimini - nel corso di un giudizio di risarcimento dei danni promosso (anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 30-bis cod. proc. civ., introdotto dalla legge n. 420 del 1998) da un magistrato dello stesso ufficio giudiziario - ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., una questione di legittimità costituzionale identica a quella sollevata con l’ordinanza registrata al n. 148 del 2000;

che é intervenuto il Presidente dei Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, formulando argomentazioni e conclusioni identiche a quelle presentate nel giudizio di cui all’ordinanza citata;

che, con ordinanza del 17 gennaio 2000, iscritta al n. 150 del r.o. del 2000, il Presidente del Tribunale di Rimini - richiesto da un giudice di quel Tribunale dell’autorizzazione ad astenersi per gravi ragioni di convenienza ex art. 51, secondo comma, cod. proc. civ., in una causa di risarcimento dei danni promossa, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 30-bis cod. proc. civ., da un magistrato <<all’epoca dei fatti>> in servizio presso lo stesso Tribunale - ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., una questione di legittimità costituzionale identica a quella sollevata con le ordinanze iscritte ai nn. 148 e 149 del 2000;

che é intervenuto il Presidente dei Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità della questione per difetto di legittimazione del rimettente e per difetto di rilevanza;

che si é pure costituita la parte attrice del giudizio, in relazione al quale era stata avanzata la richiesta di autorizzazione all'astensione, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di manifesta infondatezza della sollevata questione;

che, con ordinanza in data 8 marzo 2000, iscritta al n. 209 del r.o. del 2000, la Corte d’appello di Milano - premesso che l’art. 30-bis cod. proc. civ., data l’irretroattività della legge n. 420 del 1998 che lo ha introdotto, non si applica ai giudizi in corso in cui sia parte un magistrato; che la soggezione di tali giudizi alla disciplina previgente crea un’ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti aventi identica posizione processuale; e che, per questi profili, lo stesso giudice aveva già sollevato in altro giudizio, con l’ordinanza iscritta al n. 32 del 2000, la questione di legittimità costituzionale degli artt. da 18 a 35 cod. proc. civ., in riferimento agli artt. 3, 24 e 101 Cost. - ha sospeso il giudizio sino alla decisione della questione: in seguito, gli atti sono pervenuti alla Corte costituzionale;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità in quanto con l’ordinanza in esame non é stata sollevata alcuna questione di legittimità costituzionale.

Considerato che le cinque ordinanze indicate in epigrafe propongono, in riferimento a vari parametri costituzionali, la stessa questione di legittimità costituzionale e possono quindi essere riunite;

che l’ordinanza n. 150 del 2000 - pronunziata dal Presidente del Tribunale, in sede di provvedimento sulla richiesta di astensione ex art. 51 cod. proc. civ. - é manifestamente inammissibile, in quanto la Corte ha già altra volta affermato (ordinanza n. 35 del 1988) che il relativo procedimento non é un <<giudizio>> ai fini degli artt. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;

che rimane conseguentemente assorbito il profilo di inammissibilità concernente l’eccepita irrilevanza, ai fini della decisione sulla richiesta di astensione, della disciplina della competenza territoriale;

che l’ordinanza n. 209 del 2000 non ha rimesso espressamente alla Corte la questione prospettata, ma ha solo rilevato che essa già pende a seguito di altra ordinanza di rimessione emessa in altro giudizio pendente avanti allo stesso ufficio, e ha disposto la sospensione del giudizio in attesa della sua definizione, dopo di che gli atti sono pervenuti alla Corte costituzionale, pur in assenza di un formale provvedimento di trasmissione;

che, peraltro - non essendo stata la Corte sollecitata a valutare la conformità di una norma ordinaria alla Costituzione - non può ritenersi proposto un vero giudizio incidentale di legittimità costituzionale, onde l'ordinanza risulta irricevibile e gli atti devono essere rinviati al giudice a quo (ordinanze n.264 del 1995 e n.9 del 1991);

che le ordinanze iscritte ai nn. 148 e 149 dubitano della conformità agli artt. 3 e 111 Cost. e quella iscritta al n. 32 della conformità agli artt.3, 24 e 101 Cost., della disciplina della competenza territoriale per le cause civili - nelle quali siano comunque parti magistrati in servizio nel distretto ove ha sede il giudice competente secondo i criteri ordinari - in corso all’entrata in vigore della legge n. 420 del 1998, che ha introdotto nel codice di procedura civile l’art. 30-bis, in quanto per tali cause non é previsto un foro derogatorio rispetto ai normali criteri di competenza territoriale;

che - ponendo tale questione - i giudici remittenti, in sostanza, censurano l’esercizio da parte del legislatore del potere discrezionale di determinare il momento iniziale dell’applicazione della nuova disciplina della competenza territoriale per le cause civili in esame, ed in particolare la soluzione di lasciare i giudizi in corso assoggettati alla disciplina previgente;

che - in linea di massima - la scelta in ordine all’applicabilità o meno di nuove norme processuali ai giudizi in corso rientra nella discrezionalità del legislatore, salvo il rispetto della ragionevolezza e degli altri principi costituzionali;

che, nel caso in esame, la scelta legislativa, valutata in riferimento all'art. 3 Cost., non può dirsi irragionevole o discriminatoria, considerando - anche alla luce della regola generale dell'irrilevanza dei mutamenti della legge regolatrice della competenza intervenuti dopo la proposizione della domanda (art. 5 cod. proc. civ.) - che la situazione dei processi pendenti, per la varietà dello stato in cui potevano trovarsi, era intrinsecamente diversa da quella dei processi che sarebbero stati instaurati dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina;

che siffatta peculiarità dei giudizi in corso mostra anche, a chiare note, l'infondatezza della censura di violazione del principio del << giusto processo >> di cui all'art. 111 Cost., in quanto il loro generalizzato assoggettamento alla nuova regola - comportando la sopravvenuta incompetenza di giudici aditi quando erano competenti, l'eventuale azzeramento dell'attività processuale già svolta e la conseguente regressione dello stato del giudizio - avrebbe potuto talora risolversi nella lesione (e non nella tutela ) di quel principio, come nei casi in cui di competenza non si fosse mai discusso e lo stato del processo avesse reso ormai conveniente per le parti la sua definizione in termini di << ragionevole durata >>;

che, in ordine agli artt. 24 e 101 Cost., l'ordinanza che li invoca non fornisce alcuna motivazione;

che, pertanto, la questione é manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 18 a 36 del codice di procedura civile e dell’art. 9 della legge 2 dicembre 1998, n. 420 (Disposizioni per i procedimenti riguardanti i magistrati), sollevata , in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Presidente del Tribunale di Rimini con l’ordinanza indicata in epigrafe, iscritta al n. 150 del r.o. del 2000;

ordina il rinvio alla Corte di appello di Milano degli atti del giudizio cui si riferisce l'ordinanza indicata in epigrafe, iscritta al n. 209 del r. o. del 2000;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 18 a 35 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione, dalla Corte di appello di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe, iscritta al n. 32 del r.o. del 2000;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. da 18 a 36 del codice di procedura civile, e dell'art. 9 della legge 2 dicembre 1998, n. 420, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Giudice istruttore del Tribunale di Rimini con le ordinanze indicate in epigrafe, iscritte ai numeri 148 e 149 del r.o. del 2000.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2001.