Ordinanza n. 435/2000

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ORDINANZA N. 435

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), e 37, comma 4-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza emessa il 5 febbraio 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Como sul ricorso proposto da Peverelli Orlando contro l'Ufficio delle imposte dirette di Como, iscritta al n. 211 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2000 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso da un contribuente avverso un avviso di accertamento avente ad oggetto l'omessa indicazione per l'anno 1988 di redditi di lavoro autonomo occasionale, la Commissione tributaria provinciale di Como, con ordinanza del 5 febbraio 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale:

¾ dell’art. 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), "nella parte in cui non prevede parametri normativi di riferimento" in tema di conciliazione delle controversie tributarie, per contrasto con gli artt. 2, 23 e 53 della Costituzione;

¾ del comma 5 della citata disposizione, "nella parte in cui consente, senza limiti ed in via permanente, la conciliazione extraprocessuale di dette controversie", lamentando la violazione dell'art. 23 della Costituzione;

¾ dell'art. 37, comma 4-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui "demanda al dirigente dell’ufficio la determinazione delle condizioni della proposta e dell’accettazione", per contrasto con gli artt. 23 e 97 della Costituzione;

¾ del medesimo comma 5 dell'art. 48 del decreto legislativo n. 546 del 1992, "nella parte in cui attribuisce al giudice la verifica dei presupposti e condizioni di ammissibilità della conciliazione”, in violazione degli artt. “97 e 101 segg.” della Costituzione;

che il rimettente, nel rilevare che la carenza di "una corretta procedimentalizzazione di criteri legali ed amministrativi" di definizione della conciliazione delle controversie tributarie può dar luogo ad abusi non consentiti in uno Stato di diritto, lamenta che il legislatore, inserendo nell'esercizio di una funzione statale regole proprie dell'impresa, abbia introdotto "il principio dell'imposizione negoziata, anzi della determinazione concordata dell'obbligazione tributaria";

che, ad avviso del giudice a quo, ne risulterebbe sacrificata, per i redditi di impresa o di lavoro autonomo, l’esigenza del concorso alle spese pubbliche in base alla capacità effettiva, in vista del solo scopo di conseguire un immediato incremento delle entrate, senza che i dubbi di costituzionalità possano ritenersi superati in forza dell’art. 14, comma 2, del decreto legislativo n. 218 del 1997, integrativo dell’art. 37 del decreto legislativo n. 545 del 1992, il quale affida l'imparzialità dell’Amministrazione "alle diversificate iniziative dei dirigenti circa le condizioni della proposta e dell’accettazione, ... neppure portate a conoscenza del giudice tributario”;

che, al tempo stesso, il rimettente ritiene privo di giustificazione "un intervento del giudice circa i presupposti e le condizioni della conciliazione extraprocessuale”, essendo demandata, nel vigente quadro normativo, la determinazione dell’obbligazione "al riservato ed insindacabile giudizio dell’Amministrazione";

che, a quest'ultimo riguardo, l'ordinanza, nel rilevare che i dubbi di incostituzionalità dell'istituto della conciliazione parrebbero destinati a permanere anche a fronte di una interpretazione estensiva o adeguatrice della norma sui poteri del giudice tributario, osserva che, attualmente, l’intervento di quest'ultimo “è palesemente ripetitivo dell’esame già compiuto in via preliminare” (art. 27 del decreto legislativo n. 546 del 1992), “circa l’ammissibilità del ricorso e la capacità processuale del ricorrente”, risultando, quindi, aggravato “inutilmente il procedimento della fattispecie conciliativa”;

che, in ogni caso, secondo il rimettente, "se (il sistema) è conforme ai valori costituzionali", si riverberano sul giudice “riserve e sospetti per eventuali violazioni e/o errori delle parti nell’accordo conciliativo", perché "l'apparente" ed inutile controllo a lui demandato lo rende formalmente partecipe dell’esercizio del potere di disposizione del credito d’imposta, mentre “il riparto delle competenze ed il principio della separazione dei poteri ... esigono che gli sia demandato solo il compito di dichiarare l'estinzione del giudizio";

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per sentir dichiarare l'infondatezza delle sollevate questioni.

Considerato che l'ordinanza, nel denunciare le varie disposizioni sulla conciliazione giudiziale delle controversie tributarie, prospetta in realtà due diverse e contrastanti questioni;

che la stessa, infatti, da un lato, deduce l'incostituzionalità dell'istituto della conciliazione giudiziale, chiedendone la caducazione, con l'effetto di un'espansione delle competenze del giudice verso una cognizione piena delle controversie suddette, e, dall'altro, assumendo, sia pure in via di mera ipotesi, la conformità a Costituzione dell'istituto di cui trattasi, chiede che venga dichiarato illegittimo l'art. 48, comma 5, del decreto legislativo n. 546 del 1992, con una pronunzia che, nel ridurre ¾ in termini che, invero, non appaiono del tutto chiari e definiti ¾ la funzione del giudice al "solo compito di dichiarare l'estinzione del giudizio", escluda così la verifica, da parte del medesimo, delle condizioni e dei presupposti di ammissibilità della conciliazione raggiunta fuori di udienza;

che, pertanto, in ragione della rilevata contraddittorietà e perplessità nelle prospettazioni e nelle argomentazioni dell'ordinanza, le questioni sono da reputare manifestamente inammissibili (sentenza n. 286 del 1999 ed ordinanze n. 233 e n. 373 del 1999).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge n. 87 del 1953 e 9, secondo comma, delle norme integrative per giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale:

¾ dell’art. 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento agli artt. 2, 23 e 53 della Costituzione;

¾ dell'art. 48, comma 5, del citato decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in riferimento agli artt. 23, 97 e 101 della Costituzione;

¾ dell'art. 37, comma 4-bis, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento agli artt. 23 e 97 della Costituzione;

sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 ottobre 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 ottobre 2000.