Ordinanza n. 69/2001
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ORDINANZA N. 69

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI  

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA  

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n.507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n.205), promosso con ordinanza emessa il 2 febbraio 2000 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da G. F., iscritta al n. 211 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 2 febbraio 2000, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), recante modifica dei presupposti per la dichiarazione di abitualità in contrabbando, di cui all’art. 297 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale);

 che la Corte rimettente deduce, in punto di fatto, di essere investita dell’impugnazione proposta dall’imputato avverso la sentenza di secondo grado, confermativa (salva la correzione di un errore materiale nel dispositivo) di quella emessa in prime cure, che lo aveva condannato per reati previsti dal d.P.R. n. 43 del 1973 e dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dichiarato delinquente abituale in contrabbando: impugnazione a sostegno della quale il ricorrente aveva dedotto, tra l’altro, con motivi aggiunti, la carenza dei presupposti per la dichiarazione di abitualità, a seguito della modifica introdotta dalla norma denunciata;

 che — premessa la rilevanza della questione nel giudizio a quo, dovendo la dichiarazione di abitualità essere in effetti valutata alla luce del nuovo quadro normativo — la Corte rimettente osserva, quanto alla non manifesta infondatezza, come la disposizione sottoposta a scrutinio di costituzionalità appaia emanata in violazione dei limiti della delega legislativa conferita al Governo dagli artt. 1 e 6 della legge 25 giugno 1999, n. 205, delega che aveva ad oggetto la depenalizzazione di alcuni fatti di contrabbando, e non anche una nuova disciplina del contrabbando abituale;

 che, ad avviso del giudice a quo, la modifica censurata — per effetto della quale, ai fini della dichiarazione di abitualità in contrabbando, l’ammontare complessivo del tributo sottratto o che si tentava di sottrarre con i fatti di contrabbando di cui alle precedenti tre condanne deve essere non inferiore a lire ventuno milioni (anziché a lire cinquantamila, come precedentemente previsto) — non potrebbe essere considerata neppure come una necessaria conseguenza della riforma introdotta dall’art. 25 dello stesso d.lgs. n. 507 del 1999, che ha depenalizzato i fatti di contrabbando quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti non superi lire sette milioni;

 che l’ambito di operatività dell’art. 26 del d.lgs. n. 507 del 1999 va, infatti, al di là della materia regolata dall’art. 25: giacché, mentre tale ultima disposizione — in linea con i principi fissati dalla legge di delegazione — ha espressamente escluso dalla depenalizzazione il contrabbando di tabacco lavorato estero, la norma impugnata, modificando l’art. 297 del d.P.R. n. 43 del 1973, risulta al contrario riferibile a qualsiasi tipo di contrabbando;

 che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di infondatezza della questione.

 Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, l’art. 9 della legge 29 settembre 2000, n. 300 (Ratifica ed esecuzione dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all’articolo K. 3 del Trattato sull’Unione europea: Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27 settembre 1996, del Protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee, di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996, nonché della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997. Delega al Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 25 ottobre 2000, ha ulteriormente elevato il limite quantitativo per la dichiarazione di abitualità in contrabbando, di cui all’art. 297 del d.P.R. n. 43 del 1973 — riferito all’ammontare complessivo dei diritti sottratti o che si tentava di sottrarre con le violazioni oggetto di precedente condanna — fissandolo in lire ventitré milioni duecentotrentacinquemila;

 che, pertanto, va disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente affinché valuti se, a fronte di tale sopravvenuta modifica — disposta con legge ordinaria —, la questione di legittimità costituzionale sollevata sia tuttora rilevante nel procedimento a quo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti alla Corte di cassazione.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2001.