Ordinanza n. 592/2000

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ORDINANZA N. 592

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10, settimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79, promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1999 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, sul ricorso proposto da Cattinelli Pierino contro la Direzione provinciale del tesoro di Asti, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, ha sollevato, con ordinanza del 19 ottobre 1999, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, settimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79;

che la menzionata disposizione è stata censurata “nella parte in cui non dispone l’applicazione delle norme sui divieti di cumulo, previsti dall’art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, anche nei confronti dei soggetti fruenti di pensionamento anticipato in quanto dichiarati decaduti dal servizio, ai sensi dell’art. 63 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, per aver esercitato altra attività lavorativa incompatibile con l’impiego”;

che la proposizione dell’incidente di costituzionalità si innesta su un giudizio pensionistico, in cui il ricorrente, già pubblico dipendente, ha impugnato il provvedimento della competente Direzione provinciale del tesoro, con il quale è stato invitato a rifondere un presunto credito erariale per le somme corrispostegli, dal 1° luglio 1987 al 30 luglio 1995, a titolo di trattamento pensionistico, ritenuto indebito per aver “prestato opera retribuita quale lavoratore dipendente nel periodo considerato”;

che, secondo l’ordinanza, la disposizione denunciata non sarebbe applicabile, stando all’interpretazione che si evince dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 531 del 1988 e n. 433 del 1994), nei casi di cessazione dal servizio per ragioni indipendenti dalla volontà del lavoratore, venendo in rilievo “una nozione ben precisa di pensionamento anticipato ..., traente origine dalla presentazione di formale domanda quale manifestazione tipica ed univoca della volontà di rinunciare all’impiego”, sì da escludere che il previsto divieto di cumulo “possa derivare da comportamenti dai quali solo in via presuntiva e con valutazione rimessa all’Amministrazione possa desumersi l’intendimento dell’impiegato di sottrarsi ai doveri del suo ufficio”;

che, tuttavia, il rimettente ritiene che la fattispecie sottoposta alla sua cognizione presenti “profili in parte diversi” da quella (decadenza dal servizio per assenza ingiustificata) che, segnatamente, è stata oggetto di delibazione in occasione della menzionata sentenza n. 433 del 1994, giacché il particolare iter procedimentale che conduce al provvedimento estintivo del rapporto di impiego, ai sensi dell’art. 63 del d.P.R. n. 3 del 1957, si incentra su una preventiva diffida a cessare dalla condotta illegittima, tanto da doversi ravvisare da parte dell’interessato, il quale persista nella situazione di incompatibilità nonostante l’avvenuta diffida, “un’adesione di volontà al verificarsi dell’effetto estintivo ... del tutto equiparabile alla domanda di pensionamento”;

che, pertanto, la disposizione censurata, nel disporre il divieto di cumulo tra pensione e retribuzione soltanto nei confronti di chi abbia presentato formale domanda di pensionamento e non anche nel caso di decadenza dal servizio ai sensi dell’art. 63 del d.P.R. n. 3 del 1957, per l’esercizio di altra attività lavorativa incompatibile con l’impiego, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, venendo a premiare “un comportamento indubbiamente meno meritevole di tutela giuridica rispetto al primo”, e ciò senza una ragionevole giustificazione ed “in aperto contrasto” con l’intento di “realizzare un sistema disincentivante della prestazione di attività lavorativa subordinata da parte del pensionato”.

Considerato che il giudice a quo, benché si soffermi diffusamente sulla peculiarità della fattispecie al suo esame, sì da rinvenire elementi di volontarietà nel comportamento dell'interessato tali da consentire, a suo avviso, un giudizio di sostanziale equiparazione rispetto a quella oggetto della disciplina sul divieto di cumulo tra pensione e retribuzione, non si dà carico, tuttavia, di verificare, ancor prima di sollevare la questione, se sulla base di un siffatto postulato, e traendo eventualmente dallo stesso le ulteriori possibili implicazioni, non sia dato pervenire ad un’interpretazione idonea a superare il dubbio di costituzionalità che egli stesso si prospetta;

che, così facendo, il rimettente lascia incompiuto quel doveroso tentativo di ricercare un'interpretazione adeguatrice del testo di legge denunciato, al quale ciascun giudice è, comunque, tenuto prima di proporre l’incidente di costituzionalità (vedi, tra le altre, ordinanze n. 174 del 1999 e n. 177 del 2000);

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, settimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 25 marzo 1983, n. 79, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2000.