Ordinanza n. 67/2001

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 67

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI 

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido  NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 (Disposizioni in materia di determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto e di contenzioso tributario, nonché altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165, promosso con ordinanza emessa il 25 gennaio 1999 dalla Corte di cassazione, sul ricorso proposto dal Ministero delle finanze contro l’E.N.I. S.p.A., iscritta al n. 322 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visti l’atto di costituzione dell’E.N.I. S.p.A. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2001 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l’avvocato Franco Gallo per l’E.N.I. S.p.A. e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che ¾ nel corso di un giudizio promosso dall'E.N.I. S.p.A. nei confronti dell'Amministrazione finanziaria ¾ la Corte di cassazione, con ordinanza del 25 gennaio 1999, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 (Disposizioni in materia di determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto e di contenzioso tributario, nonché altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165;

che il rimettente ha denunciato detta disposizione nella parte concernente la disciplina temporale della modifica apportata, con il precedente art. 1, comma 1, lettera c), al testo originario dell’art. 14, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), il quale prevedeva che, ai fini della determinazione dell’imposta, l’ammontare del credito di imposta dovesse essere computato in aumento del reddito complessivo netto;

che, ad avviso del rimettente, detta modifica ¾ consistente nell'eliminazione dell'aggettivo "netto" dalla locuzione "reddito complessivo netto" ¾ trova applicazione, giusta quanto disposto dalla norma sospettata di incostituzionalità, a partire dal periodo di imposta 1989, con la conseguenza che per il periodo di imposta 1988 è rimasto in vigore, nella sua formulazione originaria, il ricordato art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986;

che il rimettente, nel richiamare la tesi secondo la quale la disciplina sopravvenuta ¾ introdotta dal decreto-legge n. 90 del 1990 al fine di consentire la compensazione tra credito di imposta e perdite pregresse di esercizio, impedita dal regime vigente per l'anno 1988 ¾ avrebbe portata innovativa e non interpretativa, esclude, tuttavia, che l’art. 14, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, nel testo originario, arrechi un vulnus agli artt. 53 e 3 della Costituzione;

che, in particolare, secondo l'ordinanza si tratterebbe di una norma di "agevolazione (in senso atecnico)", espressiva di una discrezionalità del legislatore, tale da non consentire di sindacare né il fatto che lo stesso legislatore "abbia indicato, al solo fine della attribuzione della agevolazione, un sistema di individuazione dell’imponibile diverso da quello ordinario", né il fatto che, a causa di situazioni contingenti, si determinino trattamenti differenziati;

che il medesimo giudice a quo ritiene, invece, che sia la disposizione censurata a porsi in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, giacché, avendo il legislatore ritenuto ragionevole il ripristino, attraverso il decreto-legge n. 90 del 1990, della disciplina vigente prima del testo unico del 1986, siffatta circostanza renderebbe irragionevole la non applicazione della stessa per il solo anno 1988;

che, ad avviso dell'ordinanza, la “sospetta irragionevolezza” sarebbe rafforzata sia dal fatto che la agevolazione (in senso atecnico), mantenuta in vigore per il 1988, “è correlata ad un fenomeno economico non eccezionale, ma normale”; sia perché, ai fini dell’operatività di detta agevolazione, il legislatore stesso ha adottato "un meccanismo di ricostruzione del reddito del soggetto" per il quale, ai dividendi "non ricevuti", è stata conferita "una valenza diversa" da quella, allo stesso fine, attribuita, ai medesimi dividendi, "per gli anni contigui" e ciò non in consonanza con la "genesi e finalità dell’agevolazione", in virtù delle quali appariva "congruo, al fine specifico, attribuire ai dividendi non ricevuti la stessa natura di quelli ricevuti”;

che si è costituita in giudizio l’E.N.I. S.p.A., resistente nel giudizio a quo, invocando una declaratoria di illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, “dell’art. 14, comma 4, TUIR nel testo originario, ove interpretato nel senso indicato dall’ordinanza di rimessione”;

che, peraltro, la medesima parte, con memoria depositata in prossimità dell'udienza, ha concluso per la incostituzionalità della disposizione denunciata, sollecitando, in via subordinata, una pronuncia interpretativa di rigetto;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’infondatezza della sollevata questione, eccependone, altresì, con successiva memoria, l'inammissibilità.

Considerato che l'art. 14, comma 3, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165, viene denunciato in quanto, secondo il rimettente, non permette l'applicazione retroattiva, per l'anno 1988, della modifica apportata dall'art. 1, comma 1, lettera c), del medesimo decreto-legge n. 90 del 1990, al testo originario dell'art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, così determinando, per tale anno, l’impossibilità di operare una compensazione tra credito d’imposta e perdite pregresse di esercizio, atteso che l'ammontare del credito d’imposta deve computarsi in aumento del reddito complessivo netto e non già, come consentito dalla menzionata modifica normativa, in aumento del reddito complessivo;

che il giudice a quo, muovendo dalla premessa per cui la disciplina contemplata dall'originaria disposizione dell'art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, è frutto di una discrezionalità legislativa esercitata in modo tale da non ledere i principi dettati dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, ritiene, tuttavia, che lo stesso legislatore, nel porre la norma denunciata, abbia fatto un uso irragionevole della propria discrezionalità e ciò per non aver conferito portata retroattiva ad un regime che, in quanto analogo a quello in vigore prima del d.P.R. n. 917 del 1986, risulterebbe, per ciò stesso, intrinsecamente ragionevole;

che, così argomentando, l'ordinanza, sebbene invochi l'estensione di un regime a discapito dell'altro, nega che la disposizione applicabile per il 1988 si presti a dubbi di costituzionalità, mostrando, in definitiva, di ritenere ambedue le discipline sostanziali, succedutesi nel tempo, frutto, di per sé, di un esercizio non censurabile della discrezionalità del legislatore;

che, peraltro, disattendendo una siffatta prospettazione, già di per sé contraddittoria, il giudice a quo solleva, nella medesima ordinanza, dubbi di costituzionalità che investono, a ben vedere, non tanto le disposizioni portate al vaglio di questa Corte, quanto la disciplina dettata originariamente dall'art. 14, comma 4, del d.P.R. n. 917 del 1986, la quale, pur tuttavia, non viene denunciata, malgrado costituisca la norma applicabile, ratione temporis, alla fattispecie sottoposta a cognizione nel giudizio principale;

che, pertanto, alla stregua del consolidato orientamento della Corte, la questione, così prospettata in termini contraddittori, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile (vedi, tra le altre, ordinanze n. 7 e n. 435 del 2000, n. 373 del 1999).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90 (Disposizioni in materia di determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto e di contenzioso tributario, nonché altre disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2001.