Ordinanza n. 494 del 2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 494

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO Presidente

- Massimo VARI         

- Cesare RUPERTO    

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni), promosso con ordinanza emessa il 17 febbraio 2000 dal Tribunale di Verona nel procedimento di opposizione all’esecuzione proposto da Perini Giampaolo contro Stefanelli Raffaele ed altra, iscritta al n. 430 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell’anno 2000.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che nel corso di un procedimento di espropriazione presso terzi il Tribunale di Verona, in qualità di giudice dell'esecuzione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui introduce, per i dipendenti pubblici, un trattamento sfavorevole, e comunque differente rispetto all'omologo settore privato, in tema di coesistenza tra pignoramento e cessione volontaria della retribuzione;

che la disposizione censurata prevedrebbe che, qualora all'eseguito pignoramento preesista una cessione del credito, si possa pignorare la differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta, mentre ciò non accadrebbe per i dipendenti privati, per i quali si applica l’art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. che limita al quinto dello stipendio la percentuale massima che può essere esecutata;

che, mentre per i lavoratori privati non sarebbe specificatamente disciplinata la coesistenza tra cessione dello stipendio e attribuzione di parte del medesimo al creditore in executivis, per il settore pubblico, invece, sono previsti particolari effetti di tale coesistenza, con palese violazione dell'art. 3 della Costituzione, non essendo fondata tale disparità di trattamento su di un criterio di ragionevolezza;

che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata, in riferimento al medesimo parametro costituzionale, soprattutto per il deteriore trattamento del dipendente pubblico per il quale la pignorabilità si estenderebbe fino al limite massimo corrispondente alla metà dello stipendio, non riscontrabile nel settore privato;

che nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

Considerato che il rimettente ripropone la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, secondo comma, del d.P.R. n. 180 del 1950, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, negli stessi termini di quelle risolte da questa Corte con la sentenza n. 220 del 1991 e con la successiva ordinanza n. 258 del 2000;

che la disposizione denunciata, così come interpretata dalla Corte con le pronunce di cui sopra, si pone come norma differenziata per il pubblico dipendente rispetto al dipendente privato soltanto in quanto appresta al primo la ulteriore garanzia dello sbarramento della somma massima pignorabile; ma per il resto la disciplina corrisponde sostanzialmente a quella relativa ai dipendenti privati, per la quale trovano applicazione sia il disposto (processuale) dell’art. 547, secondo comma, cod. proc. civ. (per cui il terzo che rende la dichiarazione deve specificare le cessioni che gli siano state notificate o che abbia accettato), sia quello (sostanziale) dell’art. 2914, numero 2), cod. civ.;

che, come già chiarito, la norma denunziata é suscettibile di ricevere una interpretazione che la sottrae ai denunziati profili di incostituzionalità;

che non vengono prospettati profili nuovi o diversi, tali da indurre ad una diversa valutazione della questione;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, secondo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni) sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Verona con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 ottobre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente e Redattore

Depositata in cancelleria il 14 novembre 2000.