Ordinanza n. 2 del 2001

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ORDINANZA N. 2

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e successive modificazioni, promossi con ordinanze emesse il 29 ottobre e il 30 novembre 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sui ricorsi proposti dalla Federazione lavoratori della funzione pubblica – Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) ed altri contro la Provincia regionale di Messina e da Aprile Silvana contro il Comune di Catania ed altra, iscritte ai numeri 63 e 157 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9 e 16, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1999 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e successive modificazioni, «nella parte in cui non devolve al giudice ordinario la giurisdizione in ogni controversia riguardante il rapporto di lavoro contrattualizzato o privatizzato alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle concernenti le procedure concorsuali per l’assunzione (comma 4 del predetto art. 68), ed in cui comunque la valutazione della legittimità di un atto sia connessa con questioni concernenti il rapporto di lavoro presso le pubbliche amministrazioni, attribuendo al giudice ordinario un generale potere di cognizione piena e di annullamento degli atti presupposti illegittimi, ancorché atti di organizzazione e non di gestione»;

che il rimettente – investito della impugnativa di una deliberazione della Giunta provinciale di Messina, avente ad oggetto «Regolamento per il conferimento di incarichi di funzioni di direzione, dirigenziali e di alta specializzazione, collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità per uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo» - assume di avere giurisdizione in ordine ai soli motivi di ricorso involgenti i tradizionali vizi di legittimità dell’atto amministrativo e di dovere invece pervenire ratione materiae ad una pronuncia declinatoria della giurisdizione in favore del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 68 del decreto legislativo n. 29 del 1993, con riferimento a tutti gli altri motivi;

che pertanto i ricorrenti, al fine di ottenere una pronuncia di merito in ordine a tutti i profili dedotti, si troverebbero nella necessità di adire successivamente anche il giudice ordinario;

che siffatta ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, relativamente a talune tipologie di controversie di lavoro dei dipendenti pubblici, sarebbe in contrasto innanzitutto con l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza che sotto quello della violazione del principio di eguaglianza, per la disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici e quelli privati, essendo data a questi ultimi, diversamente dai primi, la possibilità di ottenere una completa tutela per la violazione delle proprie situazioni soggettive attraverso il ricorso al solo giudice ordinario;

 che sarebbe altresì leso, in danno dei dipendenti pubblici, il diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., per il possibile contrasto di giudicati conseguente alla duplicità di giurisdizione e per l’aggravio nell’esperimento dei mezzi di tutela;

che il sistema potrebbe essere ricondotto a legittimità solamente mediante la previsione di una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario in materia di lavoro, con l’attribuzione del potere di annullamento degli atti presupposti illegittimi;

che il medesimo giudice, con ordinanza emessa il 30 novembre 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della stessa norma e nei medesimi termini di cui alla precedente ordinanza;

che in questo secondo giudizio il rimettente – chiamato a decidere sulla impugnativa di un provvedimento di esclusione da un concorso bandito dal Comune di Catania, proposta da una concorrente avente diritto alla speciale «riserva» prevista per il personale interno con qualifica immediatamente inferiore – ritiene che siffatta controversia non possa rientrare tra quelle «in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni» per le quali l’art. 68, comma 4, del decreto legislativo n. 29 del 1993 prevede la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto, rispetto alla concorrente interna in quota di «riserva», il concorso dovrebbe configurarsi come una procedura non di assunzione ma di progressione in carriera e, dunque, assumerebbe il valore di una vicenda modificativa del rapporto di lavoro, in quanto tale attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi del comma 1 dello stesso art. 68;

che, tuttavia, essendo prevista un’unica graduatoria per i concorrenti in quota di «riserva» e per quelli esterni, l’esito dell’impugnativa verrebbe inevitabilmente ad incidere anche sulla posizione di questi ultimi, per i quali la procedura concorsuale è invece sicuramente di assunzione, con attribuzione delle relative controversie al giudice amministrativo;

che, pertanto, il rimettente ritiene di dover declinare la giurisdizione, con riferimento alla domanda proposta dalla ricorrente ed ai suoi riflessi nei confronti dei controinteressati «riservatari», e di dover invece decidere nel merito con riferimento ai soli controinteressati «esterni»;

che è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o comunque di infondatezza delle questioni;

che – per quanto riguarda la prima ordinanza - ad avviso dell’Avvocatura difetterebbe, in primo luogo, il requisito della necessaria pregiudizialità della questione rispetto alla definizione del giudizio principale, atteso che la questione stessa sarebbe essenzialmente sollevata con riguardo alla posizione dei dipendenti pubblici contrattualizzati mentre il ricorso sarebbe dallo stesso rimettente ritenuto ammissibile, in relazione al contenuto dell’atto impugnato, proprio in quanto proposto non da dipendenti in quanto tali ma da organizzazioni sindacali e rappresentanti aziendali;

che, in ogni caso, non sussisterebbe, nel merito, alcuna disparità di trattamento in danno dei dipendenti pubblici, né menomazione o aggravio del loro diritto di difesa, in quanto la giurisdizione del giudice ordinario riguarderebbe ogni tipo di controversia di lavoro del personale contrattualizzato e sarebbe tale da offrire, attraverso il potere di disapplicazione degli atti amministrativi presupposti ritenuti illegittimi, una tutela esaustiva;

che non sussisterebbe, d’altro canto, il prospettato rischio di contrasto di giudicati, proprio in quanto, attraverso la disapplicazione, il giudice ordinario conosce della legittimità dell’atto amministrativo incidenter tantum, senza efficacia di giudicato;

che, per quanto riguarda invece la seconda ordinanza, ad avviso dell’Avvocatura la posizione soggettiva del candidato «interno» rispetto allo svolgimento dell’unitaria procedura concorsuale non differirebbe – diversamente da quanto il rimettente assume – da quella del candidato «esterno», essendo entrambi titolari di una posizione di interesse legittimo, tutelabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità;

che, pertanto, nella specie non sussisterebbero i presupposti per una pronuncia parzialmente declinatoria della giurisdizione, essendo la cognizione della controversia interamente attribuita alla giurisdizione del giudice adito.

Considerato che i due giudizi, avendo ad oggetto la medesima norma, vanno riuniti per essere unitariamente decisi;

 che, per quanto riguarda la prima delle due ordinanze, lo stesso rimettente dà atto, nella disamina dei motivi di ricorso, che taluni di quelli in ordine ai quali ritiene sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo investono l’intero regolamento impugnato comportando, in caso di accoglimento, l’annullamento dell’atto medesimo;

che, in tale ipotesi, resterebbe evidentemente esclusa la necessità per i ricorrenti di adire successivamente anche il giudice ordinario;

che la questione – in difetto di qualsiasi pur sommaria valutazione in ordine alla eventuale infondatezza dei suddetti motivi di ricorso – risulta, pertanto, sollevata in via meramente ipotetica e va, per tale ragione, dichiarata manifestamente inammissibile;

che, per quanto riguarda la seconda ordinanza, appare palese l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, secondo cui la procedura concorsuale di cui si tratta avrebbe differente natura per i concorrenti in quota di riserva e per quelli esterni, trattandosi viceversa, sia per gli uni che per gli altri, di una procedura concorsuale di assunzione nella qualifica indicata nel bando;

che, pertanto, l’intera controversia deve ritenersi attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 68, comma 4, del decreto legislativo n. 29 del 1993;

che la questione va, dunque, dichiarata manifestamente infondata.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e successive modificazioni, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1999;

b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 68 del predetto decreto legislativo sollevata, sempre con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza emessa il 30 novembre 1999.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 4 gennaio 2001.