Sentenza n. 426/2000

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 426

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo  VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE  

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 208, comma 2, lettera a), e comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 109 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), promossi con quattro ordinanze emesse il 12 novembre, il 29 gennaio (n. 2 ordd.) e il 12 novembre 1999 dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, rispettivamente iscritte ai nn. 315, 316, 317 e 318 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto in fatto

1. – Con due ordinanze (r.o. nn. 315 e 318 del 1999), di identico contenuto, emesse nel corso di giudizi promossi per l’annullamento dell’atto negativo di controllo su delibere comunali aventi ad oggetto l’individuazione della compagnia assicuratrice con la quale stipulare un contratto assicurativo riguardante la previdenza integrativa per i dipendenti appartenenti al Corpo della polizia municipale, il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dell’art. 208, comma 2, lettera a), e comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 109 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), nella parte in cui consente di destinare a previdenza integrativa del personale di polizia municipale una parte dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal codice della strada.

Il giudice rimettente, nel formulare l’incidente di costituzionalità, interpreta le norme impugnate nel senso che esse consentano tale destinazione, in quanto il comma 2 dell’art. 208 citato prevede che i proventi spettanti allo Stato (in relazione all’ organo accertatore) sono destinati a una serie di esigenze (lettera a)), tra le quali quella attinente alla assistenza e previdenza del personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, e il comma 4 dello stesso articolo dispone che i proventi spettanti agli enti locali al medesimo titolo sono devoluti per le finalità di cui al comma 2 e per altre finalità successivamente indicate; ne deriva la facoltà dei Comuni di destinare parte dei proventi delle sanzioni amministrative per infrazioni al codice della strada, accertate da funzionari, ufficiali e agenti da essi dipendenti, anche alla previdenza integrativa dei medesimi; secondo il giudice a quo, una interpretazione diversa della norma di cui al comma 4, le farebbe assumere un significato contrario al principio di uguaglianza, non sussistendo ragionevoli motivi per escludere il Corpo della polizia municipale da un beneficio previsto per altri corpi di polizia (statali) svolgenti le medesime funzioni di accertamento delle infrazioni al codice della strada.

Ciò premesso, nelle ordinanze si sostiene che la funzione sanzionatoria dovrebbe essere svolta al solo fine di assicurare il rispetto della legge, evitando che dal suo esercizio possano derivare, anche indirettamente, conseguenze nei confronti della categoria alla quale appartiene l’agente accertatore delle infrazioni. La prevista destinazione delle somme all’incremento dei fondi di previdenza per quel personale potrebbe configurare un potenziale incentivo di una funzione che dovrebbe invece essere svolta senza nessun condizionamento; di qui la violazione dei principi desumibili dall’art. 97 della Costituzione.

2. – Con altre due ordinanze (r.o. nn. 316 e 317 del 1999), di identico tenore, lo stesso Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, nel corso di analoghi giudizi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle medesime norme (commi 2, lettera a), e 4 dell’art. 208 citato), in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Partendo sempre dal presupposto interpretativo che le norme abbiano inteso assicurare anche al personale della polizia municipale lo stesso beneficio espressamente indicato per le altre forze di polizia (statali), il giudice rimettente osserva che verrebbe così a determinarsi, rispetto a tutti gli altri dipendenti dell’ente locale, e di quelli di pari qualifica in particolare, una arbitraria disparità di trattamento, diretta a incidere sui fondamenti stessi del rapporto di impiego, in presenza di una mera diversità di mansioni all’interno di un quadro organizzativo-funzionale che è, invece, complessivamente unitario in vista della realizzazione delle finalità dell’ente stesso. Inoltre si darebbe ingresso a una forma sostanziale, e tendenzialmente crescente, di compartecipazione, da parte del personale della polizia municipale, alle utilità derivanti dall’attività repressiva e sanzionatoria cui esso è preposto, mediante un’integrazione di fatto del trattamento economico, così pregiudicandosi il carattere di imparzialità che l’azione amministrativa deve avere non solo nel suo concreto atteggiarsi, ma anche nell’immagine da offrire ai cittadini: creando un interesse diretto di natura retributiva tendenzialmente proporzionale all’incremento dell’ammontare delle sanzioni pecuniarie che il dipendente pubblico abbia concorso ad irrogare, si darebbe origine ad una situazione di conflitto di interessi, che inciderebbe negativamente sul buon andamento della pubblica amministrazione e alimenterebbe la conflittualità sociale.

3. – Nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 317 del 1999 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, osservando che nell’ordinanza di rimessione si parte da un errato presupposto interpretativo, perché non sarebbe consentita la destinazione di quei proventi alla previdenza integrativa della polizia municipale; difatti, la modifica all’art. 208, comma 2, apportata con l’art. 109 del decreto legislativo n. 360 del 1993, non ha prodotto effetti sul preesistente comma 4 dello stesso art. 208 del codice della strada del 1992 e l’estensione del beneficio al personale della polizia municipale avrebbe richiesto analogo intervento di modifica del comma 4 del medesimo art. 208; una siffatta previsione normativa risulta, allo stato, all’esame del Parlamento (Atto Camera n. 1118 - Legge quadro sull’ordinamento della polizia locale).

Nel merito, la difesa dello Stato nega, quanto alla violazione dell’art. 3 della Costituzione, che si sia in presenza di situazioni omologhe, dovendosi considerare a tal fine i complessivi trattamenti riservati ai diversi quadri di dipendenti del medesimo ente; contesta, poi, la violazione del principio di imparzialità, poiché il collegamento tra funzione e beneficio non è in ogni caso di tipo diretto e non è quindi idoneo a travolgere i doveri del pubblico ufficiale.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, con quattro ordinanze di identico contenuto, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 208, comma 2, lettera a), e comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 109 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), nella parte in cui consente di destinare a previdenza integrativa del personale di polizia municipale una parte dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal codice della strada. Ad avviso del giudice rimettente, la norma in questione sarebbe sospetta d’incostituzionalità per violazione degli artt. 97 e 3 della Costituzione: dell’art. 97, perché la destinabilità dei proventi da sanzioni amministrative a un fine previdenziale in favore dei soggetti chiamati ad accertare le violazioni cui tali sanzioni conseguono renderebbe tale accertamento interessato e pregiudicherebbe l’imparzialità dei funzionari a esso preposti (tutte le ordinanze di rimessione); dell’art. 3, perché la norma denunciata creerebbe una disparità di trattamento nei confronti degli altri dipendenti dell’ente pubblico, a favore dei quali una analoga eventualità non è prevista (r.o. nn. 316 e 317 del 1999).

2. – Le quattro ordinanze pongono l’identica questione di costituzionalità; perciò i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con la stessa sentenza.

3. – E’ da respingere l’eccezione di inammissibilità della questione, proposta dalla Avvocatura generale dello Stato per conto del Presidente del Consiglio dei ministri (r.o. n. 317 del 1999), secondo la quale l’art. 208 del nuovo codice della strada, nel prevedere la possibilità di destinare parte dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal codice stesso per l’assistenza e la previdenza dei funzionari addetti al loro accertamento, vale esclusivamente a favore del personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza (art. 208, comma 2). Poiché, nel giudizio in cui la questione è sorta, essa riguarda gli agenti della polizia municipale, l’Avvocatura dello Stato ne ritiene l’irrilevanza.

Il Tribunale rimettente, tuttavia, ha motivato il diverso e più ampio ambito di applicazione della possibilità di destinazione dei proventi in questione col richiamo al comma 4 dello stesso art. 208, il quale prevede che i proventi spettanti agli enti diversi dallo Stato indicati nel comma 1, tra i quali per l’appunto i Comuni, siano «devoluti alle finalità di cui al comma 2», cioè, tra il resto, anche per l’assistenza e la previdenza dei funzionari che – come quelli di polizia, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, rispetto allo Stato – svolgono la funzione di accertamento delle violazioni amministrative per i Comuni.

In presenza di questa motivazione, l’eccezione d’inammissibilità deve essere respinta.

4. – La questione sollevata non è fondata.

5. – L’art. 208, comma 4, del nuovo codice della strada stabilisce che i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal codice medesimo, spettanti ai Comuni (e alle Regioni e alle Province), sono destinati, oltre che al miglioramento della circolazione sulle strade, al potenziamento e al miglioramento della segnaletica stradale e alla redazione dei piani previsti dall’art. 36 (e cioè i piani urbani del traffico e i piani del traffico per la viabilità extraurbana), alla fornitura di mezzi tecnici necessari per i servizi di polizia stradale di competenza, anche alle finalità previste dal comma 2 del medesimo art. 208: studi, ricerche e propaganda ai fini della sicurezza stradale, la redazione dei piani urbani di traffico, l’educazione stradale, studi e ricerche sulla sicurezza del veicolo, nonché l’assistenza e la previdenza del personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza; ciò che ha da intendersi, giusta l’interpretazione del Tribunale rimettente, quando si tratti di proventi spettanti alle amministrazioni comunali, del personale del Corpo di polizia municipale. I Comuni (le Regioni e le Province) determinano annualmente, con delibera di giunta, le quote da destinarsi alle finalità suindicate. I proventi di cui si tratta, infine, sono oggetto di amministrazione separata, a norma dell’art. 393 del d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), che impone agli enti locali di iscrivere nel proprio bilancio annuale un apposito capitolo di entrata e di uscita dei proventi ad essi spettanti a norma dell’art. 208 del codice della strada.

6. – La normativa richiamata mostra che il legislatore ha inteso costituire un fondo speciale, alimentato dai proventi delle sanzioni amministrative derivanti dalle violazioni al codice della strada, a disposizione degli enti locali, per provvedere, secondo la discrezionalità che è loro riconosciuta dal comma 4 della disposizione denunciata, a specifiche finalità di promuovimento del buon funzionamento della circolazione stradale e per tenere conto delle condizioni, che possono essere di particolare disagio sotto il profilo della sicurezza e della salute, dei soggetti preposti al controllo del rispetto delle regole della circolazione stradale medesima. Il legislatore non ha invece affatto costituito un fondo a disposizione del personale del Corpo di polizia municipale, ciò che collocherebbe in una luce diversa i dubbi sollevati dal Tribunale rimettente in riferimento all’art. 97 della Costituzione.

In altri termini, la norma impugnata concerne i poteri degli enti locali e la relativa provvista di risorse. Le determinazioni degli enti locali stessi sono condizionate dall’esistenza di tali risorse, e quindi dall’attività dei funzionari preposti ad accertare la violazione delle norme del codice della strada ma, entro la disponibilità delle risorse medesime, non c’è alcun legame tra queste e la loro destinazione a scopi assistenziali e previdenziali a favore degli agenti della polizia locale o ad altri fini previsti dalla legge. L’esistenza di tale diaframma – le valutazioni dell’ente locale - tra l’accertamento e il beneficio dei soggetti accertatori esclude che possa parlarsi di attività di accertamento nell’interesse personale degli accertatori; l’attività è sempre infatti nell’interesse obbiettivo dell’ente locale, cui spetta il potere di disporre in materia secondo le indicazioni di legge. In ogni caso, poi, i soggetti chiamati a verificare il rispetto delle norme del codice della strada sono essi stessi chiamati al rispetto della legge, sotto il controllo del giudice, e i loro comportamenti sono comportamenti vincolati, o, al più, qualificati da discrezionalità meramente tecnica, ad esempio nella determinazione della misura delle sanzioni, entro i limiti e secondo i criteri stabiliti dalla legge.

7. – La specialità del fondo e della sua possibile destinazione particolare a un tipo di agenti del Comune che, per i compiti loro assegnati, si differenziano dagli altri, rende altresì evidente anche l’infondatezza della questione sollevata sotto il profilo dell’art. 3 della Costituzione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 208, comma 2, lettera a), e comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 109 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 ottobre 2000.