Ordinanza n. 62/2001

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ORDINANZA N.62

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 3-nonies, del decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323 (Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pubblica), introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1996, n. 425, promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1999 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente tra Bertoloni Marisa e il Ministero dell'interno ed altro, iscritta al n. 486 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che il Tribunale di Venezia, aderendo alla richiesta di parte, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-nonies, del decreto- legge 20 giugno 1996, n. 323 (Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pubblica), introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1996, n. 425, nella parte in cui abroga l’art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (che prevedeva verifiche programmate dei requisiti prescritti per il godimento dei benefici in materia di invalidità civile e simili, con la ripetizione dei ratei versati nell’ultimo anno precedente la data dell’accertamento nel caso di accertata insussistenza, ove il beneficiario non rinunciasse a goderne dalla data stessa);

che in punto di fatto, il giudice a quo precisa che il giudice di primo grado aveva respinto, in applicazione dell’art. 11, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, il ricorso proposto dall’interessata avverso il provvedimento ministeriale di revoca, determinato a seguito di nuovi accertamenti sanitari (15 giugno 1994), che diagnosticavano una riduzione del grado di invalidità al cinquanta per cento;

che il giudice rimettente osserva che l’art. 11, comma 4, della legge n. 537 del 1993, che sanzionava la tardiva adesione dell’interessato alle pretese dell’erario con la perdita delle provvidenze già maturate nell’anno anteriore al nuovo accertamento medico, suscitava forti sospetti di illegittimità costituzionale, in quanto introduceva di fatto una rilevante limitazione del diritto di difesa ed una ingiustificata distinzione tra i destinatari delle provvidenze a cui veniva applicato un trattamento diverso a seconda dell’epoca in cui fosse stata disposta la cessazione delle provvidenze;

che tali dubbi non sarebbero venuti meno a seguito della legge 8 agosto 1996, n. 425, che ha disposto l’abrogazione del summenzionato art. 11 della legge n. 537 del 1993, in quanto tale abrogazione sarebbe avvenuta ex nunc, senza disporre per il passato;

che nella specie, la verifica della correttezza e della legittimità del provvedimento di revoca delle provvidenze economiche e della ripetizione dei ratei corrisposti all’interessata nell’anno precedente, nonché di quelli successivi, dovrebbe essere effettuata previa ricostruzione della normativa da applicarsi: in primo luogo l’art. 3-ter della legge 21 febbraio 1977, n. 29, ed, in subordine, l’art. 11, comma 4, della legge n. 537 del 1993;

che ne conseguirebbe - sempre secondo il giudice di merito - la rilevanza della questione, in quanto la disciplina della normativa del 1977 è stata abrogata dalla legge n. 537 del 1993, mentre alla nuova normativa di cui all’art. 4, comma 3-nonies, del d.l. n. 323 del 1996, introdotto dalla legge di conversione n. 425 del 1996, non è stata conferita efficacia retroattiva;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che sulla legittimità dell’art. 11, comma 4, della legge n. 537 del 1993 la Corte si è già pronunciata, non ravvisando alcuna violazione dei principi costituzionali; conseguentemente non è dato dubitare della conformità a Costituzione neanche della norma abrogativa di cui all’art. 4, comma 3- nonies, del d.l. n. 323 del 1996, introdotto dalla legge di conversione n. 425 del 1996, la quale produrrebbe i propri effetti, secondo i principi generali, dalla data di entrata in vigore.

Considerato che questa Corte (sentenza n. 382 del 1996), sia pure con riferimento a fattispecie circoscritta a ipotesi di intervenuta rinuncia al godimento della indennità di accompagnamento, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale (proposte in riferimento agli stessi parametri degli artt. 3 e 24 della Costituzione) della norma oggetto di abrogazione da parte della disposizione denunciata in questa sede (art. 4, comma 3-nonies, del d.l. 20 giugno 1996, n. 323, introdotto con la legge di conversione 8 agosto 1996, n. 425);

che la citata sentenza n. 382 del 1996 ha rilevato le peculiarità della indennità in contestazione in relazione alle quali non poteva essere invocato il principio di irripetibilità, introdotto non in via generale, ma con alterne vicende nel settore previdenziale, in parte derogatorio rispetto ai principi regolanti l’indebito nel codice civile;

che la previsione della ripetizione dei ratei considerati per il periodo di un anno dalla data dell’effettuazione dell’accertamento-verifica in caso di mancata rinuncia ai benefici presuppone che non ricorra l’ipotesi comprovata - come in caso di cure o interventi riabilitativi - che la diminuzione del grado di invalidità (tale da condurre ad escludere la permanenza dei requisiti per il godimento dei benefici) sia intervenuta in periodo inferiore all’anno prima dell’accertamento-verifica;

che, pertanto, quale che sia l’effetto della abrogazione disposta dalla norma denunciata (la cui valutazione rientra nelle attribuzioni del giudice a quo), risulta evidente che non sussiste la denunciata violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che pertanto la sollevata questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3-nonies, del decreto-legge 20 giugno 1996, n. 323 (Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pubblica), introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1996, n. 425, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 marzo 2001.