Sentenza n. 417/2000
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ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Toscana, riapprovata il 27 ottobre 1998, contenente “Norme per l’adeguamento dell’ordinamento regionale toscano all’introduzione dell’Euro”, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 17 novembre 1998, depositato in Cancelleria il 24 successivo ed iscritto al n. 43 del registro ricorsi 1998.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

udito l’Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 17 novembre 1998 e depositato il 24 novembre successivo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa della Regione Toscana recante «Norme per l'adeguamento dell'ordinamento regionale toscano all'introduzione dell'Euro», approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 15 settembre 1998 e riapprovata a maggioranza assoluta, a seguito di rinvio governativo, il 27 ottobre 1998, in riferimento all'art. 117 della Costituzione.

1.1. — Premette il ricorrente che l'introduzione della moneta unica europea impone agli Stati interessati l'attuazione delle disposizioni comunitarie volte a risolvere i problemi che tale processo è destinato a far sorgere fin dal 1° gennaio 1999, data d'inizio della fase transitoria, in cui è prevista la coesistenza tra la moneta scritturale "Euro" e quella fisica "Lira", e che le pubbliche amministrazioni devono assumere, in base alle scelte fatte a livello nazionale e tradottesi nella direttiva 3 giugno 1997 del Presidente del Consiglio dei ministri (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 155 del 5 luglio 1997), nella legge 17 dicembre 1997, n. 433 e nel decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, un ruolo propulsivo e di guida.

In tale contesto, la delibera impugnata prescrive la doppia indicazione degli importi monetari in lire ed euro negli atti regionali, a partire dal 1° gennaio 1999, e da una data successiva, da stabilirsi con atto regionale, per gli atti degli enti e delle aziende dipendenti dalla Regione, disponendo inoltre che nello stesso periodo sia assicurato il conteggio in euro di ogni pagamento o versamento che non sia in contanti, ed istituendo un Comitato regionale per l'Euro, incaricato di sovrintendere alla risoluzione delle problematiche in materia.

Secondo il ricorrente, tali disposizioni interferirebbero nella materia della politica monetaria, che è riservata alla competenza dello Stato, e che non è circoscritta alla fissazione dei cambi, all'integrazione dei mercati finanziari, alla liberalizzazione dei movimenti di capitale ed alla creazione di istituti monetari, ma si estende anche alla disciplina del nuovo sistema monetario, ivi compresa la fase transitoria. L'adeguamento delle realtà regionali e locali deve infatti aver luogo, secondo la citata direttiva del Presidente del Consiglio, in base ai criteri indicati nel quadro di riferimento nazionale e mediante programmi operativi approvati dalle regioni e trasmessi al Comitato Euro, istituito a livello nazionale, il quale deve verificarne la coerenza e l'attuazione: proprio in applicazione di tali disposizioni, il ricorrente osserva che la Regione Toscana ha provveduto alla redazione di un piano approvato dalla Giunta regionale con deliberazione del 27 luglio 1998, n. 840, e trasmesso al predetto Comitato con nota del 26 ottobre 1998.

2. — Si è costituita la Regione Toscana, con memoria depositata il 23 dicembre 1998, chiedendo il rigetto del ricorso.

In una successiva memoria depositata il 1° aprile 1999, la Regione Toscana ha insistito nelle proprie conclusioni, sostenendo che la delibera impugnata non riguarda il settore della politica monetaria, ma singole materie, riconducibili all'ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione, e mira a favorire, nel rispetto delle norme comunitarie e statali, la massima tempestività ed il minore impatto negativo sui cittadini nella transizione alla moneta unica europea.

Considerato in diritto

1. ― Il giudizio in via principale promosso, con il ricorso in epigrafe, dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Regione Toscana ha ad oggetto la delibera legislativa recante «Norme per l'adeguamento dell'ordinamento regionale toscano all'introduzione dell'Euro», approvata dal Consiglio regionale il 15 settembre 1998 e riapprovata, a seguito di rinvio governativo, il 27 ottobre 1998. Ad avviso del ricorrente la delibera legislativa impugnata, che impone alla Regione ed agli enti ed alle aziende da essa dipendenti determinati comportamenti per favorire il passaggio alla moneta unica europea, contrasterebbe con l'art. 117 della Costituzione, in quanto le singole disposizioni in essa contenute interferirebbero nella materia della politica monetaria, che è di competenza dello Stato e nella delibera medesima, pertanto, non sarebbe consentito alle regioni neppure di introdurre disposizioni integrative o riproduttive della normativa statale.

2. ― In via preliminare, va rilevato che la Regione Toscana si è costituita in giudizio tardivamente, cioè dopo la scadenza del termine di venti giorni previsto al riguardo dall'art. 23, ultimo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. Il carattere perentorio dei termini relativi alla costituzione in giudizio comporta pertanto, alla stregua della giurisprudenza della Corte (sentenze n. 155 del 1985, n. 71 del 1982), la dichiarazione di inammissibilità della costituzione in giudizio della Regione Toscana.

3. ― Nel merito la questione è infondata.

La delibera legislativa impugnata stabilisce per la Regione e gli enti ed aziende da essa dipendenti particolari comportamenti finalizzati a favorire la massima tempestività ed il minore impatto possibili sui cittadini nel passaggio alla moneta unica europea. A tal fine la delibera in oggetto prevede la doppia indicazione degli importi -in lire ed in euro- in tutti gli strumenti giuridici e documenti posti in essere dalla Regione e dagli altri soggetti indicati, nonché il relativo adeguamento della modulistica (art. 2), attribuendo ai creditori ed ai debitori dei soggetti predetti la facoltà di ottenere il pagamento in euro (art. 3) ed infine istituisce un Comitato regionale per l'Euro, allo scopo di sovrintendere alla risoluzione delle problematiche ed all'impostazione delle azioni correlate alla introduzione della moneta unica (art. 4).

Tali disposizioni regionali si inseriscono nell'ampio processo di transizione dalla moneta nazionale alla moneta unica europea, previsto dagli artt. da 105 a 124 (già art. 109M) del Trattato CE e disciplinato, per quanto attiene alla delineazione del quadro normativo europeo relativo appunto alla fase di introduzione della moneta unica, in particolare dai regolamenti del Consiglio n. 1103/97 del 17 giugno 1997 e n. 974/98 del 3 maggio 1998. Da questi ultimi si ricavano, ai fini dell'eventuale incidenza della normativa comunitaria sulla fattispecie in esame, due principi applicabili nel periodo transitorio: innanzi tutto, il principio di continuità degli "strumenti giuridici" -intesi, secondo gli stessi regolamenti, in senso onnicomprensivo come "disposizioni normative, atti amministrativi, decisioni giudiziarie, contratti, atti giuridici unilaterali, strumenti di pagamento diversi dalle banconote e dalle monete metalliche ed ogni altro atto avente effetti giuridici"- in base al quale il processo di introduzione dell'euro deve essere considerato "neutrale" rispetto agli strumenti giuridici in essere. In secondo luogo, il principio del "nessun obbligo, nessuna proibizione", secondo cui al settore pubblico è lasciata la scelta circa l'opportunità di adottare o meno l'euro nell'ambito dei propri rapporti, senza che ne derivino particolari conseguenze sull'assetto dei rapporti stessi.

La sostanziale "neutralità", desumibile dalla indicata normativa comunitaria, dei criteri di introduzione dell'euro rispetto alla situazione giuridica in atto ha dunque lasciato spazio alla legislazione italiana per "favorire un ordinato e trasparente passaggio dalla lira all'euro" (art. 1 legge 17 dicembre 1997, n. 433), mediante le disposizioni di una serie di atti normativi, che, per il periodo transitorio 1° gennaio 1999-31 dicembre 2001, impongono, tra l'altro, alle amministrazioni ed ai soggetti pubblici una serie di adempimenti, sul piano dell'organizzazione e dell'attività, adeguati all'esigenza di uniformità di atti e di comportamenti in relazione all'adozione della moneta unica. In questo senso va ricordato che il decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213 ha stabilito, oltre ad una serie di regole che incidono su specifici profili di politica monetaria, che nel periodo transitorio le amministrazioni pubbliche, anche non statali, individuino, "nell'ambito delle proprie competenze e nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti", gli atti che possono essere prodotti con gli importi indicati in euro (art. 47), nonché individuino i documenti contabili, i cui importi riassuntivi abbiano l'indicazione in euro (art. 50) ed infine consentano che i creditori ed i debitori nei loro rapporti con le amministrazioni stesse possano, a richiesta, ottenere che i pagamenti abbiano luogo in euro, quando le relative operazioni non avvengono in contanti (art. 48).

4. ― In questo quadro normativo, la delibera legislativa regionale impugnata non può essere configurata, secondo la prospettazione del ricorrente, come atto invasivo della materia "politica monetaria", o comunque riproduttivo di disposizioni legislative statali su materia non di competenza regionale. In effetti, la delibera legislativa in questione non interviene su quegli oggetti disciplinati dal citato decreto legislativo n. 213 del 1998, i quali riguardano specificamente particolari profili della politica monetaria, come, ad esempio, la fissazione dei cambi, l'integrazione dei mercati finanziari, la liberalizzazione dei movimenti di capitale e così via, ma regola invece aspetti diversi, quali, in sostanza, l'indicazione degli importi monetari nella moneta nazionale o nella moneta unica europea, che, pur rientrando nell'ambito disciplinare dello stesso decreto n. 213, non appaiono oggettivamente pertinenti alla politica monetaria, ma sono piuttosto interpretabili, anche alla stregua del citato principio comunitario "nessun obbligo, nessuna proibizione", come canone di buon andamento dell'amministrazione regionale, in quanto finalizzati a predisporre un più ordinato e trasparente passaggio alla moneta unica. Analogamente la previsione che crediti e debiti con l'amministrazione regionale possano essere estinti, a richiesta, mediante versamenti in euro non determina, trattandosi di operazioni non in contanti, effetti diretti sulla massa monetaria circolante, ma è inquadrabile nella stessa ottica di buon andamento, poiché fa riferimento a un valore monetario figurativo, costituendo in sostanza una forma di indicazione dell'importo del pagamento nella moneta unica europea, anziché in quella nazionale.

Si può così dire che i contenuti della delibera impugnata, lungi dall'incidere sulla manovra inerente alla massa monetaria nazionale, attengono invece alla competenza regionale in materia di ordinamento degli uffici e degli enti ed aziende dipendenti, nonché in materia di contabilità. Si tratta invero di una manifestazione del potere di autoorganizzazione della regione nei rapporti con i cittadini, che si esprime anche attraverso la regolazione dei connessi procedimenti amministrativi (sentenza n. 69 del 1995), al fine di adeguare, nell'ambito della propria autonomia costituzionalmente garantita, fatto salvo il principio di unità e indivisibilità della Repubblica, la propria azione al processo di integrazione europea, in particolare per quanto riguarda l'introduzione dell'euro (sentenze n. 20 del 1997, n. 126 del 1996). D'altra parte, anche la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 giugno 1997 hasottolineato in generale la necessità che le pubbliche amministrazioni, tra cui anche quelle regionali, svolgano "un ruolo propulsivo e di guida nel processo di introduzione dell'euro, anche al fine di facilitare, soprattutto nel periodo transitorio, il passaggio dalla moneta nazionale all'euro per i cittadini e le imprese".

In questa ottica, l'art. 1, comma 2, della delibera impugnata, nella parte in cui stabilisce che "resta in ogni caso fermo tutto quanto disposto a livello legislativo nazionale per assicurare la continuità degli strumenti e dei rapporti giuridici e della neutralità del passaggio dalla moneta nazionale all'euro ed in particolare quanto disposto dal titolo II del decreto legislativo 1998 n. 213 a proposito di parametri di indicizzazione, calcoli intermedi e importi in lire contenuti in norme vigenti", non costituisce affatto un'indebita conferma o una surrettizia riproduzione di norme statali operanti in materie precluse alla competenza legislativa regionale. Può invece essere ragionevolmente interpretato come espressione di rigorosa delimitazione dell'ambito applicativo delle disposizioni adottate entro la sfera di competenza regionale in materia di ordinamento degli uffici, così da evitare ogni interferenza con le determinazioni di competenza dello Stato in materia di politica monetaria.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della delibera legislativa approvata il 15 settembre 1998 e riapprovata, a seguito di rinvio governativo, dal Consiglio della Regione Toscana il 27 ottobre 1998, recante "Norme per l'adeguamento dell'ordinamento regionale toscano all'introduzione dell'Euro", promossa, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria l'11 ottobre 2000.