Ordinanza n. 562/2000

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ORDINANZA N. 562

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 223, primo e secondo comma, e 229 del codice penale militare di pace, in relazione all’art. 260 stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 1° marzo 2000 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di G. G.R., iscritta al n. 203 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 2000 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

 Ritenuto che, con ordinanza emessa il 1° marzo 2000, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 52, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 223, primo e secondo comma, e 229 del codice penale militare di pace, in relazione all’art. 260 dello stesso codice, nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, che i reati di lesione personale e di minaccia commessi da un militare in danno di altro militare non siano punibili, oltre che a richiesta del comandante del corpo o di altro ente superiore, anche a querela della persona offesa;

 che il rimettente premette, in punto di fatto, di essere stato investito della decisione, nell’ambito di un procedimento per i reati di lesione personale (art. 223, primo e secondo comma, del codice penale militare di pace) e minaccia (art. 229 del medesimo codice), in esito a richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, pur sussistendo la querela proposta dalla persona offesa, in ragione della sola mancanza di richiesta di procedimento del comandante del corpo, prescritta, quale condizione di procedibilità, dall’art. 260 del codice penale militare di pace;

 che le norme richiamate, ad avviso del rimettente, violerebbero l’art. 52, terzo comma, della Costituzione atteso che – subordinando alla richiesta del comandante del corpo, quale condizione di procedibilità prevista dall’art. 260, secondo comma, del codice penale militare, l’esercizio dell’azione penale per i reati di specie - verrebbe a privilegiarsi una valutazione ispirata ad una logica <<istituzionalistica>> di prevalenza dei valori dell’ordinamento militare, e segnatamente dell’ <<immagine del reparto>>, sui diritti della persona (tutelati dalle norme incriminatici della lesione personale e della minaccia), pur militare che sia, con conseguente discrepanza rispetto al principio di <<permeabilizzazione>> dell’ordinamento delle Forze Armate allo spirito ed ai valori democratici dello Stato;

 che, inoltre, le predette norme si porrebbero in contrasto con il principio proclamato nell’art. 24 della Costituzione in quanto, non riconoscendo valore esaustivo di condizione di procedibilità alla querela proposta dalla persona offesa, verrebbe illegittimamente compresso il diritto del danneggiato ad agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni ed, in particolare, impedito a quest’ultimo di esercitare il proprio diritto al risarcimento del danno nell’ambito del processo penale mediante la costituzione di parte civile, divenuta possibile anche in sede militare a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 270, primo comma, del codice penale militare di pace, con sentenza di questa Corte n. 60 del 1996; dunque, l’estrinsecazione di facoltà e diritti volti alla tutela della personalità umana verrebbe impedita o comunque subordinata ad un fatto accidentale, quale la scelta del comandante del corpo, depositario dell’unica condizione di procedibilità, di mantenere <segretato> l’illecito nell’ambito della caserma;

 che, infine, le norme oggetto della denunzia violerebbero l’art. 3 della Costituzione, per una irragionevole disparità di trattamento esistente rispetto alla persona offesa per gli omologhi reati di diritto comune, la quale può determinare, senza rimessione ad altri, l’esercizio dell’azione penale per le stesse fattispecie di reati contro la persona a tutela di beni quali l’incolumità individuale e la libertà morale.

 Considerato che la Corte è chiamata a statuire in merito alla compatibilità con gli artt. 3, 24, 52, terzo comma, della Costituzione degli artt. 223, primo e secondo comma e 229 del codice penale militare di pace, in combinato disposto con l’art. 260 del medesimo codice, nella parte in cui non prevedono che i reati di lesione personale militare e di minaccia militare commessi in danno di altro militare siano puniti anche a querela della persona offesa e non subordinati esclusivamente, quanto alla loro perseguibilità, alla richiesta del comandante del corpo;

 che questa Corte ha, ripetutamente e da tempo, evidenziato come i reati militari siano connotati, quale loro peculiare ed intrinseca caratteristica, da <<un’offesa alla disciplina e al servizio, una lesione quindi di un interesse eminentemente pubblico che non tollera subordinazione all’interesse privato, caratteristico della querela>>, principio in virtù del quale appare pienamente ragionevole l’attribuzione al comandante del corpo dell’istituto della richiesta, tramite il quale è possibile attuare <<una facoltà di scelta tra l’adozione di provvedimenti di natura disciplinare ed il ricorso all’ordinaria azione penale considerando che vi sono casi in cui, per la scarsa gravità del reato, l’esercizio incondizionato dell’azione penale può causare un pregiudizio proporzionalmente maggiore di quello prodotto dal reato stesso>> (cfr. sentenze nn. 449 del 1991 e 42 del 1975, nonché ordinanza n. 229 del 1988);

 che, peraltro, tali concetti sono stati anche di recente ribaditi da questa Corte (ord. n.410 del 2000) in fattispecie ampiamente assimilabile alla presente, rispetto alla quale può evidenziarsi ulteriormente come nessuna delle censure addotte integri, in realtà, disarmonia con i principi costituzionali della cui violazione si sospetta;

 che, invero, non si palesa compromissione alcuna del principio informatore dell’ordinamento delle Forze Armate che, secondo quanto espresso nell’art. 52, terzo comma, della Costituzione, è lo spirito democratico della Repubblica: ciò in quanto il meccanismo normativo attuato dalle norme oggetto di denunzia si configura quale strumento idoneo e ragionevole, attraverso la valutazione insita nel potere di richiesta del comandante del corpo, ad adeguare al caso concreto la reazione dell’ordinamento militare (cfr. sentenze nn. 436 del 1995 e 449 del 1991, nonché ordinanze nn. 410 del 2000, 396 del 1996 e 467 del 1995);

 che anche con riferimento alla presunta lesione del diritto di difesa dedotta, pure nella presente questione, sotto il profilo della preclusione alla persona offesa della costituzione di parte civile nel procedimento relativo al reato militare in ragione delle determinazioni del comandante del corpo, questa Corte ha già più volte evidenziato come tale lesione non sussista per l’esistenza di validi e praticabili percorsi giudiziari alternativi nella piena disponibilità del danneggiato: costui, invero, può proporre, immediatamente e senza ostacolo alcuno, azione risarcitoria dinanzi al giudice civile, così evidenziandosi come l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno nel processo penale non rappresenti in realtà l’unico strumento di tutela giudiziaria a disposizione del soggetto danneggiato dal reato (cfr. sentenze nn. 396 del 1996, 94 del 1996, 532 del 1995 e 185 del 1994, nonché ordinanze nn. 410 del 2000 e 224 del 1997);

 che, da ultimo, non sussiste lesione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, atteso che l’ineluttabile peculiarità che caratterizza la posizione del cittadino inserito nell’ordinamento militare - tale proprio perché caratterizzato da specifiche regole, della cui cogenza non può dubitarsi - rende fondata ragione della diversità di trattamento pure rilevata dal giudice a quo rispetto alla generalità dei cittadini, nella specifica angolazione di potenziali persone offese di reati comuni omologhi a quelli di connotazione militare (cfr. ord. nn.224 del 1997, 336 del 1996, 82 del 1994 e 397 del 1997).

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 223, primo e secondo comma, e 229 del codice penale militare di pace, in relazione all’art. 260 del medesimo codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 52, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2000.