Ordinanza n. 584/2000

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ORDINANZA N. 584

ANNO 2000

 

 REPUBBLICA ITALIANA

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 609- octies del codice penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, con ordinanza emessa il 16 marzo 2000 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano, iscritta al n. 358 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 609-octies del codice penale (Violenza sessuale di gruppo), nella parte in cui, a differenza di quanto stabilito dall'art. 609-bis cod. pen. (Violenza sessuale), non prevede una diminuzione della pena nei casi di minore gravità;

 che il rimettente espone che due soggetti, arrestati per il reato di cui all'art. 609-octies cod. pen., hanno fatto richiesta di applicazione della pena <<per il reato di molestie, oppure di violenza attenuata con il riconoscimento dell'ipotesi di minore gravità>>;

 che il pubblico ministero, pur riconoscendo che se il fatto fosse stato commesso da una sola persona avrebbe trovato applicazione l'attenuante prevista per i casi di minore gravità dall'art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen. e la pena sarebbe stata <<patteggiabile>>, non ha <<ritenuto di poter addivenire al patteggiamento>>, in quanto la fattispecie della violenza sessuale di gruppo non contempla alcuna attenuazione della pena, anche nel caso in cui la violenza sia di minore gravità;

 che, a fronte di questa situazione, lo stesso pubblico ministero ha chiesto al giudice di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 609-octies cod. pen., in quanto l'omessa previsione dell'attenuante non consente di adeguare la pena alla concreta gravità del caso, con conseguente violazione del principio di eguaglianza e della funzione rieducativa della pena;

 che il giudice a quo, nel condividere le argomentazioni del pubblico ministero, rileva che la fattispecie sottoposta al suo esame, pur riconducibile a quella di cui all'art. 609-octies cod. pen., <<non può essere se non lontanamente equiparata ad una violenza carnale di gruppo in quanto, stante la situazione (parcheggio aperto in zona innevata, ora in cui passavano altre persone) non era possibile che la violenza raggiungesse una gravità maggiore di quella in concreto realizzatasi>>;

 che, ad avviso del rimettente, all'impossibilità di adeguare la pena alla effettiva gravità del caso concreto, e alla conseguente violazione degli artt. 3 e 27 Cost., non può essere posto rimedio in via interpretativa, non essendo consentito al giudice, <<in mancanza di ogni appiglio normativo o letterale>>, e tenuto conto degli orientamenti contrari già manifestati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, estendere l'applicazione dell'attenuante della minore gravità al reato di violenza sessuale di gruppo;

che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo precisa che dalla decisione della Corte costituzionale dipende l'entità della pena da infliggere e la conseguente possibilità degli imputati di accedere al rito speciale del "patteggiamento";

 che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata, rilevando, da un lato, che potrebbe ipotizzarsi, in via interpretativa, l'applicazione alla violenza sessuale di gruppo dell'attenuante prevista dall'art. 609-bis, ultimo comma, cod. pen., dall'altro che, in ogni caso, la norma censurata non sarebbe, per ciò solo, incostituzionale, in quanto la scelta del legislatore è stata ispirata dalla maggiore idoneità della violenza sessuale di gruppo <<a determinare una sopraffazione personale e a ledere la libertà e l'incolumità sessuale della vittima>>.

 Considerato che la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dopo che due soggetti, arrestati per il reato di cui all'art. 609-octies cod. pen., avevano formulato richiesta di applicazione della pena per il meno grave <<reato di molestie oppure di violenza attenuata con il riconoscimento dell'ipotesi di minore gravità>>;

 che la questione sarebbe rilevante solo ove risultasse che il rimettente era stato ritualmente investito di una richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., essendo questa la situazione per cui il giudice a quo assume di avere veste processuale per applicare l'art. 609-octies cod. pen., censurato esclusivamente sotto il profilo dell'omessa previsione dell'attenuante della minore gravità e, quindi, dell'impossibilità di adeguare la pena alla concreta gravità del fatto e di renderla compatibile con l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti;

 che, tuttavia, da un lato non risulta che nella richiesta di patteggiamento - peraltro prospettata, in forma alternativa, per il reato di molestie o per il delitto di violenza sessuale in concorso con l'attenuante della minore gravità - sia stata indicata l'entità della pena proposta;

che, dall'altro, il pubblico ministero non ha prestato il consenso, rilevando che il fatto integrava gli estremi della violenza sessuale di gruppo, reato al quale non è applicabile l'attenuante della minore gravità, e che di conseguenza la pena non poteva rientrare entro i limiti del patteggiamento;

che, pertanto, il giudice a quo non è stato ritualmente investito di una richiesta di applicazione della pena, in quanto, non essendosi formato alcun accordo tra le parti né sul titolo di reato, né sull'entità della pena, non è mai venuta ad esistenza alcuna richiesta di patteggiamento;

 che, quindi, non avendo il rimettente veste processuale per fare applicazione della norma censurata, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 609-octies del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2000.