Ordinanza n. 583/2000
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ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 29 ottobre 1999 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco, iscritta al n. 168 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1999, pervenuta a questa Corte il 24 marzo 2000, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, “nella parte in cui non prevede che le disposizioni in esso previste si applichino anche all’assunzione della testimonianza della persona inferma di mente”;

che, secondo il giudice a quo, la ratio della norma impugnata – che, nei procedimenti per delitti sessuali, prevede la possibilità per il pubblico ministero e per la persona sottoposta alle indagini di chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1, e cioè delle condizioni che in via generale legittimano la richiesta di procedere con incidente probatorio – risponderebbe ad una duplice esigenza: da un lato quella di proteggere il teste dalle conseguenze che potrebbe avere sul suo vissuto il ritardo derivante dal protrarsi delle indagini preliminari e del dibattimento, dall’altro quella di tutelare precocemente il diritto della persona indagata al contraddittorio, per consentire di portare alla luce prima del dibattimento l’eventuale inattendibilità del teste, dato il rischio, ritenuto maggiore in questo caso, di suggestioni e condizionamenti anche non maliziosi;

che, sempre secondo il remittente, entrambe tali finalità varrebbero in modo identico, o comunque tale da non giustificare sostanziali differenze di disciplina, sia per i soggetti in età evolutiva, sia per quelli che versino in condizioni di infermità mentale: sì che, riguardo a questi ultimi, risulterebbero lesi sia il principio di uguaglianza, per il trattamento diverso di situazioni che sarebbero identiche, sia il diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, in quanto, come emergerebbe anche dalla sentenza n. 283 del 1997 di questa Corte (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 498 cod. proc. pen. nella parte in cui non consentiva di escludere, nei confronti del testimone maggiorenne infermo di mente, l’esame diretto ad opera delle parti ove questo potesse nuocere alla personalità del teste medesimo), non sarebbero parificabili le posizioni del minore infrasedicenne e dell’infermo di mente; e, d’altra parte, dalla citata pronuncia deriverebbe una compiuta tutela degli interessi del maggiorenne infermo di mente anche rispetto alle esigenze poste a base della censura in esame.

Considerato che la norma impugnata introduce una eccezione alla regola dell’assunzione nel dibattimento delle prove che non abbiano oggettivo carattere di indifferibilità o di non ripetibilità, consentendo nei termini più ampi il ricorso all’incidente probatorio quando si debba procedere all’assunzione della testimonianza di un minore infrasedicenne in procedimenti per delitti sessuali;

che tale norma, quale che se ne ritenga la ratio, non è intesa, essenzialmente e direttamente, ad assicurare condizioni e modi di esame testimoniale idonei a proteggere la personalità del teste, e dei quali possa prospettarsi, sotto questo profilo, un’esigenza di estensione al caso del teste infermo di mente;

che, infatti, a detta esigenza di protezione della personalità dei testi provvedono altre norme del codice di rito, così disponendo modalità particolari di espletamento dell’incidente probatorio ove siano interessate all’assunzione della prova, in un procedimento per delitti sessuali, persone minori di sedici anni (art. 398, comma 5-bis, su cui cfr. la sentenza n. 262 del 1998); la conduzione dell’esame testimoniale da parte del giudicante, anziché direttamente dalle parti, nei confronti del teste minorenne (art. 498, applicabile in parte qua anche al teste maggiorenne infermo di mente a seguito della sentenza n. 283 del 1997 di questa Corte); limiti all’esame testimoniale in dibattimento dei minori infrasedicenni, quando si procede per delitti sessuali, e il teste abbia già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o dichiarazioni i cui verbali sono stati acquisiti a norma dell’art. 238 (art. 190-bis, comma 1-bis); particolari regole sulla esclusione della pubblicità del dibattimento quando parti offese o testi siano minorenni o sussistano esigenze di riservatezza dei testimoni o delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell’imputazione (art. 472, commi 2, 3-bis e 4);

che la possibilità - prevista dalla norma impugnata - di anticipare, attraverso il ricorso all’incidente probatorio, l’assunzione di testimonianze appare, piuttosto, essenzialmente intesa ad assicurare efficacia e genuinità della prova, quando si tratti di raccogliere testimonianze potenzialmente soggette a subire, col decorso del tempo, per le particolari condizioni del minore, condizionamenti che le possano rendere meno genuine o meno utili al fine degli accertamenti cui è volto il processo;

che peraltro, di per sé, tale possibilità non esclude la ripetizione della testimonianza in dibattimento, mentre i limiti a tale ripetibilità, posti a tutela della personalità dei testi, quando si tratti di testimonianze di minori infrasedicenni in procedimenti per delitti sessuali, derivano da altra norma (il citato art. 190-bis, comma 1-bis, cod. proc. pen., successivamente introdotto dall’art. 13 della legge 3 agosto 1998, n. 269), non evocata dal remittente, e che non risulterebbe applicabile all’ipotesi del teste infermo di mente, se pure ad essa si estendesse, secondo la prospettazione del giudice a quo, la previsione della norma censurata;

che, in tale quadro, la norma impugnata appare frutto di una scelta del legislatore, rispetto alla quale non è dato di rinvenire ragioni costituzionali che ne impongano l’estensione al caso del teste infermo di mente, la cui situazione non è di per sé meccanicamente equiparabile a quella del teste minore infrasedicenne (cfr. sentenza n. 283 del 1997), e non è detto presenti gli stessi caratteri che hanno indotto il legislatore ad ampliare la possibilità di ricorso all’incidente probatorio;

che, pertanto, non appare utilmente invocato l’art. 3 della Costituzione;

che, d’altra parte, non sussiste la lamentata violazione dell’art. 24 della Costituzione, poiché la formazione della prova nel dibattimento costituisce, nel vigente sistema processuale, la regola idonea ad assicurare, in linea di principio, l’effettività del diritto di difesa della persona sottoposta alle indagini;

che, in tale sistema processuale, l’istituto dell’incidente probatorio “è preordinato a consentire alle parti principali l’assunzione delle prove non rinviabili al dibattimento” (sentenza n. 77 del 1994): non tanto, dunque, al fine - indicato dal remittente - di consentire all’indagato di dimostrare precocemente l’inattendibilità del teste, quanto, fondamentalmente, al fine di assicurare la prova e la sua genuinità anche nei casi in cui l’attesa del dibattimento possa pregiudicarle;

che, peraltro, le ipotesi in cui la prova possa venir meno o deteriorarsi nelle more delle indagini sono prese in considerazione dal legislatore nel prevedere i casi in cui, in generale, può farsi ricorso, anche su richiesta dell’indagato, all’incidente probatorio (art. 392, comma 1, cod. proc. pen.; e cfr., in proposito, la sentenza n. 77 del 1994);

che pertanto la questione si palesa, sotto ogni profilo, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 392, comma 1-bis (Casi) del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2000.