Ordinanza n. 126/2001

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ORDINANZA N.126

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI                     

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 461, comma 3, e 460, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani con ordinanza emessa il 29 maggio 2000, iscritta al n. 487 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2000.

  Udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che con ordinanza del 29 maggio 2000 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani ha sollevato due diverse questioni di legittimità costituzionale: a) dell'art. 461, comma 3, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76 e 111 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice che ha emesso decreto penale di condanna a deliberare, a seguito di opposizione al decreto stesso, sulla richiesta di giudizio immediato o di giudizio abbreviato o di applicazione della pena; b) dell'art. 460, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, in relazione agli artt. 464, comma 3, 417, comma 1, lettera b), e 552, comma 1, lettera c) dello stesso codice, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna deve contenere l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto e delle circostanze;

  che circa la questione relativa all'art. 461, comma 3, cod. proc. pen. il rimettente, premesso in fatto che l'imputato, nei cui confronti aveva emesso decreto penale di condanna, ha formulato con l'atto di opposizione richiesta di giudizio immediato, rileva che la valutazione espressa dal giudice in sede di emissione del decreto penale, in quanto concernente la configurabilità del reato e la riferibilità dello stesso all'imputato, lo renderebbe incompatibile a continuare a trattare del procedimento a seguito di opposizione, soprattutto allorquando con l'atto di opposizione venga formulata richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen.;

  che, in particolare, la lesione degli artt. 3 e 24 Cost. sarebbe conseguenza del <<trattamento pregiudizievole riservato all'imputato poichè la sua posizione ha già formato oggetto di valutazione da parte [del] giudice investito della richiesta di decreto penale di condanna>>, ora <<chiamato a giudicarlo sullo stesso fatto in sede di opposizione>>;

  che sarebbero altresì violati il principio del giudice naturale (art. 25 Cost.), l'art. 76 Cost., per contrasto con i principi della terzietà e della imparzialità del giudice, richiamati dall'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, nonchè il principio del giusto processo (art. 111 Cost.), che impone che il giudizio si formi in base al razionale apprezzamento delle prove raccolte ed acquisite e non abbia a subire l'influenza di valutazioni sul merito dell'imputazione già espresse in precedenza;

  che, con riferimento alla seconda questione di legittimità costituzionale, il rimettente rileva che la legge 16 dicembre 1999, n. 479, ha introdotto negli artt. 417, comma 1, lettera b), e 552, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., fra i requisiti, rispettivamente, della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto di citazione a giudizio, l'enunciazione "in forma chiara e precisa" del fatto e delle circostanze, allo scopo di vincolare l'organo della pubblica accusa alla formulazione di un addebito il più possibile specifico, dettagliato e comprensibile e consentire l'esercizio del diritto di difesa della persona incolpata, come imposto dall'art. 111, terzo comma, Cost.;

  che, tuttavia, analoga previsione non é stata estesa al decreto penale di condanna, con conseguente pregiudizievole disparità di trattamento degli imputati nei confronti dei quali si procede per decreto rispetto agli imputati per i quali si procede con richiesta di rinvio a giudizio o con decreto di citazione a giudizio, in quanto la chiarezza e la precisione dell'imputazione assicurano una maggiore tutela dei diritti della difesa.

  Considerato che con la prima questione di legittimità costituzionale il rimettente lamenta che l'art. 461, comma 3, del codice di procedura penale attribuisca allo stesso giudice che ha pronunciato il decreto penale di condanna la competenza ad emettere i provvedimenti conseguenti alla richiesta di giudizio immediato o di giudizio abbreviato o di applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., formulata con l'atto di opposizione al decreto;

  che ad avviso del rimettente tale disciplina determinerebbe una situazione di incompatibilità, in quanto il giudice chiamato ad emettere i provvedimenti di cui all'art. 464, comma 1, cod. proc. pen. sarebbe pregiudicato dal precedente esame sul merito della medesima res judicanda;

  che nell'ordinanza di rimessione il giudice a quo precisa che con l'atto di opposizione é stata presentata richiesta di giudizio immediato, per cui la questione é rilevante solo per la parte in cui é riferita al decreto che dispone il giudizio immediato;

  che, mentre la pronuncia con cui il giudice accoglie o rigetta la richiesta di decreto penale di condanna ha effetti pregiudicanti sulla funzione di giudizio (v. sentenza n. 502 del 1991, nonchè il testo dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen.), il decreto che dispone il giudizio immediato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, in quanto atto che non contiene alcuna valutazione di merito, non rientra tra le funzioni suscettibili di essere pregiudicate nei termini precisati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di incompatibilità (v., per tutte, sentenza n. 131 del 1996);

  che infatti, a differenza della decisione sull'ammissibilità del giudizio immediato disciplinato dagli artt. 453 e seguenti cod. proc. pen., che implica una valutazione sull'evidenza della prova e, quindi, sulla <<verosimile attribuibilità del fatto all'imputato>>, idonea a radicare un pregiudizio nei confronti di successive decisioni di merito (cfr. sentenze n. 261 del 1992 e n. 401 del 1991), il decreto con cui viene disposto il giudizio immediato a seguito di opposizione a decreto penale deve essere adottato indipendentemente da qualsiasi valutazione circa l'evidenza della prova o da altre condizioni di ammissibilità;

  che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata;

  che il giudice rimettente lamenta anche che - a differenza di quanto previsto dagli artt. 417, comma 1, lettera b), e 552, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., ove si stabilisce, con riferimento, rispettivamente, alla richiesta di rinvio a giudizio e al decreto di citazione a giudizio, che l'enunciazione del fatto e delle circostanze venga effettuata "in forma chiara e precisa" - l'art. 460, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. non indichi tale elemento tra i requisiti del decreto penale di condanna;

  che l'omissione determinerebbe la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. a causa della irragionevole disparità di trattamento in danno dell'imputato nei cui confronti si procede con decreto penale di condanna, ostacolato nell'esercizio del diritto di difesa da una contestazione imprecisa e generica;

  che la censura é priva di fondamento, in quanto il decreto penale ha valore di pronuncia di condanna, sicchè i fatti per i quali si afferma la responsabilità dell’imputato debbono necessariamente essere descritti in forma chiara, precisa e circostanziata, trattandosi non di capi di imputazione, ma, salva la facoltà dell’imputato di proporre opposizione, di veri e propri capi di condanna;

  che l'introduzione nella lettera b) dell'art. 460 cod. proc. pen. di una integrazione analoga a quella che ha interessato la richiesta di rinvio a giudizio e il decreto di citazione a giudizio (nonchè il decreto che dispone il giudizio disciplinato dall'art. 429, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.) non sarebbe quindi conferente con la natura e con i possibili effetti di pronuncia irrevocabile di condanna del decreto penale;

  che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 461, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani, con l'ordinanza in epigrafe;

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione, come sopra sollevata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2001.