Ordinanza n. 545/2000

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ORDINANZA N.545

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 186-ter, comma 1°, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 12 aprile 1999 dal Pretore di Ascoli Piceno nel procedimento civile vertente tra il Comune di Venarotta e Galanti Giuseppe, iscritta al n. 450 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto che - nel corso di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso in favore di un professionista sulla base della presentazione di una parcella vistata dal competente Consiglio dell’ordine [degli Architetti] - il Pretore di Ascoli Piceno, con provvedimento del 12 aprile 1999, a seguito dell'istanza del creditore opposto di pronuncia nei confronti dell’opponente di ordinanza ingiuntiva esecutiva per il pagamento di parte delle somme richieste nel decreto ingiuntivo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 186-ter, primo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non richiama gli artt. 633, comma primo, numero 3, e 636 dello stesso codice;

che il rimettente rileva come la Corte costituzionale, con sentenza n. 295 del 1995, abbia già ritenuto legittima l’opzione del legislatore di limitare le ipotesi di concedibilità del provvedimento anticipatorio di condanna a quei casi in cui il supporto documentale prodotto negli atti processuali assuma una più consistente valenza probatoria, in termini di presumibile resistenza alle contestazioni di controparte, nell'ottica della decisione definitiva;

che, tuttavia, secondo il Pretore a quo, la mancata previsione, in favore della particolare categoria di creditori contemplata dall’art. 633, primo comma, numero 3, cod. proc. civ. della possibilità di ottenere la relativa tutela provvisoria ingiunzionale in corso di causa - soprattutto in ragione dell’ampliamento normativo dell’art. 634, secondo comma (operato dall’art. 8, comma 3, del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, mediante la previsione dell’utilizzabilità delle scritture contabili dell’imprenditore ai fini della procedura monitoria anche ai crediti derivanti da prestazioni di servizi) - si pone in contrasto: a) con l’art. 3, primo comma, Cost., per la disparità di trattamento dei professionisti rispetto ai creditori comuni, ed in particolare agli imprenditori commerciali che vantino crediti da prestazione di servizi, sulla base di un materiale probatorio (scrittura contabile) avente valenza analoga a quella della parcella professionale; b) con l’art. 24, primo e secondo comma, Cost., per la definitiva privazione, senza alternativa alcuna per il professionista, di uno strumento processuale (eseguibile coattivamente ed idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale) di grande intensità dal punto di vista della tutela giurisdizionale, derivante dalla sua forte valenza anticipatoria, con conseguente lesione del principio per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di non fondatezza della sollevata questione.

Considerato che (come rilevato dallo stesso rimettente) questa Corte, con sentenza n. 295 del 1995, ha ritenuto non fondata analoga questione di legittimità costituzionale della norma in esame, allora impugnata nella parte in cui non prevede che lo Stato e gli enti o istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato possano chiedere al giudice di pronunciare ingiunzione di pagamento in ogni stato del processo, anche quando ricorrano i presupposti di cui all'art. 635 cod. proc. civ.;

che in quella sede la Corte ha osservato che il legislatore - sulla base di un'opzione tesa a distinguere il provvedimento monitorio ante causam, frutto di una cognizione sommaria e delibativa, a contraddittorio eventuale, e l’ordinanza ingiuntiva ex art. 186-ter, pronunciata di regola all’esito di un sub-procedimento incidentalmente proposto dalla parte nel contesto di un già instaurato processo a cognizione piena, fisiologicamente destinato a sfociare nella pronuncia di una sentenza di merito afferente al diritto azionato, e non solo alla singola pretesa fatta valere in via interinale (v. altresì sentenza n. 65 del 1996) - ha legittimamente ritenuto di limitare le ipotesi di concedibilità del provvedimento anticipatorio di condanna a quei casi in cui il supporto documentale prodotto negli atti processuali assume una più consistente valenza probatoria, in termini di presumibile resistenza alle contestazioni di controparte, nell'ottica della decisione definitiva;

che tutte codeste affermazioni valgono evidentemente anche riguardo ai crediti vantati dai professionisti sulla base di parcelle di spese e prestazioni redatte dagli stessi e corredate dal prescritto parere delle competenti associazioni professionali (ai sensi degli artt. 633, primo comma, numero 3, e 636 cod. proc. civ.); per cui, in questa sede, é sufficiente ribadire che - seppure non si appalesi come l'unica scelta di politica legislativa costituzionalmente legittima - l'esclusione di crediti in tal modo documentati non può, per ciò solo, essere considerata irrazionale e lesiva del principio di uguaglianza;

che neppure rileva - onde suffragare la dedotta lesione del principio di uguaglianza – l’avvenuta ricomprensione, nell'ambito dei presupposti di concedibilità della tutela in oggetto, delle ipotesi previste al secondo comma dell'art. 634 cod. proc. civ. (anche nel testo modificato dall'art. 8, comma 3, della legge n. 432 del 1995);

che, infatti, nella menzionata sentenza n. 295 del 1995 (ignorata dal rimettente in parte qua) questa Corte ha già ritenuto l'inidoneità di tale norma a fungere da tertium comparationis, in ragione della sua natura eccezionale, in quanto derogatoria dei principi generali in tema di prova nel processo civile e della regola fissata dall'art. 2710 cod. civ., attraverso una previsione volta ad agevolare non il creditore nella sua qualità, bensì la prova dei crediti dell'imprenditore in considerazione del particolare affidamento richiesto nei rapporti commerciali, anche ai fini della circolazione dei crediti stessi;

che altrettanto insussistente si appalesa l'asserita lesione dell'art. 24 Cost., la quale é esclusa dal fatto che la norma denunciata lascia comunque intatta la facoltà della parte di avvalersi, per il riconoscimento dei propri crediti, sia del procedimento monitorio ante causam, sia del giudizio contenzioso ordinario, che é la sede propria dell'accertamento definitivo della pretesa vantata, e rispetto al quale soltanto può essere rapportato il principio di ragionevole durata;

che, pertanto, la sollevata questione é manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 186-ter, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione - dal Pretore di Ascoli Piceno, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 4 dicembre 2000.