Ordinanza n. 412/2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.412

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI   

- Massimo VARI                     

- Cesare RUPERTO                

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente                  

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 1, lettera i) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del Testo unico delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa il 30 settembre 1996 dalla Commissione tributaria centrale sul ricorso proposto dall'Intendenza di finanza di Roma contro Santini Rinaldo, iscritta al n. 819 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che la Commissione tributaria centrale, con ordinanza del 30 settembre 1996, pervenuta alla Corte costituzionale il 5 novembre 1997 (R.O. n. 819 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, lettera i), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del Testo unico delle imposte sui redditi), in riferimento all’art. 53 della Costituzione;

che il giudizio a quo traeva origine dal ricorso proposto dall’Intendenza di finanza di Roma avverso la decisione della Commissione tributaria di secondo grado, confermativa di quella della Commissione di primo grado, la quale aveva parzialmente accolto il gravame proposto, a seguito della formazione del silenzio qualificato, da soggetto che, avendo ricoperto la carica di consigliere regionale del Lazio nel periodo tra il 1° luglio 1970 e il 30 giugno 1980, ed essendo, in quanto tale, titolare di assegno vitalizio a carico del fondo di previdenza dei consiglieri regionali, costituito presso la Regione Lazio, aveva chiesto alla predetta Intendenza il rimborso delle somme oggetto delle ritenute operate a titolo di IRPEF sui singoli assegni erogati negli anni 1987 e 1988;

che la Commissione tributaria centrale osserva preliminarmente che nella fattispecie non é applicabile la normativa introdotta dalla legge 26 settembre 1985, n. 482, che fissa i limiti dell’imposizione da applicare nel caso di trattamento di fine rapporto, e che, ai sensi dell’art. 2 della stessa legge, é estensibile alle sole indennità equipollenti, tra le quali, ad avviso del giudice a quo, non potrebbe essere annoverato l’assegno vitalizio erogato all’interessato, attesa la periodicità dello stesso; mentre la norma da applicare é quella impugnata, dalla quale non può in alcun modo desumersi la previsione di deduzione dalla base imponibile di quanto corrisponde ai contributi versati dal titolare di un assegno vitalizio per finanziare il fondo al quale sia imputabile l’assegno medesimo;

che il giudice a quo rileva che il fondo di previdenza dei consiglieri della Regione Lazio era alimentato fino al 1990 esclusivamente mediante contributi dei consiglieri iscritti (v. artt. 11 e 12 della legge regionale 16 marzo 1973, n. 7); solo successivamente, con legge regionale 23 marzo 1990, n. 34, é stato disposto un ausilio finanziario della Regione per il ripianamento del fondo di cui si tratta, con contestuale aumento dei contributi a carico dei consiglieri iscritti;

che il giudice a quo si é posto il dubbio di legittimità costituzionale della mancata previsione della deduzione in relazione ai principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 178 del 1986, con la quale fu dichiarata l’illegittimità costituzionale della normativa primaria che disponeva nel senso dell’inclusione nella base imponibile della parte di indennità di buonuscita corrispondente alla proporzione tra i contributi dell’impiegato e l’apporto dell’amministrazione;

che tale declaratoria di illegittimità, ha osservato il giudice a quo, fu dedotta dalla "irriducibilità della parte suindicata a reddito"; i medesimi principi dovrebbero essere richiamati nella fattispecie, posto che la parte di assegno vitalizio corrispondente alla somma dei contributi versati dal singolo consigliere al fondo non costituisce reddito, ma prelievo di quanto a suo tempo corrisposto in percentuale sull’indennità consiliare, costituente a sua volta reddito;

che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità della questione, e, nel merito, per la sua infondatezza;

che sotto il primo profilo, l’Autorità intervenuta eccepisce il difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della questione, non risultando dall’ordinanza di rimessione se la controversia tragga origine da una contribuzione obbligatoria o invece anche solo in parte facoltativa; inoltre la norma impugnata non conterrebbe alcuna indicazione sulla composizione della base imponibile, limitandosi, invece, a disporre che gli assegni periodici alla cui attuale produzione non concorrono nè capitale nè lavoro, sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente, mentre la predetta composizione dell’imponibile per i redditi di lavoro dipendente e per quelli assimilati si trova disciplinata nel successivo art. 48 dello stesso Testo unico n. 917 del 1986;

che nel merito, sempre secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la questione sarebbe infondata per le diversità esistenti tra i due istituti dell’assegno vitalizio e del trattamento di fine rapporto; in questo, infatti, sarebbe in qualche modo quantificabile l’apporto della contribuzione del lavoratore, mentre, nel caso dell’assegno vitalizio, é determinata la contribuzione versata, e non lo é l’ammontare dell’assegno stesso, in quanto legato a fattori variabili, quali la durata della vita del titolare e l’esistenza di superstiti aventi diritto; sicchè, in tale ipotesi, la contribuzione a carico dell’interessato si configurerebbe, piuttosto che come un apporto proporzionato all’ammontare degli assegni, come un contributo di solidarietà per tutti i casi in cui la durata del diritto all’assegno vitalizio diretto ed a quello di reversibilità non sia proporzionata alla durata della contribuzione;

che inoltre, secondo l’Avvocatura, i contributi in discussione, versati durante la permanenza in carica dei consiglieri, non concorrerebbero a formare il reddito assoggettato ad imposta, sicchè, pure ammesso che nell'importo complessivo degli assegni vitalizi sia rintracciata una quota riferibile alla contribuzione effettuata, anche questa costituirebbe reddito e manifestazione di capacità contributiva, provenendo da quella parte della indennità consiliare esclusa da imposizione al momento del pagamento per esserne stata differita la disponibilità;

che con ordinanza istruttoria del 30 settembre 1996 questa Corte ha ritenuto che, allo scopo di apprezzare esaurientemente i profili della censura dedotta dal giudice a quo, fosse necessario acquisire dati relativi al sistema della tassazione IRPEF applicato per le quote di reddito corrispondenti ai contributi versati al Fondo di previdenza dei consiglieri regionali del Lazio nel periodo indicato (1° luglio 1970-30 giugno 1980); dati forniti dal Ministero delle finanze con note in data 14 maggio 1999 e 6 giugno 2000.

Considerato che preliminarmente deve essere esaminata e dichiarata infondata l’eccezione di inammissibilità, sollevata dalla difesa dello Stato, risultando in modo univoco dalla ordinanza di rimessione la rilevanza della questione relativa alla norma impugnata, costituente regola generale su cui si basa l’imposizione, che comprende tra l’altro gli assegni vitalizi percepiti in dipendenza di cariche elettive espressamente indicate, tra cui quelle degli organi regionali;

che la norma di esclusione parziale contenuta nell’art. 48, comma 6, dello stesso d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 é stata abrogata dall’art. 2, comma 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (in vigore dal 1° gennaio 1995), inapplicabile alla fattispecie, in cui si controverte sugli assegni erogati per il periodo 1987-1988;

che dalla acquisizione istruttoria é risultato che a suo tempo (periodo 1970/1980) la quota parte di reddito relativa ai contributi versati dai consiglieri regionali del Lazio é stata esclusa dal computo del reddito imponibile, venendo considerata quale contributo obbligatorio per legge, e quindi non é stata tassata ai fini IRPEF;

che gli assegni vitalizi (la denominazione poco interessa, risolvendosi in indennità-assegni vitalizi corrisposti dopo la cessazione dalla carica, ricollegati a fondo istituito per la carica elettiva, con contribuzione nel periodo della carica stessa, e completamente differenti da indennità di buonuscita o fine rapporto, istituti tipici del lavoro dipendente - cfr. sentenza n. 25 del 2000; ordinanze nn. 400 e 328 del 1994 -, erogati dal Fondo di previdenza dei consiglieri regionali della Regione Lazio) traggono origine - per quanto interessa in questa sede - da contributi versati dai medesimi consiglieri beneficiari,

che tuttavia non erano stati sottoposti, per quella parte, a tassazione IRPEF;

che, di conseguenza, sul piano costituzionale, non vi é alcun vincolo specifico per il legislatore di escludere completamente dalla tassazione IRPEF detti assegni, potendo questi essere considerati reddito, proprio in quanto le somme di origine, corrispondenti ai contributi versati (intesi come obbligatori), non erano state assoggettate ad imposizione;

che il legislatore, nell’esercizio della discrezionalità di fissare la base imponibile per i redditi aventi carattere misto assistenziale e previdenziale, può anche determinare esclusioni o limitazioni in ordine a quanto concorre a formare il reddito (ed in realtà la normativa applicabile ha subito nel tempo una serie di variazioni) - purchè in modo non irragionevole o arbitrario e senza discriminazioni o privilegi non giustificati: cfr. sentenza n. 289 del 1994 -, ma non é tenuto a escludere, in ogni caso, dalla imposizione IRPEF i suddetti assegni, che possono essere considerati come reddito e indice di capacità contributiva;

che il problema della concreta applicabilità delle speciali norme attinenti alla base imponibile e alla percentuale da calcolare, in relazione all’anno di riferimento degli assegni comunque erogati e secondo le norme vigenti nell’anno stesso, rientra nella esclusiva competenza del giudice a quo;

che, pertanto, deve essere dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 53 della Costituzione, anche sotto il profilo della duplicazione di imposizione, proprio in quanto i contributi in origine versati (per il periodo in discussione relativo a carica ricoperta dal 1970 al 1980), non erano stati oggetto di tassazione IRPEF.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 1, lettera i), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del Testo unico delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria centrale con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 luglio 2000.