Sentenza n. 437/2000

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SENTENZA N. 437

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Direttore generale dell'Ufficio centrale per i beni culturali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali e ambientali del 29 ottobre 1996, di annullamento, ai sensi della legge n. 431 del 1985, dell'autorizzazione n. 11184/95 del 28 dicembre 1995 rilasciata dalla Regione Valle d'Aosta, ai sensi dell'art. 7 della legge 1497 del 1939, al Signor Ennio Vallomy per la ristrutturazione e l'ampliamento di un alpeggio sito nel Comune di Lillianes, promosso con ricorso della Regione Valle d'Aosta, notificato il 20 dicembre 1996, depositato in cancelleria il 24 successivo ed iscritto al n. 32 del registro conflitti 1996.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

udito l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 20 dicembre 1996 e depositato il successivo 24 dicembre, la Regione autonoma Valle d'Aosta ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto emesso in data 29 ottobre 1996 dal Direttore generale dell'Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali ed ambientali (oggi Ministero per i beni ed attività culturali), con cui è stata annullata l'autorizzazione rilasciata dalla predetta Regione, ai sensi dell'art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, per la ristrutturazione e l'ampliamento di un alpeggio sito nel Comune di Lillianes.

Assume la Regione ricorrente che il decreto impugnato violerebbe le competenze spettanti alla medesima in base agli artt. 2 e 4 dello statuto (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), in relazione all'art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196 ed all'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ed in relazione, altresì, ai principi desumibili dagli artt. 97 e 116 della Costituzione.

Ad avviso della ricorrente, l'atto de quo si porrebbe in contrasto anche con il principio di leale cooperazione tra Stato e Regione nell'esercizio delle rispettive competenze.

Infatti, pur nella consapevolezza dell’applicabilità alla Regione autonoma della Valle d'Aosta della disciplina posta dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, per aver questa introdotto norme di grande riforma economico-sociale, tuttavia non si è tenuto conto della particolare posizione che, nella materia, spetta alla Regione medesima, giacché, per statuto, è ad essa attribuita una competenza legislativa primaria in materia di "tutela del paesaggio" (art. 2, lettera q), cui corrisponde anche la relativa competenza amministrativa (art. 4); inoltre, a mente dell'art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196, alla Regione Valle d'Aosta sono state trasferite "le funzioni amministrative che il Ministero per i beni culturali ed ambientali ed altri organi centrali dello Stato esercitano per il territorio della Valle d'Aosta, in materia di tutela del paesaggio".

Nella specie, il procedimento, che ha caratterizzato l'emanazione dell'atto impugnato, si è distaccato dal modello ispirato al principio di leale cooperazione, in quanto l'organo statale non ha dato alcun riscontro alla comunicazione ricevuta, né ha chiesto dati o documenti o precisazioni; non ha espresso obiezioni o contestazioni, così come non ha ricercato una concertazione o anche solo una consultazione con la Regione, ma ha sovrapposto autoritativamente la propria valutazione a quella espressa dalla Regione stessa, travalicando i poteri di cui all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977.

Sotto altro profilo, la Regione deduce che le attribuzioni dello Stato in materia di autorizzazione di cui all'art. 7 della legge n. 1497 del 1939 è legato al rispetto di termini rigorosi, nel senso che il potere del Ministro deve essere esercitato nel termine di sessanta giorni dalla data della relativa comunicazione.

Nella specie, di contro, il decreto impugnato è stato emesso il 29 ottobre 1996, mentre la comunicazione effettuata dalla Regione, con allegato il provvedimento adottato, risalirebbe al 18 gennaio del 1996: ben oltre, quindi, il termine utile per esercitare il potere di annullamento.

2.- Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la reiezione del conflitto. In particolare, rileva che il proposto conflitto è sostenuto da motivi che si fondano sulla deduzione di vizi di legittimità e, come tali, soggetti alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Inoltre, rileva l'Avvocatura, nel contesto della procedura di annullamento prevista dal nono comma dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, non può trovare applicazione il principio di leale cooperazione così come inteso, nella specie, dalla Regione ricorrente data la natura dell'intervento repressivo dello Stato e data la incompatibilità con l'osservanza del termine di 60 giorni assegnato dalla legge all'esercizio del potere di annullamento; quest'ultimo, peraltro, è stato svolto senza travalicare i limiti propri del potere di annullamento.

3.- Il ricorso era stato fissato per l’udienza pubblica del 25 novembre 1997 e successivamente del 6 luglio 1999 e rinviato a nuovo ruolo sempre su istanza della Regione ricorrente.

In prossimità della nuova data fissata per la pubblica udienza la Regione autonoma della Valle d'Aosta ha fatto pervenire una memoria, con la quale, richiamandosi alle sue istanze di rinvio in occasione della fissazione delle precedenti udienze, precisa che la Commissione paritetica, investita della questione relativa ai rapporti tra l'Amministrazione regionale ed il Ministero in ordine all'esercizio dei poteri di cui trattasi, ha ritenuto di predisporre lo schema di due commi da aggiungere all'art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196, contenenti norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d'Aosta.

Tuttavia, lo schema di norme non risulta ancora sottoposto al Consiglio dei ministri.

In tale situazione la Regione ha rappresentato il proprio attuale interesse alla decisione del conflitto in questione.

Nel merito, ribadisce la proprie ragioni, sottolineando come la giurisprudenza costituzionale, pur dando atto che la disciplina di cui alla legge n. 431 del 1985 abbia introdotto norme fondamentali di grande riforma economico-sociale, ha, tuttavia, affermato che la concorrenza di poteri che ne deriva deve essere caratterizzata, comunque, dalla rispondenza al principio della leale cooperazione.

Nella memoria, si segnala, altresì, che nel nostro ordinamento possono coesistere i presupposti per la proposizione del ricorso giurisdizionale davanti al giudice amministrativo e del ricorso per conflitto di attribuzione, trattandosi di rimedi che operano su piani diversi.

In particolare, nella specie, la Regione ha lamentato la lesione delle proprie competenze costituzionalmente garantite.

Nella memoria, si aggiunge che con il provvedimento impugnato si è voluto sovrapporre la valutazione operata in sede ministeriale a quella operata in sede regionale. In realtà, quindi, si è trattato di un annullamento per motivi di merito, mentre è pacifico che la disposizione di cui all'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 consente un potere di annullamento di ufficio solo per motivi di stretta legittimità.

Considerato in diritto

1.- Il conflitto di attribuzione, proposto nei confronti dello Stato dalla Regione autonoma della Valle d'Aosta con ricorso notificato il 20 dicembre 1996, riguarda il decreto ministeriale 29 ottobre 1996, emesso dal Direttore generale dell'Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali ed ambientali, con cui è stata annullata, ai sensi dell’art. 82, nono comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega prevista dall’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) come integrato dall’art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 (Conversione in legge del d.l. 27 giugno 1985, n. 312 recante disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale) l'autorizzazione della Regione autonoma Valle d’Aosta 28 dicembre 1995, n. 11184/95, rilasciata, ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, per la ristrutturazione e l'ampliamento dell'alpeggio sito in località "Rondere" nel Comune di Lillianes.

La Regione deduce la violazione degli artt. 2 e 4 dello statuto (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4), in relazione all'art. 16 della legge 16 maggio 1978, n. 196 ed all'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, nonché ai principi desumibili dagli artt. 97 e 116 della Costituzione.

2.- Preliminarmente deve essere affrontato il problema dell’ambito di ammissibilità dei motivi dedotti dalla Regione in sede di conflitto, accennato dalla difesa di entrambe le parti.

Certamente devono restare al di fuori del presente conflitto i profili non aventi tono costituzionale e che non attengono alla sfera delle competenze costituzionalmente garantite alla Regione autonoma Valle d’Aosta, ma che riguardano semplicemente aspetti procedimentali dell’atto oggetto del conflitto, senza alcun riflesso sui rapporti tra Regione e Stato in ordine alla ripartizione delle sfere di competenza e sugli effetti che un atto statale può produrre su funzioni già esercitate dalla Regione, nella specie, in base a previsione statutaria (artt. 2, lettera q), e 4 dello statuto regionale approvato con legge costituzionale n. 4 del 1948).

Si tratta, invece, di verificare, in questa sede di conflitto, se lo Stato abbia esorbitato dalla propria sfera di attribuzioni in una materia, come quella della tutela del paesaggio, in cui la Regione autonoma della Valle d’Aosta ha funzioni legislative primarie e amministrative proprie, e nello stesso tempo lo Stato deve conservare "indefettibili compiti di rilievo nazionale per la tutela dei beni culturali ed ambientali, unitariamente intesi in base all’art. 9 della Costituzione" (v. sentenze n. 334 del 1998; n. 157 del 1998 a proposito di regioni a statuto ordinario; n. 341 del 1996, a proposito di regione ad autonomia speciale, e n. 151 del 1986) in parte surrogatori o suppletivi, in parte correttivi ad estrema difesa dei vincoli.

Cosi delimitati gli ambiti di ammissibilità del conflitto, deve essere affermato che il conflitto proposto dalla Regione Valle d’Aosta è ammissibile per la parte in cui prospetta una lesione o menomazione delle competenze costituzionalmente garantite al soggetto ricorrente (sentenze n. 157 del 1998 e n. 473 del 1992).

3.- Ai fini della soluzione del conflitto occorre richiamare i seguenti principi in materia di paesaggio e di rapporti tra Stato e Regione:

a) il regime giuridico dei provvedimenti autorizzativi regionali in materia paesistica è definito esaustivamente dall’art. 1 del d.l. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modifiche, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, il quale pone - a carico di tutte le Regioni, anche di quelle ad autonomia speciale - l’obbligo di comunicazione di tali provvedimenti - insieme alla relativa documentazione - al Ministero per i beni culturali ed ambientali, proprio ai fini dell’esercizio dei poteri di controllo e di estrema difesa del vincolo paesistico (sentenze n. 341 del 1996; n. 151 del 1986);

b) tali poteri statali di cui alla legge n. 431 del 1985 (che comprendono anche il potere di eventuale annullamento dell’autorizzazione concessa dalla regione), proprio per il fatto di essere posti ad estrema difesa dei vincoli paesaggistici, costituiscono parte di una disciplina qualificabile, per la diretta connessione con il valore costituzionale primario della tutela del paesaggio (art. 9 della Costituzione), come norme fondamentali di riforma economico-sociale, in conformità, del resto, alla esplicita ed, in questo caso, pertinente autoqualificazione contenuta nell’art. 2 della stessa legge (sentenze n. 341 del 1996; n. 151 del 1986);

c) la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali è affidata ad un sistema di intervento pubblico basato su competenze statali e regionali che concorrono o si intersecano, in una attuazione legislativa che impone il contemperamento dei rispettivi interessi, con l’osservanza in ogni caso del principio di equilibrata concorrenza e cooperazione tra le due competenze, in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio (v. sentenze n. 157 del 1998; n. 170 del 1997);

d) non sussiste una incompatibilità tra la leale collaborazione tra Stato e Regione, da attuarsi concretamente attraverso la semplice informazione alla regione dell’avvio del procedimento di annullamento, e la previsione normativa del termine perentorio di sessanta giorni per l’esercizio di detto potere di annullamento, in quanto la semplice informativa alla regione può essere data con qualsiasi mezzo di comunicazione ed in maniera sintetica, senza la necessità di contestazione o di acquisizione del previo parere regionale.

4.- L’interferenza ed il particolare reciproco legame delle funzioni regionali e statali, nella specifica materia di tutela dei beni paesaggistici, con la previsione del potere dello Stato di annullamento di autorizzazioni rilasciate dalla regione, esigono la piena attuazione del principio di leale cooperazione, che deve caratterizzare le relazioni degli organi istituzionali, cui sono affidate le funzioni previste dall’art. 9 della Costituzione, "nella direttrice della primarietà del valore estetico-culturale e della esigenza di una piena e pronta realizzazione di esso, secondo un modello ispirato" al detto "principio" (sentenza n. 151 del 1986).

Tale principio di leale cooperazione deve attuarsi in forme concrete ed effettive ed operare reciprocamente (non in modo unidirezionale: v. sentenza n. 341 del 1996 citata) tra Stato e Regione autonoma della Valle d’Aosta: di modo che, come questa Regione è soggetta all’obbligo di comunicare immediatamente le rilasciate autorizzazioni di cui all’art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e di trasmettere la relativa documentazione (con decorrenza del termine per l’intervento statale), così lo Stato deve essere tenuto all’obbligo di dare, alla stessa Regione (avente specifica competenza nella materia in base a statuto), tempestiva notizia che il riesame-controllo di mera legittimità sta dando avvio ad una procedura (di secondo grado) per l’annullamento della autorizzazione.

5. - Non può ritenersi - come invece sostiene la difesa dello Stato - irrilevante, ai fini del procedimento (in corso) di annullamento, la comunicazione alla Regione Valle d’Aosta, in quanto anche essa è titolare (sia pure come espressione di concorrenza di poteri, secondo un modello ispirato alla leale cooperazione: sentenza n. 151 del 1986; v. anche sentenza n. 242 del 1997) della funzione di tutela del paesaggio, rientrante anche nella sfera degli interessi regionali per previsione statutaria e quindi esercitabile anche autonomamente secondo le previsioni di legge. La semplice comunicazione, infatti, può consentire alla Regione (così come tale possibilità non può essere esclusa per il soggetto titolare della autorizzazione) di fornire - se crede opportuno - eventuali ulteriori elementi, documenti o delucidazioni, tenuto conto dei termini perentori per l’esercizio del potere di annullamento dell’autorizzazione da parte dello Stato e, a sua volta, di informare il soggetto titolare della stessa autorizzazione (rilasciata dalla medesima Regione, con conseguenti eventuali responsabilità) dei rischi di iniziare o proseguire i lavori oggetto di autorizzazione regionale, efficace ed operante pure in pendenza del termine per l’annullamento.

Infine deve essere sottolineato che l’anzidetto esercizio del potere di annullamento statale delle autorizzazioni paesistiche come espressione di sistema di concorrenza di poteri, realizzato non attraverso un atto complesso o una intesa, costituisce sempre una fase di secondo grado (rispetto ad una autorizzazione regionale perfetta ed efficace), nella quale vi è possibilità di introdurre - d’ufficio o su iniziativa dei soggetti portatori di interessi qualificati - documentazione ed elementi di fatto ulteriori rispetto all’istruttoria regionale. Questa speciale fase di secondo grado si caratterizza per l’autorità (statale) diversa da quella di primo grado (regionale), con un diverso responsabile del procedimento (argomentando anche da d.m. 13 giugno 1994, n. 495, art. 9 e tabella A) con poteri anche istruttori. Soprattutto la differenziazione si rileva nella discrezionalità propria di tale potere di annullamento statale, il cui esercizio e messa in moto d’ufficio (anche se ha per presupposto necessario, per la decorrenza del termine, la trasmissione di copia della autorizzazione regionale con la relativa documentazione) non è mai assolutamente dovuto o vincolato, ma è sempre eventuale e collegato alla valutazione discrezionale di esigenze "di estrema difesa del vincolo paesistico".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato, senza previa comunicazione alla Regione autonoma Valle d’Aosta dell’avvio del procedimento, annullare, ai sensi dell’art. 82, nono comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, una autorizzazione rilasciata, in base all'art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, dalla medesima Regione; conseguentemente annulla il decreto del Direttore generale dell'Ufficio centrale per i beni ambientali e paesaggistici del Ministero per i beni culturali ed ambientali 29 ottobre 1996, impugnato con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 ottobre 2000.