Ordinanza n. 444/2000

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ORDINANZA N. 444

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare  RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente  

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità), promossi con ordinanze emesse il 5 ottobre (n. due ordinanze), il 23 novembre 1999 e il 21 marzo 2000 dalla Corte d'appello di Trento, rispettivamente iscritte ai nn. 662 e 663 del registro ordinanze 1999 e ai nn. 3 e 303 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1999 e nn. 5 e 24, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di intervento della Provincia autonoma di Trento;

udito nella camera di consiglio del 27 settembre 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che, con ordinanza emessa in data 5 ottobre 1999 (r.o. n. 662 del 1999), nel corso di un procedimento di opposizione alla stima dell’indennità espropriativa relativa a fondo agricolo, la Corte d’appello di Trento ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 42, terzo comma, della Costituzione e all'art. 8, primo comma, dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità), nella parte in cui prevede, per il calcolo di detta indennità, un meccanismo tabellare;

che tale sistema, ad avviso del collegio a quo, nel restringere la cognizione del giudice all’interno di predeterminate classi legali, ed, in particolare, nel basare il calcolo della indennità di cui si tratta su "perimetrazioni" cartografiche in realtà non esistenti sul terreno, ovvero esistenti in forme meno rigide e più variegate, porterebbe a "giudizi di uguaglianza pur nelle disuguaglianze", in una materia, per di più, tanto incisiva sui diritti del cittadino, quale quella afferente alle espropriazioni, in violazione, altresì, dell’art. 42, terzo comma, della Costituzione;

che, si rileva nell'ordinanza, secondo i criteri di cui all’impugnato art. 13 della predetta legge provinciale, le categorie tengono conto esclusivamente della vocazione colturale dei fondi della zona nella quale si inserisce quello espropriato, secondo parametri medi, che non hanno alcun riguardo alle peculiarità delle singole realtà;

che oggetto della censura, secondo quanto espressamente affermato nella stessa ordinanza, è la utilizzazione dei valori medi calcolati secondo i criteri sopra descritti quale unico parametro nella determinazione dell’indennità, senza alcuna considerazione del valore venale del fondo;

che la lamentata incongruità di tale sistema, ad avviso del collegio rimettente, sarebbe tanto più evidente ove si consideri che il nuovo sistema di indennizzo previsto dalla riforma attuata con la legge provinciale n. 10 del 1998 abbandonerebbe il rigido sistema tabellare per i fondi aventi destinazione edificatoria, mediandolo proprio con il valore venale del bene, mentre per i fondi agricoli la legge rimane ancorata al sistema tabellare;

che, pertanto, soltanto un sistema che consenta di tenere in considerazione il valore venale del fondo, ancorché unitamente ad altri parametri, pure, in ipotesi, tabellari, potrebbe, secondo l’ordinanza di rimessione, sottrarsi al dubbio di illegittimità costituzionale, avuto anche riguardo alla circostanza che, dal calcolo effettuato secondo la normativa impugnata, potrebbe risultare una misura dell'indennità in questione addirittura inferiore a quella che si otterrebbe seguendo i criteri, già restrittivi, introdotti dall'art. 5-bis del decreto-legge n. 333 del 1992, rientrante nel novero delle norme di grande riforma economico-sociale e ispirata a principi che prevalgono anche sugli ordinamenti delle Regioni a statuto speciale e Province autonome;

che la medesima questione, in riferimento agli stessi parametri, è stata sollevata dalla Corte d’appello di Trento con altre tre ordinanze di contenuto identico alla prima, una delle quali emessa nella stessa data del 5 ottobre 1999 (r.o. n. 663 del 1999), un'altra in data 23 novembre 1999 (r.o. n. 3 del 2000), ed infine un'altra in data 21 marzo 2000 (r.o. n. 303 del 2000), le due ultime relative a procedimenti di opposizione alla stima della indennità espropriativa relativa a terreni un tempo utilizzati come cava, e poi trasformati per diverse utilizzazioni, comunque non aventi vocazione edificatoria;

che, nel giudizio introdotto con l’ordinanza r.o. n.662 del 1999, ha spiegato intervento la Provincia autonoma di Trento, concludendo per l’inammissibilità della questione, in quanto non sarebbero articolati in modo adeguato i motivi di diritto che fonderebbero il contrasto, affermato apoditticamente; nel merito, sarebbe infondata la censura di mancato rispetto dell’art. 8 dello statuto speciale, in quanto la disposizione impugnata rispetterebbe le norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica - che, nella materia di cui si tratta, sono rappresentate dall’art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, il quale, per le aree agricole, prevede l’applicazione del sistema indennitario stabilito dal Titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865 - cui la legislazione provinciale di Trento si sarebbe adeguata, differenziandosi dalla legislazione statale, se mai, solo nel tentativo di ottenere una maggiore aderenza alle specifiche realtà proprietarie; l’indennità di espropriazione per le aree non edificabili viene, infatti, commisurata, alla stregua della normativa statale, al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare;

che l’anzidetto criterio, secondo la tesi della Provincia autonoma, sarebbe fatto proprio dalla disposizione impugnata, il cui primo comma stabilisce che l’indennità corrisponde al valore, che deve essere attribuito all’area, secondo lo specifico tipo di coltura in atto, mentre il secondo comma conferisce alla commissione il compito di determinare i valori agricoli medi secondo i tipi di coltura praticati;

che, sempre secondo la difesa della Provincia, insussistente sarebbe, altresì, il contrasto con l’art. 24 della Costituzione, in quanto tale diritto non sarebbe affatto in giuoco, e, comunque, sarebbe pienamente garantito;

che, infine, nella memoria che si richiama, in proposito, alla sentenza della Corte costituzionale n. 261 del 1991, si sostiene la infondatezza delle altre censure, frutto del tentativo di introdurre nel procedimento di quantificazione della indennità espropriativa la considerazione di una serie di elementi, ulteriori rispetto alle potenzialità agricole.

Considerato che, preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei giudizi, stante la connessione oggettiva delle questioni;

che l’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6, nella parte contestata, stabilisce come criterio per il calcolo della indennità di esproprio per i fondi agricoli un sistema esclusivamente tabellare, in cui i valori venali medi, fissati dall’autorità amministrativa per classi secondo il tipo di coltura, sono utilizzati come unico parametro nella determinazione della indennità;

che detto criterio corrisponde sostanzialmente al metodo seguito dal legislatore nazionale per le aree agricole con l’art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359;

che il legislatore nazionale, con l’art. 5-bis citato, norma fondamentale di riforma economico-sociale (sentenze n. 147 del 1999; n. 80 del 1996; n. 153 del 1995), ha previsto per la determinazione dell’indennità di espropriazione per i fondi agricoli (differenziata da quella relativa alle aree edificabili) l’applicazione del sistema stabilito dal Titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865;

che in particolare l’art. 16, quarto comma, della legge n. 865 del 1971 prevede un sistema tabellare (aggiornato annualmente) con valore agricolo medio, nel precedente anno solare, dei terreni, considerati liberi da vincoli di contratti agrari, secondo i tipi di coltura effettivamente praticati;

che, alla stregua di tale norma, la disposizione di legge provinciale può essere interpretata in maniera del tutto adeguata e conforme ai principi fondamentali surrichiamati della legislazione statale, tenuto conto anche della discrezionalità di valutazione, della quale anche il legislatore della Provincia autonoma gode nella materia (espropriazione) entro i limiti stabiliti dalla Costituzione (su questo ultimo profilo, v. sentenza n. 231 del 1984);

che il predetto sistema statale di determinazione della indennità di esproprio per le aree agricole (prive di attitudine edificatoria) è stato oggetto di ripetuto esame, con riferimento agli stessi parametri invocati nella attuale sede, da parte di questa Corte (da ultimo, in ordine alla scelta del legislatore di una dicotomia, con separato meccanismo di indennità per le aree edificabili, rispetto a tutte le altre aree, comprese quelle agricole: v. sentenza n. 261 del 1997, preceduta da sentenze n. 1022 del 1988; n. 530 del 1988; n. 355 del 1985; n. 231 del 1984);

che, in realtà, per le aree agricole (prive dell'attitudine edificatoria) la liquidazione dell'indennità in base al valore agricolo medio, con specifico riferimento alle colture effettivamente praticate nel fondo, comporta un criterio che si basa sul valore effettivo del bene espropriato in relazione alle sue caratteristiche e alla sua destinazione economica, sia pure contemperato a meccanismo correttivo (media);

che infine giova rilevare, ancora una volta, che le tabelle formate dalle commissioni amministrative e le relative applicazioni non restano sottratte al sindacato giurisdizionale sugli atti dell'amministrazione e al potere di disapplicazione del giudice ordinario (sentenza n. 261 del 1997), per cui resta esclusa in radice anche la denunciata violazione dell’art. 24 della Costituzione;

che pertanto la questione sollevata è manifestamente infondata sotto tutti i profili denunciati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma e 42, terzo comma, della Costituzione, e all’art. 8, primo comma, dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige, dalla Corte d’appello di Trento con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 26 ottobre 2000.