Ordinanza n. 401/2000

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ORDINANZA N. 401

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 184 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 13 settembre 1999 dal Tribunale di Cagliari, sezione distaccata di Carbonia, nel procedimento civile vertente tra Melis Bruno ed altra e Melis Luigino, iscritta al n. 651 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2000 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Giudice onorario della sezione distaccata di Carbonia del Tribunale di Cagliari, nel corso di un giudizio di merito possessorio instaurato da Bruno Melis e Luisella Falchi contro Luigino Melis, ha sollevato questione di costituzionalità dell’articolo 184 del codice di procedura civile, nella parte in cui considera inammissibili produzioni documentali successive all’inutile scadenza del termine assegnato dal giudice, salva l’ipotesi in cui la parte che vi sia incorsa possa invocare la rimessione in termini ex art. 184-bis del codice di procedura civile;

che il rimettente riferisce che, decorsi i termini assegnati per le deduzioni istruttorie e le relative repliche, il convenuto aveva chiesto di essere autorizzato a produrre ulteriore documentazione, <<ex art. 184-bis c.p.c., senza peraltro allegare i motivi che ne avevano impedito la produzione nei termini prefissati>>, e gli attori si erano opposti, assumendo l’inammissibilità delle produzioni per il decorso del termine perentorio concesso ai sensi dell’art. 184 del codice di procedura civile;

che il rimettente - premesso che nel rito processuale ordinario, alla fase delle allegazioni segue quella dell’acquisizione del materiale probatorio in termini perentori, sia per le prove precostituite che per le costituende - ritiene che tale disciplina costituirebbe un <<marcato scostamento>> rispetto al processo del lavoro, nel quale, secondo la Corte di cassazione, le prove documentali possono essere prodotte in qualsiasi momento del giudizio di primo grado, fino a quando non si sia aperta la discussione orale, ed anche in appello;

che, ponendo a confronto tale prassi applicativa delle preclusioni delle produzioni documentali nel rito del lavoro con la diversa disciplina desumibile dall’art. 184 cod. proc. civ. per il rito ordinario, il rimettente ravvisa una lesione dell’articolo 3 della Costituzione, sotto il profilo <<dell’irrazionalità e dell’ingiustificata disparità di trattamento del regime delle prove>> documentali, nonché una lesione dell’articolo 24 della Costituzione, sotto il profilo della violazione del diritto di difesa;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, il quale in primo luogo ha rilevato che, non avendo il rimettente offerto alcuna motivazione sull’idoneità a risolvere il problema sollevato della norma sulla rimessione in termini, di cui all’art. 184-bis, la questione - sia pure con riguardo alle prove documentali - sarebbe inammissibile;

che nel merito la difesa erariale ha sostenuto l’infondatezza della questione, assumendo in particolare che la Costituzione non vincolerebbe il legislatore <<all’attuazione di uno specifico modello processuale>>, e che l’ordinario processo di cognizione risponde alle esigenze di un’estrema ed indefinita varietà di controversie e non di conflitti tipizzati come invece il processo del lavoro, onde la scelta del legislatore di differenziare i due tipi di processo non sarebbe arbitraria.

Considerato che il rilievo della difesa erariale sull’inammissibilità della questione - inteso nel senso che il rimettente non avrebbe motivato in ordine all’inapplicabilità nel giudizio a quo dell’art. 184-bis cod. proc. civ., per ammettere la produzione documentale tardiva - non è fondato, perché l’ordinanza, sottolineando che la richiesta di effettuare la produzione ex art. 184-bis era stata formulata senza indicazione dei motivi che avevano impedito di effettuarla tempestivamente, implicitamente enuncia che della rimessione in termini non ricorrevano i presupposti, e contiene una reiezione della stessa istanza;

che nel merito la questione, proposta sotto il profilo che la diversità di disciplina delle produzioni documentali nel rito ordinario ed in quello del lavoro integrerebbe una lesione dell’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento, si impernia sull’assunzione della disciplina del processo del lavoro come tertium comparationis;

che la censura è manifestamente infondata in quanto - secondo la giurisprudenza di questa Corte - non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità di regolamentazione tra diversi tipi di processo, ferma l’intrinseca ragionevolezza della disciplina di ognuno (cfr. da ultimo le sentenze n. 165 e n. 18 del 2000 e l’ordinanza n. 217 del 2000; adde la sentenza n. 82 del 1996), per cui non è possibile assumere l’uno dei due riti processuali a modello, cui l’altro debba adeguarsi a pena di incostituzionalità, per la diversità di caratteristiche strutturali e procedimentali (cfr. da ultimo l’ordinanza n. 191 del 1999, ed in precedenza l’ordinanza n. 104 del 1988 e la sentenza n. 65 del 1980), che perdura anche dopo le recenti riforme, introduttive del principio di preclusione nel rito ordinario (imperniato, a differenza di quello del lavoro, su una netta distinzione fra la fase di fissazione del thema decidendum e quella di fissazione del thema probandum);

che è manifestamente infondata la censura di violazione dell’art. 3 della Costituzione per l’asserita intrinseca irragionevolezza della disciplina, per cui, nel rito ordinario, scaduti i termini concessi ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ., nuove produzioni documentali non sono più possibili in primo grado - se non ove ricorrano gli estremi della rimessione in termini ex art. 184-bis cod. proc. civ. - mentre sarebbero ammissibili in appello;

che infatti - indipendentemente dalla plausibilità dell’interpre-tazione data dal rimettente al nuovo art. 345 cod. proc. civ. - la possibilità che un’attività probatoria rimasta preclusa nel giudizio di primo grado sia esperita in appello, per cui l’instaurazione del secondo grado di giudizio sia l’unico mezzo attraverso il quale quell’attività possa essere svolta, non è di per sé irragionevole;

che in questa prospettiva assume rilievo l’esigenza di assicurare priorità al giudizio di primo grado (che ha ispirato le ricordate riforme, e si è manifestata anche nell'introduzione dell'immediata esecutività della sentenza), nel senso che il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria (come la produzione di un documento) mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile;

che, infine, la pretesa violazione dell’art. 24 della Costituzione, sotto il profilo della costrizione all'instaurazione del giudizio di secondo grado per produrre il documento non prodotto tempestivamente, è manifestamente infondata, non potendosi ipotizzare lesione del diritto di difesa - che secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte ben può essere assoggettato a limitazioni e condizioni d'esercizio, salvo il limite della ragionevolezza - laddove il condizionamento al suo esercizio dipenda da una libera scelta della parte, che, pur potendo produrre il documento entro il termine ex art. 184 cod. proc. civ., non lo ha fatto.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 184 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice onorario della sezione distaccata di Carbonia del Tribunale di Cagliari, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 2000.