Ordinanza n. 40

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ORDINANZA N. 40

ANNO 2001

 

 REPUBBLICA ITALIANA

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 438, commi 1 e 4, 441 e 443, comma 3, del codice di procedura penale, promosso nell'ambito di un procedimento penale con ordinanza emessa il 4 luglio 2000 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, iscritta al n. 615 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 44, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che, con ordinanza in data 4 luglio 2000, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice della udienza preliminare, ha sollevato questione di legittimità costituzionale:

 - dell’art. 438, commi 1 e 4, del codice di procedura penale, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, <<nella parte in cui non prevede il contraddittorio con il P.M. nella richiesta di giudizio abbreviato e non conferisce efficacia giuridica alle sue richieste eventualmente contrarie all’ammissibilità del rito>>;

 - dell’art. 441 cod. proc. pen., in riferimento al medesimo parametro, <<nella parte in cui non prevede che il P.M. abbia autonoma facoltà di formulare richieste di prova>>;

 - dell’art. 441 cod. proc. pen., in riferimento all’art. 111, terzo comma, Cost., <<nella parte in cui non prevede che il P.M. abbia autonoma facoltà di interrogare e far interrogare, davanti al giudice, le persone che rendono dichiarazioni a carico dell’imputato>>;

 - dell’art. 438, comma 4, cod. proc. pen., in riferimento all’art. 111, primo, secondo e sesto comma, Cost., <<nella parte in cui non prevede che l’ordinanza con la quale il giudice ammette la richiesta di giudizio abbreviato debba essere giustificata da una valutazione della compatibilità del procedimento con la semplificazione (almeno parziale) dell’istruttoria propria del rito abbreviato, sulla base del controllo dei presupposti che giustificano il beneficio della riduzione della pena>>, nonché, per i delitti punibili con l’ergastolo, anche in riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, 102, terzo comma, Cost., <<nella parte in cui, in base a mera richiesta dell’imputato, determina automaticamente la sottrazione al giudice naturale indicato dall’art. 5 c.p.p. e l’applicazione di una pena di specie diversa da quella edittale prevista per lo stesso fatto>>;

 - dell’art. 443, comma 3, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 111, secondo comma, e 112 Cost., <<nella parte in cui non consente al P.M. di proporre appello contro le sentenze di condanna>>;

 che il rimettente precisa in fatto che, in sede di udienza preliminare, due imputati per il delitto di cui all’art. 416-bis del codice penale e per altri reati di competenza della Corte di assise, punibili con l’ergastolo, avevano chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato;

che la nuova disciplina del giudizio abbreviato introdotta dalla legge <<n. 497>> (recte, n. 479) del 1999 comporta <<la completa estromissione del P.M. dalla decisione del rito correlata al mancato riconoscimento dell’iniziativa di chiedere prove>>, e <<l’automatismo della [...] ammissione [di tale rito] che determina, a priori, il diritto a uno sconto di pena e, nel caso dei delitti punibili con l’ergastolo, ad una pena di specie diversa>>;

 che nel sistema accusatorio la sede naturale per la formazione della prova è il dibattimento, sicché impedire al pubblico ministero la facoltà sia di interloquire, quanto meno a livello meramente consultivo, sugli aspetti attinenti alla ammissibilità e procedibilità del rito, sia di assumere iniziative probatorie a seguito della unilaterale richiesta di giudizio abbreviato formulata dall’imputato, pone l’organo dell’accusa in una condizione di inferiorità, contrastante con l’art. 111, secondo comma, Cost., secondo cui "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale";

che tale precetto non sarebbe derogato da quello recato dal successivo comma quinto del medesimo articolo (alla stregua del quale "la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato"), che va correlato alla precedente disposizione del comma quarto, quale eccezione al principio del contraddittorio "nella formazione della prova", mentre la previsione del comma secondo riveste una portata più ampia e riguarda tutte le fasi del procedimento;

 che, nel caso di specie, trattandosi di accusa fondata essenzialmente su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, l’imputato può ben rinunciare alla facoltà "di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico", ma senza che ciò possa <<neutralizzare il paritetico diritto dell’accusa di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a suo carico>> mediante l’unilaterale opzione di un rito;

 che, ancora, l’automatismo della sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della reclusione di anni trenta non è necessariamente giustificato dalla prospettiva premiale correlata alla esigenza di semplificazione del procedimento, in quanto, specie nei procedimenti che si basano su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, <<si potrebbe prospettare la necessità di un’istruttoria d’ufficio paritetica a quella dibattimentale>>, sicché l’introduzione del rito diverrebbe <<mero strumento per la cancellazione non motivata della pena dell’ergastolo>> e <<per la sottrazione alla competenza [della Corte di assise] di cui agli artt. 102, 3 comma [Cost.] e 5 c.p.p.>>;

 che, infine, anche il disposto dell’art. 443, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui non consente al pubblico ministero, salvo casi limitati, di proporre appello avverso le sentenze di condanna, <<appare del tutto sproporzionato, nei casi come quello in oggetto concernente reati astrattamente punibili con l’ergastolo>>;

che successivamente lo stesso giudice ha trasmesso a questa Corte il verbale di una udienza preliminare tenuta il 12 gennaio 2001, in pendenza della sospensione del procedimento, nel corso della quale il giudice, preso atto della "rinuncia" di uno degli imputati al rito abbreviato e tenuto conto del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, revocava l'ordinanza di sospensione del processo <<per la sopravvenuta irrilevanza della questione>> di legittimità costituzionale e disponeva, all'esito dell'udienza, il rinvio a giudizio dell'imputato.

Considerato che successivamente all'ordinanza di rimessione è intervenuto il decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia), convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4;

che l'art. 7 dello stesso decreto-legge, da un lato, ha fornito interpretazione autentica dell'art. 442, comma 2, ultimo periodo, cod. proc. pen., affermando che l'espressione <<pena dell'ergastolo>> deve intendersi riferita all'ergastolo senza isolamento diurno e, dall'altro, ha modificato l'art. 442 cod. proc. pen., aggiungendo, in fine al comma 2, il periodo "Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituta quella dell'ergastolo.";

che l'art. 8 del medesimo decreto-legge ha espressamente previsto che nei processi penali in corso alla data della sua entrata in vigore, quando è applicabile la pena dell'ergastolo con isolamento diurno, l'imputato può revocare la richiesta di giudizio abbreviato, e che in tali casi il procedimento prosegue secondo il rito ordinario dallo stato in cui si trovava allorché era stata fatta la richiesta;

che pertanto, procedendo il giudice rimettente con il rito abbreviato per reati punibili con l'ergastolo con isolamento diurno, si impone la restituzione degli atti allo stesso giudice affinché verifichi se le questioni siano tuttora rilevanti nel giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 14 febbraio 2001