Ordinanza n. 59

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ORDINANZA N. 59

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 13 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), promossi con ordinanze emesse l'8 gennaio 2000 dal Tribunale di Torino, iscritte rispettivamente ai nn. 199 e 200 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che, con due ordinanze di analogo contenuto in data 8 gennaio 2000, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento all'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 340, comma 4, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 13 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), "nella parte in cui, per l'ipotesi di mancata accettazione espressa o tacita della remissione di querela, pone le spese del procedimento a carico del querelato anziché del remittente";

che, in entrambe le ordinanze, il giudice a quo riferisce di essere chiamato a decidere su richieste di archiviazione avanzate dal pubblico ministero per essere i reati estinti per intervenuta remissione di querela; rilevato che non risulta accettazione da parte dei querelati, osserva che, per l'efficacia giuridica della remissione di querela, è sufficiente, secondo la sua interpretazione della giurisprudenza di legittimità, la mancanza di rifiuto espresso o tacito della remissione stessa da parte del querelato;

che - argomenta ancora il giudice a quo - si verserebbe in ipotesi di "declaratoria di avvenuta estinzione del reato", a cui dovrebbe necessariamente seguire la statuizione in merito alle spese processuali, le quali, considerata l'assenza di qualsivoglia accordo contrario delle parti (non essendo stata interpellata la persona sottoposta alle indagini), andrebbero poste a carico del querelato ai sensi dell'art. 340, comma 4, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 13 della legge n. 205 del 1999;

che, sempre ad avviso del giudice torinese, mentre nei casi di accettazione espressa o tacita della remissione potrebbe presumersi che il querelato abbia dato il suo assenso all'accollo delle spese processuali, nelle ipotesi in cui non consti alcuna accettazione le spese verrebbero poste a carico del querelato a sua insaputa, senza che egli abbia avuto l'opportunità di determinarsi in ordine alla remissione e conseguentemente alle spese stesse;

che in ciò il giudice a quo ravvisa un contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, poiché, da un lato, l'accollo delle spese si tradurrebbe "in una statuizione sostanzialmente di condanna avente [...] una portata deteriore e negativa per il soggetto nei cui confronti è indirizzata", e, dall'altro, "venendo tale statuizione ad incidere su una posizione soggettiva del destinatario, preliminarmente alla stessa (dovrebbe) essere assicurato a quest'ultimo l'esercizio di un proprio diritto di difesa";

che in giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata, in quanto il mutato quadro normativo, a seguito della legge n. 205 del 1999, dovrebbe portare a respingere l'interpretazione che, ai fini dell'efficacia giuridica della remissione di querela, ritiene sufficiente l'assenza di rifiuto, espresso o tacito, del querelato.

Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni analoghe e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi unitariamente;

che, in entrambe le ordinanze, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di una disposizione (l'art. 340, comma 4, cod. proc. pen., come modificato dall'art. 13 della legge 25 giugno 1999, n. 205) che, nelle fattispecie sottoposte al suo esame (richiesta di archiviazione per estinzione del reato a seguito di remissione di querela), egli non è chiamato ad applicare;

che, infatti, nessuna disposizione del codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di provvedere sulle spese del procedimento quando questo si concluda con l'archiviazione;

che si tratta di una consapevole scelta legislativa intesa a marcare la differenza tra l'archiviazione e le sentenze di non luogo a procedere o di proscioglimento e a rendere possibile la condanna alle spese del procedimento solo a seguito dell'esercizio dell'azione penale (artt. 427 e 542 cod. proc. pen.);

che la non configurabilità di una condanna al rimborso delle spese nel provvedimento di archiviazione (cfr. la sentenza n. 134 del 1993), trova la sua ragion d'essere proprio nella circostanza che un'azione penale non è stata intrapresa e che, pertanto, nessun accertamento può essere compiuto se non quello che investe i motivi per quali l'archiviazione è disposta;

che ciò è vero sia nelle ipotesi di archiviazione per infondatezza della notizia di reato (art. 409), sulle quali si è soffermata questa Corte nel precedente appena citato, sia in quelle previste dall'art. 411, e cioè nei casi in cui manca una condizione di procedibilità, ovvero, come nella specie, il reato è estinto, o ancora il fatto non è previsto dalla legge come reato: fattispecie, queste, che hanno tutte in comune, sul piano processuale, il mancato promovimento dell'azione penale da parte del pubblico ministero;

che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 340, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 marzo 2001.