Ordinanza n. 568/2000

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ORDINANZA N. 568

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promossi con ordinanze rispettivamente emesse il 20 gennaio 2000 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Brigada Giuseppina e il fallimento s.n.c. Italpneus di Villa Angelo & C. ed altri, iscritta al n. 533 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2000 e il 7 giugno 2000 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Pesce Giacomo nei confronti del fallimento della Impresa di costruzioni Alpet di Pesce Angelo & C. in liquidazione ed altra, iscritta al n. 564 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di costituzione di Pesce Giacomo nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 novembre 2000 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che il Tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 20 gennaio 2000, ha sollevato, senza esplicito riferimento ad alcun parametro, questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non contiene la precisazione di un termine ragionevole entro il quale può essere dichiarato il fallimento del socio illimitatamente responsabile dopo che esso abbia perso tale qualità a seguito di recesso;

che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata va interpretata nel senso che il fallimento del socio illimitatamente responsabile può essere dichiarato, in conseguenza del fallimento della società, senza alcun limite temporale, diversamente da quanto previsto dall’art. 10 della stessa legge per il fallimento dell’imprenditore individuale che abbia cessato l’attività d’impresa;

che l’indefinita assoggettabilità del socio alla procedura concorsuale darebbe, tuttavia, luogo ad una sperequazione inaccettabile rispetto alla posizione dell’imprenditore individuale e sarebbe inoltre in contrasto con l’interesse generale alla certezza delle situazioni giuridiche;

che la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 7 giugno 2000, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della stessa norma, limitatamente al secondo comma, nella parte in cui non prevede che la sentenza dichiarativa del fallimento del socio illimitatamente responsabile che sia deceduto possa essere pronunciata solamente entro un termine predeterminato;

che anche la Corte rimettente ritiene, infatti, in conformità ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, che la norma denunciata non ponga alcun limite temporale alla possibilità di dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società;

che in tal modo la norma, differenziando quanto alla assoggettabilità al fallimento il trattamento del socio illimitatamente responsabile da quello dell’imprenditore individuale, potrebbe ritenersi lesiva del principio di ragionevolezza rispetto all’esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, insita nell’ordinamento;

che si è costituito in giudizio Giacomo Pesce, attore nel giudizio a quo di opposizione alla dichiarazione di fallimento, il quale ha concluso «affinché sia provveduto ad inserire nel testo dell’art. 147 della legge fallimentare una limitazione temporale analoga a quella risultante dal disposto dell’art. 10 e 11 della stessa legge per il caso di dichiarazione di fallimento dell’imprenditore individuale»;

che è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità e non fondatezza della questione, in quanto identica nei contenuti ad altre già dichiarate manifestamente infondate.

Considerato che entrambi i rimettenti dubitano, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, non esplicitamente evocato dal Tribunale di Milano ma chiaramente desumibile dal tenore dell’ordinanza, della legittimità costituzionale dell’art. 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede alcun termine per la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile in estensione del fallimento della società;

che i due giudizi vanno pertanto riuniti e congiuntamente decisi;

che la norma denunciata è stata già dichiarata, con sentenza n. 319 del 2000, costituzionalmente illegittima «nella parte in cui prevede che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata di società fallita possa essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi abbiano perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata»;

che le questioni vanno pertanto dichiarate manifestamente inammissibili.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 147 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, della amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Milano e dalla Corte di cassazione con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2000.