Ordinanza n. 462/2000

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ORDINANZA N. 462

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), come modificato dall’art. 8, comma 1, del decreto–legge 20 maggio 1993, n. 148 convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 1997 dal Pretore di Bari nel procedimento civile vertente tra la MITER s.r.l. e l’INPS, iscritta al n. 408 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 28 settembre 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto che nel corso di una controversia di carattere previdenziale il Pretore di Bari ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 23, 24 e 41 della Costituzione, dell’art 24, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), come modificato dall’art. 8, comma 1, del decreto–legge 20 maggio 1993, n. 148 convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236;

che detta norma prevede che, in caso di licenziamento collettivo per riduzione di personale, l’impresa che opera tale licenziamento sia tenuta a versare all’Istituto nazionale della previdenza sociale un contributo pari a tre mensilità del trattamento iniziale di mobilità, somma che viene elevata nella misura di nove volte detto trattamento nel caso in cui la procedura di conciliazione non abbia esito favorevole, per il dissenso opposto dai sindacati;

che, ad avviso del giudice a quo, siffatta previsione è in contrasto con l’art. 41 Cost., in quanto limitativa della libertà di iniziativa economica, e con l’art. 23 Cost., secondo cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta, se non in base alla legge;

che la norma impugnata appare al rimettente in conflitto anche con l’art. 24 Cost., perché il soggetto obbligato non ha alcuna possibilità di agire in giudizio per sentir dichiarare l’eventuale illegittimità del rifiuto opposto dalle organizzazioni sindacali al raggiungimento di un accordo;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata manifestamente infondata.

Considerato che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il giudice rimettente è tenuto a motivare le circostanze di fatto che determinano la rilevanza della questione nella specifica fattispecie al suo esame; con la conseguenza che una motivazione carente o insufficiente su tale punto implica l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale;

che lo stesso giudice deve dare conto dell’iter logico seguito e delle ragioni per le quali ritiene di dover fare applicazione della norma impugnata;

che, nel caso specifico, il giudice rimettente omette ogni motivazione sulla controversia sottoposta alla sua valutazione, sicché l’applicabilità della norma impugnata ne risulta apoditticamente affermata;

che alla Corte è conseguentemente impedito di verificare la sussistenza del preliminare requisito della rilevanza;

che, pertanto, la presente questione è da ritenersi manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art 24, comma 3, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), come modificato dall’art. 8, comma 1, del decreto–legge 20 maggio 1993, n. 148 convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, sollevata, in riferimento agli artt. 23, 24 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Bari con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 3 novembre 2000.