Ordinanza n. 61/2001

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ORDINANZA N. 61

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito nella legge 24 aprile 1989, n. 144, come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1989, n. 332 (Misure fiscali urgenti), convertito nella legge 27 novembre 1989, n. 384, promosso con ordinanza emessa il 7 dicembre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Genova sul ricorso proposto dallo Studio dentistico Quaglia Tartarini contro il Comune di Genova, iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che la Commissione tributaria provinciale di Genova ha sollevato, con ordinanza emessa il 7 dicembre 1999, su ricorso proposto da uno Studio dentistico associato per l'annullamento dell'avviso di accertamento per rettifica d'ufficio emesso dal Comune di Genova (per l’imposta comunale per l’esercizio di imprese arti e professioni ICIAP, per l’anno 1992), questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito nella legge 24 aprile 1989, n. 144, come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1989, n. 332 (Misure fiscali urgenti), convertito nella legge 27 novembre 1989, n. 384, "nella parte in cui non prevede una parametrazione del reddito in rapporto al Comune ove è stato prodotto";

che con l'atto impugnato (avviso di accertamento per rettifica), il Comune di Genova aveva rideterminato l'imposta, prendendo a base il reddito complessivamente accertato, in luogo di quello dichiarato dal ricorrente; questi aveva seguito il diverso metodo di ripartire l'intero reddito conseguito nell'anno 1992 tra le tre diverse sedi, ove lo studio associato svolgeva la propria attività in rapporto al tempo dedicato;

che il giudice a quo sottolinea che la disposizione impugnata prevede che i redditi d'impresa o di arte e professione del contribuente vadano assunti nella loro interezza, nel senso che essi non debbano essere ripartiti in quote formate in rapporto alla ubicazione degli insediamenti produttivi in più comuni;

che l’indice rilevatore di redditività, cui è commisurata l'imposta, ha come base di riferimento principale la dimensione dell'immobile adibito all'esercizio di attività, con il correttivo individuato nel reddito complessivamente prodotto;

che - sempre secondo il giudice rimettente - mantenendo per ciascun comune invariato e non ripartito il "correttivo", si avrebbe una "duplicazione" dell'imposta ed una disuguaglianza tra contribuenti che esplicano la propria attività in un'unica sede o in sedi diverse poste in comuni distinti, con conseguente violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, la quale, dopo aver rilevato una carenza di motivazione in punto di rilevanza, ha concluso per la infondatezza della questione;

che, in prossimità della data fissata per la camera di consiglio, la difesa dello Stato ha depositato una memoria, in cui ribadisce le proprie conclusioni in ordine alla infondatezza della questione, sviluppando le proprie tesi difensive.

Considerato che la norma denunciata prevede la determinazione della imposta comunale (ICIAP) in base alla attività esercitata (secondo settori di attività aventi una diversa tariffazione) e per classi di superficie utilizzata, secondo una tabella che attuava un sistema tariffario con andamento nel complesso regressivo (riferito a scaglioni fissi di superficie fino a 25, 50, 100, 200, 500, 4000, 10000, oltre 10000 e per ogni 10000 mq.);

che la determinazione dell’imposta ICIAP (ora abolita) era effettuata "separatamente per ciascun comune" nell’ambito del cui territorio erano ubicati gli insediamenti produttivi ed era dovuta a ciascun comune secondo gli anzidetti criteri (classe di superficie, con differenziazione secondo la effettiva destinazione d’uso a seconda dei settori di attività) e con ripartizione della superficie tra più comuni in caso di utilizzo di insediamenti in territorio di più comuni, mentre nel caso di pluralità di insediamenti nello stesso comune si procedeva ad una somma delle loro superficie con vantaggio del contribuente in relazione alla tariffa per classi di superficie ad andamento regressivo;

che la tariffa prevede una serie di esclusioni dal computo della superficie, agevolatorie in relazione alla utilizzazione per determinate finalità o incentivanti dei parcheggi per dipendenti e clienti, ovvero riduzioni (di superficie calcolabile) per le imprese artigiane, nonché un ulteriore correttivo di riduzione o di aumento dell’imposta a seconda del livello di reddito di impresa, di arti e professioni (rispettivamente se inferiore a 12 milioni o se superiore a 50 milioni);

che è evidente che il riferimento (per la riduzione o l’aumento della misura base dell’imposta) al reddito secondo due distinti limiti (fino a ovvero superiore a) non è un parametro base del calcolo della imposta, che rimane ragguagliata non al reddito dell’insediamento, ma alla classe di superficie e alla tipologia del settore di attività (nel caso promiscua si assume quella a più elevata imposizione), ma semplicemente un correttivo tariffario che tiene giustamente conto della capacità contributiva e della redditività della attività nel complesso considerate, proprio in relazione all’andamento regressivo per classi di superficie;

che il sistema (correlato alla particolare utilizzazione dei servizi comunali in due comuni distinti, con pluralità di separati insediamenti, da parte dei soggetti titolari di specifica attività di impresa, arte o professione), non presenta, pertanto, né una duplicazione dell'imposta, atteso il ragguaglio della misura base alla superficie nel singolo comune, né una manifesta irragionevolezza, tenuto conto della maggiore capacità contributiva di una attività professionale esercitata con locali attrezzati in più comuni (l’imposizione riguarda la categoria di attività professionale con pluralità di studi dentistici), né una violazione della capacità contributiva, con conseguente esclusione della denunciata violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito nella legge 24 aprile 1989, n. 144, come modificato dal decreto-legge 30 settembre 1989, n. 332 (Misure fiscali urgenti), convertito nella legge 27 novembre 1989, n. 384, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 marzo 2001.