Ordinanza n. 542/2000

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ORDINANZA N. 542

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3 e 7, della legge 30 dicembre 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare), dell’art. 7, secondo comma, del regio decreto 19 ottobre 1923, n. 2316 (Modificazioni all’ordinamento della giustizia militare), e dell’art. 2 della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace), promosso con ordinanza emessa il 23 novembre 1999 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di A.A., iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino, con ordinanza emessa il 23 novembre 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 3 e 7, della legge 30 dicembre 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare), dell'art. 7, secondo comma, del regio decreto 19 ottobre 1923, n. 2316 (Modificazioni all'ordinamento della giustizia militare), e dell'art. 2 della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace), in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 103, terzo comma, 104, primo comma, 107 e 108, secondo comma, della Costituzione;

che il giudice rimettente, premesso di dover decidere in ordine ad una richiesta di decreto penale di condanna, dichiara di dubitare "della propria legittimazione giurisdizionale cioé, della propria potestà di decidere con provvedimento di esercizio di giurisdizione", in ragione delle norme impugnate, da cui deriverebbe la sua illegittima costituzione e la carenza di adeguate garanzie in ordine all'esercizio della potestà giurisdizionale;

che, a suo avviso, le norme impugnate, prevedendo una magistratura militare separata da quella ordinaria, contrasterebbero con l'art. 103, terzo comma, della Costituzione, dal quale non si evincerebbe alcun elemento idoneo a radicare il convincimento che i tribunali militari debbano essere composti da magistrati militari, anzichè ordinari, ma soltanto la volontà di consentire la sopravvivenza dei tribunali militari in tempo di pace, quale giurisdizione "eccezionalissima", limitata sia oggettivamente che soggettivamente;

che l'art. 7, secondo comma, del regio decreto n. 2316 del 1923 e l'art. 1 della legge n. 561 del 1988, ponendo la magistratura militare alle dipendenze del Ministro della difesa, anche sotto il profilo disciplinare, determinerebbero una effettiva caduta di indipendenza della stessa e un'elisione delle garanzie che dovrebbero tutelarla ai fini dell'imparziale esercizio della giurisdizione, in violazione degli artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 107 della Costituzione, non essendo tollerabile che dell'azione disciplinare sia titolare il responsabile del dicastero su cui si esercita la giurisdizione, anche perchè, ad avviso del giudice rimettente, tale dicastero sarebbe privo delle articolazioni necessarie per conoscere le effettive modalità di esercizio della giurisdizione;

che, inoltre, l'inquadramento dei magistrati militari nel personale civile della difesa comporterebbe l'inesistenza di qualsiasi controllo del Consiglio della magistratura militare in ordine all'attività ed all'attribuzione di competenze, dovendo i provvedimenti di nomina e di assegnazione di funzioni e di sedi essere richiesti al Ministro della difesa, anzichè al Ministro della giustizia, come discenderebbe dall'equiparazione dei magistrati militari a quelli ordinari, prevista dall'art. 1 della legge n. 180 del 1981;

che, in virtù di tale equiparazione, l'art. 1 della legge n. 561 del 1988 contrasterebbe anche con l'art. 107 della Costituzione, non potendo il legislatore ordinario derogare alle norme che attribuiscono al Consiglio superiore della magistratura le garanzie circa l'assegnazione, la nomina e l'inamovibilità dei magistrati;

che, in subordine, il giudice rimettente censura le medesime norme per violazione dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione, in quanto introdurrebbero un sistema di provvedimenti riguardanti lo status dei magistrati militari facenti capo al Ministro della difesa, responsabile del dicastero oggetto degli accertamenti penali;

che, nel giudizio innanzi alla Corte, é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha sostenuto l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Considerato che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino ha ad oggetto l'art. 2 della legge n. 180 del 1981, il quale prevede che i tribunali militari sono formati da magistrati militari, nonchè l'art. 7, secondo comma, del regio decreto n. 2316 del 1923, che pone la magistratura militare alle dipendenze del Ministero della difesa, e l'art. 1, commi 3 e 7, della legge n. 561 del 1988, che assegna al Consiglio della magistratura militare le medesime attribuzioni spettanti al Consiglio superiore della magistratura nei confronti dei magistrati ordinari, disponendo che l'azione disciplinare é esercitata dal Ministro della difesa;

che l'esistenza di una magistratura militare distinta ed autonoma dalla magistratura ordinaria, ed assoggettata ad una specifica disciplina ordinamentale, non contrasta con l'art. 103, terzo comma, della Costituzione, il quale configura i tribunali militari in tempo di pace come giurisdizione speciale, caratterizzata, al pari delle altre previste dai primi due commi dell'art. 103, non solo da una competenza rigorosamente circoscritta, nella specie avente ad oggetto i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate (cfr. sentenza n. 429 del 1992), ma anche da un'articolazione organizzativa differenziata, non riconducibile a quella della magistratura ordinaria (cfr. sentenze n. 52 del 1998, n. 71 del 1995);

che tale differenziazione organizzativa non pregiudica di per sè il corretto esercizio della funzione giurisdizionale e non contrasta quindi con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, in quanto gli artt. 102 e 103 espressamente riconoscono l'esistenza di modi diversi di esercizio di tale funzione, identificabili nella magistratura ordinaria e nelle altre magistrature, le quali, in coerenza con tali aspetti differenziati, conservano peculiarità di ordinamento quanto alla rispettiva organizzazione ed alle relative garanzie costituzionali (cfr. sentenze n. 278 del 1987, n. 1 del 1978);

che non é pertinente il richiamo agli artt. 104, primo comma, e 107 della Costituzione, i quali riguardano esclusivamente la magistratura ordinaria, in quanto le garanzie di indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali sono stabilite con legge ordinaria, a norma dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione (cfr. sentenze n. 266 del 1988, n. 67 del 1984);

che le censure sollevate dal giudice rimettente non risultano fondate neppure in riferimento a quest'ultima disposizione, invocata in via subordinata, in quanto, a seguito delle modifiche introdotte nell'ordinamento giudiziario militare di pace dalla legge n. 180 del 1981 e dalla legge n. 561 del 1988, le garanzie di indipendenza dei magistrati militari sono assimilate a quelle previste per i magistrati ordinari (cfr. sentenze n. 392 del 2000, n. 52 del 1998, n. 71 del 1995);

che, in particolare, non può considerarsi lesiva dell'indipendenza della magistratura militare l'attribuzione dell'azione disciplinare e dei provvedimenti relativi allo status dei magistrati al Ministro della difesa, anzichè al Ministro della giustizia, tenuto conto da un lato che i compiti di quest'ultimo si riferiscono esclusivamente alla magistratura ordinaria (cfr. ordinanza n. 262 del 1993), dall'altro lato che l'art. 1, comma 3, della legge n. 561 del 1988 assegna al Consiglio della magistratura militare le stesse attribuzioni previste per il Consiglio superiore della magistratura, ivi comprese quelle concernenti i provvedimenti disciplinari (cfr. sentenza n. 52 del 1998).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 3 e 7, della legge 30 dicembre 1988, n. 561 (Istituzione del Consiglio della magistratura militare), dell'art. 7, secondo comma, del regio decreto 19 ottobre 1923, n. 2316 (Modificazioni all'ordinamento della giustizia militare), e dell'art. 2 della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace), sollevata, in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 103, terzo comma, 104, primo comma, 107 e 108, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale militare di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 4 dicembre 2000.