Sentenza n. 431/2000

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SENTENZA N. 431

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 56, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1999 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra il Fallimento Sales Promotion s.r.l. e la Rusconi Pubblicità s.p.a. ed altra, iscritta al n. 532 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

 1.- Nel corso di un giudizio promosso dal curatore fallimentare per ottenere la condanna di un debitore al pagamento del credito vantato nei confronti di quest'ultimo dal fallito, il Tribunale di Milano in composizione monocratica - di fronte all'eccezione del debitore convenuto di compensazione di tale credito con quello contrapposto, già scaduto, a lui ceduto da un terzo nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento - ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede che la compensazione non abbia luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi nell'anno anteriore al fallimento, anche se il credito è scaduto.

 Il rimettente - richiamata la giurisprudenza della Corte di cassazione sulla non revocabilità ai sensi dell'art. 67 del regio decreto n. 267 del 1942 di una siffatta cessione del credito, non essendo quest'ultima un atto del fallito - ritiene che il differente trattamento normativo previsto nel caso di acquisto per atto tra vivi di un credito scaduto (nel quale la compensazione è ammessa) rispetto a quello di un credito non scaduto (nel quale la compensazione è vietata) non sia giustificabile alla stregua dell'evocato parametro costituzionale, perché, secondo quanto denunciato anche dalla prevalente dottrina, la ratio del divieto di compensazione mediante un credito non scaduto - cioè l'esigenza di non violare il principio del concorso sostanziale dei creditori - varrebbe ugualmente nel caso di credito scaduto e perché sussisterebbe altresì, anche in tale ipotesi, il pericolo di favorire lo sviluppo di un mercato dei crediti vantati nei confronti dell'imprenditore insolvente.

 Sempre secondo il rimettente, la diversità di disciplina non potrebbe giustificarsi in base alla considerazione che l'effetto estintivo della compensazione si verifica nel momento della coesistenza dei contrapposti crediti, e dunque già prima del fallimento per i debiti scaduti; in contrario, nell'ordinanza di rimessione, si osserva che «questa conclusione non vale ai fini del concorso, in quanto rispetto alla massa dei creditori l'estinzione del credito del fallito presuppone che sia avvenuta efficacemente».

 Il giudice a quo nega, infine, la possibilità di un'interpretazione secundum Constitutionem della denunciata disposizione, perché all'esclusione del meccanismo compensativo rispetto ai crediti, acquistati per atto inter vivos, già scaduti (prevista, ad esempio, negli ordinamenti tedesco, austriaco e svizzero), non può pervenirsi in via di interpretazione analogica, ostandovi il chiaro dettato della disposizione denunciata.

 2.- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della sollevata questione ed osservando, con successiva memoria presentata nell'imminenza dell'udienza, che la compensazione opera già prima della dichiarazione di fallimento, secondo i princípi generali dell'estinzione delle obbligazioni, senza che possa lamentarsi la violazione della par condicio creditorum, principio residuale, ed in ogni caso «di per sé inidoneo a fondare diritti non previsti da norme specifiche».

Considerato in diritto

 1.- Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, dubita - con riferimento all'art. 3 Cost. - della legittimità costituzionale dell'art. 56, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non prevede che la compensazione non abbia luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi nell'anno anteriore al fallimento, anche se il credito è scaduto. Secondo il rimettente, la denunciata norma riserva un'ingiustificata disparità di trattamento all'ipotesi di acquisto per atto tra vivi, da parte del debitore del fallito, nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, di un credito scaduto (o che scada prima del fallimento) verso il fallito, rispetto all'ipotesi di acquisto, ferme le altre condizioni, di un credito ancora non scaduto: mentre in quest'ultimo caso la compensazione tra i contrapposti crediti è esclusa dal legislatore, nel primo caso è invece ammessa, nonostante che ricorrano le identiche esigenze di non violare il principio del concorso sostanziale dei creditori e di evitare la creazione di un mercato dei crediti verso l'imprenditore insolvente.

 2.- La questione non è fondata.

 2.1.- L'art. 56 della legge fallimentare è composto da due commi. Nel primo si dispone, in deroga al tendenziale principio della par condicio creditorum, che i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti vantati verso di lui, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Il secondo comma stabilisce - quale eccezione a tale regola - che, «tuttavia», «per i crediti non scaduti la compensazione (...) non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore».

 La ratio differentiae dell'eccezione posta dal censurato secondo comma risiede (come risulta dai lavori preparatori: v. la Relazione del Ministro Guardasigilli, al punto n. 13) nell'esigenza di «evitare possibili abusi». L'artificiosa compensazione, effettuata attraverso l'acquisto per atto tra vivi di un credito verso il fallito nel cosiddetto periodo sospetto, viene impedita dal legislatore attraverso una presunzione assoluta di frode ai danni della massa fallimentare (come evidenziato anche dall'inapplicabilità della disposizione in esame all'ipotesi di acquisto del credito mortis causa, nella quale manca necessariamente ogni intento fraudolento); con conseguente esclusione della vis compensativa dei contrapposti crediti, così da ripristinare la vigenza, nella specie, del principio della par condicio creditorum.

 2.2.- Individuata come sopra la ratio della denunciata norma, può certo apparire discutibile la distinzione fatta dal legislatore, con riguardo ai crediti acquistati per atto tra vivi nel medesimo periodo di tempo, tra quelli non scaduti (i soli espressamente esclusi dalla compensazione) e quelli scaduti. Infatti essa ha sempre formato oggetto di serie critiche in dottrina, una parte minoritaria della quale - seguíta da alcuni giudici di merito - ha anche cercato, basandosi sulla non felice formulazione del testo letterale, di dare alla norma un senso opposto rispetto a quello fatto palese dalla connessione delle parole e accolto dal rimettente. Nella stessa giurisprudenza della Corte di cassazione si ritrova il rilievo che, per risolvere i problemi pratici posti dal secondo comma dell'art. 56 in esame, l'unica alternativa alla repulsa di un'interpretazione che porti appunto ad estendere, analogicamente, la non operatività della compensazione anche ai crediti scaduti sarebbe un intervento legislativo innovatore.

 2.3. - Tanto osservato, ritiene questa Corte che, comunque, neppure se interpretata nel senso restrittivo generalmente accolto, la denunciata norma meriti le censure formulate dal giudice a quo.

 Rientra infatti nella discrezionalità del legislatore - col solo limite della manifesta illogicità o arbitrarietà –

la scelta degli strumenti normativi idonei ad evitare una artificiosa compensazione operata in danno della massa fallimentare attraverso l'acquisto, nel cosiddetto periodo sospetto, di crediti verso il fallito. E tale limite non appare travalicato nella specie, atteso che l'asserita incongruità della disposizione in esame sarebbe comunque da intendersi, non già come incoerenza logico-giuridica, bensì come semplice insufficienza a raggiungere il risultato finale di preservare in modo completo la par condicio creditorum dalle manovre fraudolente che sarebbero possibili in tutti i casi di reciprocità delle posizioni attive e passive, derivata dall'acquisto di crediti verso il fallito. Risultato che, evidentemente, il legislatore non ha inteso perseguire - come invece auspicato da più parti - per rispetto del generale principio sancito nell'art. 1242 cod. civ.

 La differenza di trattamento fra crediti scaduti prima del fallimento e crediti non ancora scaduti trova plausibile spiegazione nel fatto che solo con riguardo ai primi l'effetto estintivo proprio della compensazione (la quale si produce, ai sensi del citato art. 1242, sin dal giorno della coesistenza dei crediti contrapposti) deve intendersi realizzato anteriormente alla dichiarazione del fallimento.

 Né rileva che pure i crediti come sopra esclusi si considerano scaduti in quest'ultima data, ai sensi dell'art. 55, secondo comma, della legge fallimentare. Infatti, poiché la loro scadenza è stabilita dal legislatore solo «agli effetti del concorso», mentre il meccanismo della compensazione vale ad escludere in radice il concorso, anche sotto tale aspetto non è possibile equiparare gli uni agli altri.

 Si deve dunque concludere che le prospettate censure alla normativa dettata dal legislatore si muovono tutte nell'àmbito delle mere valutazioni di opportunità e di efficacia pratica, restando perciò estranee allo scrutinio di legittimità costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - dal Giudice del Tribunale di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 ottobre 2000.