Sentenza n. 406/2000

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SENTENZA N. 406

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI   

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI         

- Cesare RUPERTO    

- Riccardo CHIEPPA  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 29 aprile 1999 dalla Corte militare di appello di Roma nel procedimento penale a carico di VALDRIGHI Alessandro ed altro, iscritta al n. 428 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 maggio 2000 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza emessa il 29 aprile 1999 la Corte militare di appello ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non preclude la proposizione della richiesta di procedimento, da parte del comandante di corpo, quando per lo stesso fatto sia già stata inflitta la sanzione disciplinare della consegna di rigore.

  Il rimettente premette, in punto di fatto, di essere investito, come giudice del rinvio, del procedimento promosso nei confronti di due soldati per i reati di concorso in percosse continuate e concorso in ingiuria continuata (artt. 110 e 81 cod. pen., 222 e 226 del codice penale militare di pace), reati entrambi perseguibili a richiesta del comandante di corpo ai sensi dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace; nonchè per il reato di concorso in minaccia aggravata (artt. 110 cod. pen. e 229, primo e terzo comma, del codice penale militare di pace), reato perseguibile bensì d’ufficio a fronte della contestazione dell’aggravante del "modo simbolico" della minaccia, di cui all’art. 339 cod. pen., ma in rapporto al quale la sussistenza di tale aggravante é stata contestata dal difensore nei motivi di appello sulla base di argomenti prima facie non infondati.

  Gli imputati erano stati prosciolti in primo grado dal Tribunale militare di Padova — con sentenza successivamente confermata dalla Corte militare di appello, sezione distaccata in Verona — in ragione della ritenuta illegittimità della richiesta di procedimento sulla base della quale era stata esercitata l’azione penale, in quanto proposta dal comandante di corpo dopo che lo stesso aveva inflitto agli imputati, per i medesimi fatti, la sanzione disciplinare della consegna di rigore (rispettivamente, per dieci e sette giorni). A tale conclusione il Giudice di prime cure era approdato facendo leva sull’art. 65, comma 7, lettera a), del regolamento di disciplina militare, approvato con d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, a mente del quale la sanzione disciplinare della consegna di rigore non é più irrogabile quando per lo stesso fatto sia stato chiesto il procedimento penale: regola, questa, che non avrebbe avuto senso se non ammettendo la reciproca, e cioé che non possa più essere chiesto il procedimento penale quando sia stata inflitta la sanzione disciplinare.

  La tesi non era stata peraltro condivisa dalla Corte di cassazione, la quale — ritenendo che la preclusione all’esercizio dell’azione penale sia istituto di carattere eccezionale, che deve costituire oggetto di espressa previsione legislativa, nella specie mancante — aveva annullato con rinvio la sentenza di secondo grado impugnata, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte militare di appello di Roma.

  Posto, dunque, che nel giudizio di rinvio la questione interpretativa concernente la validità della richiesta di procedimento non può più essere posta in discussione a fronte del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, il giudice a quo rileva come il citato art. 65, comma 7, lettera a) del regolamento di disciplina (pedissequamente riprodotto nella nota introduttiva all’elenco dei "Comportamenti che possono essere puniti con la consegna di rigore", di cui all’allegato C del regolamento stesso) — nel prevedere che la consegna di rigore possa essere inflitta anche per fatti costituenti reato, ma solo nei casi nei quali "il comandante di corpo non ritenga di richiedere il procedimento" — venga a sancire, in deroga alla normale cumulabilità tra sanzione penale e sanzione disciplinare, l’alternatività tra la prima e la consegna di rigore. Siffatta deroga sarebbe invero giustificata dal peculiare carattere della sanzione disciplinare avuta di mira, la quale (comportando, ai sensi dell’art. 14, comma 5, della legge 11 luglio 1978, n. 382, "il vincolo di rimanere, fino al massimo di quindici giorni, in apposito spazio dell’ambiente militare — in caserma o a bordo di navi — o nel proprio alloggio, secondo le modalità stabilite nel regolamento di disciplina") inciderebbe, al pari della sanzione penale, su aspetti essenziali della libertà individuale, presentando quindi, in sostanza, il medesimo contenuto afflittivo.

  In quest’ottica, la possibilità di un’applicazione congiunta delle due sanzioni si tradurrebbe in un’inammissibile compressione della libertà individuale dell’autore dell’illecito, il quale, per lo stesso fatto, verrebbe ad essere punito due volte con misure di analogo contenuto, ponendo così la norma denunciata in contrasto con l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.

  L’aver stabilito l’inammissibilità del cumulo delle due sanzioni solo quando sia prima formulata la richiesta di procedimento ex art. 260 del codice penale militare di pace, e non anche nel caso inverso, implicherebbe — a parere del rimettente — una concorrente violazione del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost. In tal modo, difatti, il cumulo fra consegna di rigore e sanzione penale verrebbe a dipendere da una circostanza puramente accidentale, correlata ai tempi di definizione del procedimento disciplinare: il comandante potrebbe cioé irrogare — purchè lo faccia nel termine massimo di trenta giorni (rectius, un mese), previsto ai fini della proposizione della richiesta di procedimento dal citato art. 260 — quella sanzione disciplinare che dopo la formulazione della richiesta resterebbe viceversa preclusa.

  La razionalità del sistema — soggiunge il giudice a quo — non verrebbe d’altro canto assicurata dalla previsione della lettera b) dell’art. 65, comma 7, del regolamento di disciplina, in virtù della quale possono essere puniti con la consegna di rigore anche i fatti che abbiano determinato un "giudizio penale" ("giudicato", nella nota introduttiva all’allegato C) a seguito del quale sia stato instaurato un procedimento disciplinare. Da tale norma si desumerebbe, infatti, che in deroga al principio di cui all’art. 58, ultimo comma, del regolamento di disciplina, l’azione disciplinare non é obbligatoria, ma facoltativa; inoltre, ove si condivida l’assunto secondo cui é inammissibile punire uno stesso fatto con due sanzioni aventi analogo contenuto limitativo della libertà individuale, l’intera previsione normativa da ultimo ricordata dovrebbe ritenersi contraria a Costituzione.

  Quanto, infine, alla rilevanza della questione, il rimettente osserva come essa si connetta alla circostanza che, in caso di suo accoglimento, la richiesta di procedimento formulata dal comandante di corpo nel giudizio a quo dovrebbe essere dichiarata illegittima, con conseguente proscioglimento degli imputati dai reati di concorso in percosse e concorso in ingiuria continuata e, ove l’appello del difensore relativo all’aggravante fosse ritenuto fondato, anche dal reato di concorso in minaccia aggravata.

  2. — Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di non fondatezza della questione.

Considerato in diritto

  1. — La Corte militare di appello dubita della legittimità costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui non prevede che la richiesta di procedimento del comandante di corpo — alla quale é subordinata la perseguibilità dei reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione militare non superiore a sei mesi — non possa più essere proposta quando per lo stesso fatto sia stata irrogata la sanzione disciplinare della consegna di rigore.

  Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata si porrebbe in frizione, per un verso, con l’art. 2 Cost., in quanto l’applicazione congiunta della sanzione penale e della consegna di rigore comporterebbe una inammissibile compressione della libertà individuale dell’autore dell’illecito, il quale, per lo stesso fatto, sarebbe punito due volte con misure di analogo contenuto afflittivo; per un altro verso, con l’art. 3 Cost., in quanto il cumulo tra dette sanzioni verrebbe a dipendere da una circostanza puramente accidentale, legata alla maggiore o minore rapidità del procedimento disciplinare: più in particolare, tale cumulo discenderebbe dal fatto che il comandante del corpo riesca ad irrogare entro il termine di un mese — costituente lo spatium temporis entro il quale la richiesta di procedimento può essere proposta — quella sanzione disciplinare che, una volta formulata detta richiesta, non potrebbe più infliggere a fronte della preclusione stabilita dall’art. 65, comma 7, lettera a), del regolamento di disciplina militare, approvato con d.P.R. n. 545 del 1986.

  2. — La questione non é fondata.

  2.1. — Sotto entrambi i dedotti profili, il percorso argomentativo posto a base della denuncia di incostituzionalità appare per vero inficiato da un evidente vizio di prospettiva. Il rimettente riverbera, infatti, sulla norma di rango primario regolativa dell’istituto della richiesta di procedimento del comandante di corpo (art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace) una situazione di asserita compromissione dei valori costituzionali semmai addebitabile — al lume della sua stessa prospettazione — esclusivamente alla norma di rango secondario regolativa dei rapporti tra la sanzione disciplinare della consegna di rigore ed il procedimento penale (art. 65, comma 7, lettera a, del regolamento di disciplina).

  È a quest’ultima norma, in effetti — e non già a quella primaria aggredita — che si deve, ad un tempo, la previsione dell’applicabilità della consegna di rigore in rapporto a fatti integrativi di reato e quel divieto di cumulo, in ipotesi "a senso unico", fra sanzione penale e sanzione disciplinare da cui trae alimento il duplice dubbio di costituzionalità sottoposto al vaglio della Corte.

  2.2. — A tale considerazione di ordine generale — già di per sè dirimente — possono d’altro canto coniugarsi rilievi specifici attinenti alle singole doglianze.

  Può osservarsi, così, in particolare, come il fulcro della prima delle due censure sia rappresentato dall’assunto per cui la consegna di rigore avrebbe un contenuto afflittivo omologo alla sanzione penale (nella specie, la reclusione militare), incidendo, al pari di essa, su aspetti essenziali della libertà individuale: particolare, questo, che varrebbe a rendere operante, nei relativi rapporti, un principio di ne bis in idem, in tesi presidiato dall’art. 2 Cost.

  Verificare la correttezza della premessa maggiore del sillogismo — che non corrisponde, in effetti, ad una lettura pacifica, sostenendosi da una parte della dottrina che la consegna di rigore, lungi dal concretare una misura restrittiva della libertà personale, si tradurrebbe, alla luce dell’odierna configurazione normativa (art. 14, comma 5, della legge 11 luglio 1978, n. 382), in un mero obbligo giuridico — sarebbe peraltro in questa sede un fuor d’opera. È sufficiente difatti rimarcare come il parametro costituzionale invocato dal rimettente si presenti eccentrico rispetto al tenore della doglianza, la quale evoca non già un vulnus del generalissimo impegno della Repubblica al riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo; ma, semmai, una eventuale compromissione degli specifici precetti costituzionali posti a presidio della libertà personale (art. 13 Cost.) o concernenti la funzione della pena (art. 27, terzo comma, Cost.).

  2.3. — Per quanto attiene, poi, all’asserita violazione dell’art. 3 Cost., é lo stesso profilo di irragionevolezza che il giudice a quo censura — la circostanza, cioé, che il cumulo tra sanzione penale e consegna di rigore sia in funzione della mera consecutio cronologica tra applicazione della sanzione disciplinare e proposizione della richiesta di procedimento — a palesarsi in realtà insussistente, una volta che la lettera b) del citato art. 65, comma 7, del regolamento espressamente contempla la possibilità di infliggere la consegna di rigore anche dopo la formazione del giudicato penale. Dalla lettura combinata delle lettere a) e b) dell’articolo in parola emerge, in effetti, come la preoccupazione dei compilatori del regolamento sia stata non tanto quella di evitare il cumulo delle sanzioni; quanto piuttosto l’altra di impedire la celebrazione contemporanea dei due procedimenti (penale e disciplinare): e ciò tenuto conto anche del regime di sospensione obbligatoria del secondo in presenza del primo, stabilito dall’art. 3 cod. proc. pen. del 1930, vigente all’epoca del varo della norma regolamentare.

  Nè appare convincente, sul punto, il rilievo del rimettente, secondo cui la lettera b) dell’art. 65, comma 7, del regolamento non varrebbe ad elidere la lamentata disparità di trattamento, in quanto l’instaurazione del procedimento disciplinare dopo la condanna penale sarebbe da tale norma configurata come meramente facoltativa, in deroga al principio di obbligatorietà sancito dall’art. 58, comma 7, del regolamento stesso, con riguardo alle infrazioni punibili con la consegna di rigore. A prescindere, infatti, dal rilievo che quest’ultima disposizione (la quale reca un riferimento limitativo allo speciale "rapporto" previsto dal comma 6 dello stesso articolo) appare di non univoca interpretazione, va osservato, in senso contrario, come la voce verbale "possono" — che figura nell’alinea dell’art. 65, comma 7, ed alla quale si connette l’argomentazione del giudice a quo — regga entrambe le disposizioni di cui alle lettere a) e b): sicchè, nell’ottica del rimettente, il carattere della facoltatività risulterebbe riferibile, allo stesso modo, tanto alla consegna di rigore inflitta prima (lettera a) che a quella inflitta dopo il procedimento penale (lettera b), con conseguente caduta di ogni divergenza di trattamento fra le due ipotesi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dalla Corte militare di appello con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 luglio 2000.