Ordinanza n. 561/2000

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ORDINANZA N. 561

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

-- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 604, comma 4, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1999 dal Tribunale di Biella nel procedimento penale a carico di F. P. P., iscritta al n. 609 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2000 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza del 4 giugno 1999 il Tribunale di Biella ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 604, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, quando venga accertata con sentenza dal giudice di appello una delle nullità indicate nell’art. 179 cod. proc. pen., da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio davanti al pretore o al tribunale in composizione monocratica, gli atti debbano essere rinviati al pubblico ministero;

che l’ordinanza premette, in punto di fatto, che nel procedimento a quo la Corte di appello di Torino aveva dichiarato, con sentenza, la nullità del giudizio di primo grado, celebratosi davanti al Pretore di Biella, per nullità della declaratoria di contumacia dell’imputato, essendo la notifica del decreto di citazione a giudizio avvenuta «secondo modalità dichiarate successivamente incostituzionali»;

che, in applicazione della norma denunciata, la Corte territoriale aveva quindi trasmesso gli atti al giudice di primo grado per un nuovo giudizio;

che, a fronte di tale pronuncia, esso giudice a quo — all’epoca ancora Pretore di Biella, e poi divenuto giudice monocratico del Tribunale della stessa città per la sopravvenuta efficacia delle disposizioni del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, in tema di istituzione del giudice unico di primo grado — aveva emesso nuovo decreto di citazione a giudizio dell’imputato, ai sensi dell’art. 143 norme att. cod. proc. pen.;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente rileva come, in forza dell’art. 604, comma 4, cod. proc. pen., il giudice di appello — ove accerti una nullità assoluta da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio — debba dichiararla con sentenza, rinviando gli atti «al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità»;

che tale disposizione — mentre si presterebbe ad essere applicata senza difficoltà nel procedimento penale «tipo», che contempla la celebrazione dell’udienza preliminare (rispetto al quale il giudice del rinvio sarebbe agevolmente individuabile nel giudice per le indagini preliminari) — mal si adatterebbe, invece, ai procedimenti che detta udienza non contemplano, quali l’originario rito pretorile ed il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, che lo ha surrogato;

che in tali ultimi procedimenti, infatti, non è identificabile alcun giudice che «procedesse» quando si è verificata la nullità, in quanto il provvedimento che dispone il giudizio — rappresentato, nella specie, dal decreto di citazione — viene adottato, non dal giudice, ma dal pubblico ministero in una fase «preprocessuale»;

che, tuttavia, il riferimento della norma impugnata al solo «giudice», come destinatario del rinvio degli atti, impedirebbe di aderire alla soluzione interpretativa — pure adottata dalla Corte di cassazione — in forza della quale, nel caso in questione, il giudice di appello dovrebbe trasmettere gli atti al pubblico ministero;

che, pertanto, il giudice di primo grado, cui gli atti siano rinviati, non potrebbe far altro che emettere un nuovo decreto di citazione a giudizio ai sensi dell’art. 143 norme att. cod. proc. pen., senza poter disporre la regressione del procedimento allo stato e grado in cui si era verificata la nullità, in conformità al generale disposto dell’art. 185, comma 3, cod. proc. pen.;

che la disciplina, così ricostruita, comprometterebbe peraltro il diritto di difesa dell’imputato, il quale si troverebbe privato, per effetto dell’indicata sequenza procedimentale, della facoltà di accesso ai riti alternativi — e, in particolare, al giudizio abbreviato — facoltà della quale non aveva potuto in precedenza avvalersi proprio a causa del vizio da cui il decreto di citazione era affetto;

che sarebbe violato, altresì, l’art. 112 della Costituzione, in quanto l’azione penale — mai in precedenza esercitata validamente — verrebbe ad essere di fatto promossa, mediante l’emissione del nuovo decreto di citazione, dal giudice del rinvio, anziché dal pubblico ministero, cui essa è riservata dalla Carta costituzionale;

che, infine, quanto alla rilevanza della questione, il rimettente rimarca come il dubbio di costituzionalità incida sull’atto introduttivo del processo in corso, la cui eventuale invalidità travolgerebbe l’intero giudizio a quo;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la dichiarazione di non fondatezza della questione;

che l’Avvocatura erariale contesta, in particolare, la correttezza della premessa interpretativa del rimettente, circa l’obbligo del giudice monocratico del rinvio di procedere alla citazione dell’imputato ai sensi dell’art. 143 norme att. cod. proc. pen., sottolineando come, secondo la giurisprudenza di legittimità, quest’ultima disposizione debba ritenersi inapplicabile nel procedimento pretorile, quante volte si sia al cospetto — come nella specie — di nullità che abbiano impedito un valido passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio.

Considerato che il Tribunale rimettente dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 112 Cost., dell’art. 604, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che, quando il giudice di appello accerti una nullità assoluta da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio davanti al pretore o al tribunale in composizione monocratica, debba rinviare gli atti «al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità», anziché al pubblico ministero;

che il rimettente fonda il quesito di costituzionalità sulla premessa interpretativa per cui, nell’ipotesi considerata, il giudice di appello dovrebbe trasmettere gli atti al giudice del dibattimento di primo grado (e non già al giudice per le indagini preliminari, essendo il decreto di citazione a giudizio un atto emesso dal pubblico ministero in fase «preprocessuale»), il quale sarebbe, a propria volta, vincolato ad emettere un nuovo decreto di citazione in applicazione dell’art. 143 norme att. cod. proc. pen.;

che da tale premessa il giudice a quo desume, per un verso, una lesione del diritto di difesa dell’imputato, sotto il profilo della perdita della facoltà di accesso ai riti alternativi — e, in particolare, al giudizio abbreviato — facoltà in precedenza non potuta esercitare proprio a causa del vizio che inficiava il primo decreto di citazione; e, per l’altro, una violazione del principio di riserva al pubblico ministero dell’esercizio dell’azione penale, sul rilievo che tale azione — mai validamente promossa in precedenza — verrebbe di fatto esercitata dal giudice del dibattimento con l’emissione del nuovo decreto;

che l’indicata premessa interpretativa si pone peraltro in contrasto non soltanto con la lettura data dalla Corte di cassazione alla stessa norma impugnata, stando alla quale, nell’ipotesi in esame, il giudice di appello avrebbe dovuto rinviare gli atti al pubblico ministero, e non al giudice (lettura non apprezzabile in termini di giurisprudenza consolidata ed il dissenso dalla quale è motivato dal rimettente); ma anche con l’orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità circa i limiti di operatività dell’art. 143 norme att. cod. proc. pen. nel procedimento davanti al pretore, orientamento sia pure formatosi in rapporto a fattispecie di nullità dichiarate dal giudice di primo grado;

che, infatti, alla stregua di tale indirizzo interpretativo, la citata norma di attuazione era destinata a trovare applicazione anche nel procedimento pretorile, ma esclusivamente nei casi in cui, dopo la valida instaurazione del rapporto processuale, occorresse citare nuovamente, per qualunque ragione, l’imputato: non, invece, quando la necessità della rinnovazione della citazione derivasse da una nullità preclusiva di un valido passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio (quale, nella specie, la nullità della notifica del decreto di citazione);

che, in quest’ultima ipotesi — sempre secondo l’accennato orientamento della Corte di cassazione — alla dichiarazione di nullità doveva piuttosto conseguire, ai sensi del generale disposto dell’art. 185, comma 3, cod. proc. pen., la regressione del procedimento allo stato e grado in cui era stato compiuto l’atto nullo; sicché, in pratica, competeva al pubblico ministero, e non al giudice, provvedere alla nuova citazione: e ciò anche e proprio al fine di non privare l’imputato delle facoltà relative ai procedimenti speciali;

che, peraltro, anche a voler ritenere corretta la premessa interpretativa del giudice a quo, la dedotta violazione del diritto di difesa dell’imputato risulterebbe nel caso concreto insussistente;

che, infatti — nel sostenere che il meccanismo processuale denunciato precluderebbe all’imputato l’accesso ai riti alternativi, e segnatamente al giudizio abbreviato (e ciò sul presupposto, inespresso, che la relativa richiesta non possa essere formulata davanti al giudice del dibattimento) — il rimettente trascura l’incidenza della speciale disciplina transitoria dettata dagli artt. 223 e 224 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, già operante alla data in cui la questione di costituzionalità è stata sollevata;

che detta disciplina transitoria, in effetti, «rimette in termini» l’imputato — nei giudizi di primo grado in corso alla data di efficacia del decreto stesso (ossia al 2 giugno 1999) — per chiedere il giudizio abbreviato e l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., nonché per formulare domanda di oblazione;

che, in particolare, ai sensi dell’art. 223 del decreto legislativo n. 51 del 1998, la richiesta di giudizio abbreviato può essere utilmente presentata, nei suddetti giudizi, «prima dell’inizio dell’istruzione dibattimentale»: limite non valicato nel processo a quo, secondo quanto si desume dalle premesse in fatto dell’ordinanza di rimessione (e ciò a prescindere dalle modifiche «a regime» dei termini per la richiesta, successivamente introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479);

che, d’altro canto, non appare neppure riscontrabile — nella cornice della soluzione interpretativa adottata dal giudice a quo — la lamentata compromissione dell’art. 112 Cost.;

che l’assunto del rimettente — secondo cui, nel frangente, l’azione penale verrebbe inammissibilmente promossa dal giudice del dibattimento con l’emissione del nuovo decreto di citazione — trascura infatti la circostanza che, nel procedimento pretorile, il decreto di citazione partecipa della duplice natura di atto di esercizio dell’azione penale e di vocatio in iudicium dell’imputato;

che, nel caso di specie, si è al cospetto di una nullità che — attenendo alla notificazione del decreto — inficia la validità dell’atto sotto il secondo profilo, senza necessariamente escludere la riferibilità dell’esercizio dell’azione penale, per il fatto oggetto di giudizio, alla volontà del pubblico ministero.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 604, comma 4, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Biella con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 dicembre 2000.