Sentenza n. 392/2000

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SENTENZA N. 392

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Cesare MIRABELLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv. Massimo VARI  

- Dott. Cesare RUPERTO 

- Dott. Riccardo CHIEPPA 

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY 

- Prof. Valerio ONIDA 

- Prof. Carlo MEZZANOTTE 

- Avv. Fernanda CONTRI 

- Prof. Guido NEPPI MODONA 

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI 

- Dott. Franco BILE 

- Prof. Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale, in relazione all’art. 1, secondo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace), agli artt. 7-bis e 97 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) ed al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022 (Ordinamento giudiziario militare), promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1999 dal Tribunale militare di Torino nel procedimento penale a carico di Antonino Cammarata, iscritta al n. 587 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Con ordinanza emessa il 5 giugno 1999 nel corso di un processo penale nel quale la difesa dell’imputato aveva formulato eccezioni sulla composizione del collegio giudicante, il Tribunale militare di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale (concernente la capacità del giudice) in relazione: all’art. 1, secondo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace), che per regolare le garanzie di indipendenza dei magistrati militari rinvia alle disposizioni in vigore per i magistrati ordinari; agli artt. 7-bis (relativo alle tabelle degli uffici giudiziari per la destinazione dei singoli magistrati) e 97 (concernente le supplenze di magistrati negli organi giudiziari collegiali) del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) ¾ quali risultano dalle modifiche apportate dalla legge 4 maggio 1998, n. 133 ¾; al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022 (Ordinamento giudiziario militare).

Il Tribunale rimettente ricorda che nel corso degli atti preliminari al dibattimento la difesa dell’imputato aveva sostenuto la nullità della costituzione del collegio giudicante, formato a seguito di un provvedimento di supplenza per uno dei giudici del collegio, adottato dal presidente della corte militare d’appello senza seguire criteri obiettivi e predeterminati e senza motivazione, chiedendo in via subordinata che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale, là dove non considera attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e sulla formazione dei collegi, per violazione delle garanzie del giudice naturale precostituito per legge e del principio di eguaglianza, non essendo giustificata la diversità dei criteri di composizione dei collegi giudicanti negli uffici giudiziari ordinari ed in quelli militari.

Il Tribunale militare di Torino, dichiarata non fondata l’eccezione di nullità, in quanto le condizioni di capacità del giudice non comprendono la destinazione del giudice agli uffici giudiziari e la formazione dei collegi (art. 33, comma 2, cod. proc. pen.), ha ritenuto invece rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, precisandola con riferimento al complesso delle disposizioni che consentirebbero di disporre l’assegnazione di giudici per comporre i collegi giudicanti, in caso di incompatibilità o di impedimento dei magistrati originariamente preposti, mediante provvedimenti di applicazione e supplenza discrezionali e non motivati, senza che operi la nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, prevista per l’inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice ed il numero dei giudici necessari per costituire i collegi (artt. 178, comma 1, lettera a, e 179 cod. proc. pen.).

Il giudice rimettente ricorda che lo stato giuridico e le garanzie di indipendenza dei magistrati militari sono regolati dalle stesse disposizioni in vigore per i magistrati ordinari (art. 1, secondo comma, della legge n. 180 del 1981); ma ritiene che per gli uffici giudiziari militari non opererebbero, a differenza di quanto è stabilito per gli uffici giudiziari ordinari, il sistema tabellare e le regole prefissate per l’adozione dei provvedimenti di applicazione o supplenza dei giudici, che il presidente della corte militare d’appello potrebbe dunque disporre in modo del tutto discrezionale e senza motivazione.

Risulterebbe così violato l’art. 3 della Costituzione, essendo ingiustificata la disparità di trattamento della magistratura militare rispetto a quella ordinaria, mentre sono identici lo stato giuridico e le garanzie di indipendenza delle due magistrature ed è comune la disciplina del processo.

Ad avviso del giudice rimettente sarebbe anche violato il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, della Costituzione), diretto a garantire che anche la composizione degli organi giudiziari sia sottratta ad ogni possibilità di arbitrio.

2. ¾ Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

In una successiva memoria l’Avvocatura, richiamando la giurisprudenza costituzionale, ricorda che il principio di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell’ambito dell’ufficio giudiziario competente siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della capacità generale del giudice, pur dovendo essere tali criteri obiettivi, predeterminati e comunque verificabili (sentenza n. 419 del 1998).

L’Avvocatura ritiene, inoltre, che il problema della disciplina delle supplenze di magistrati nell’ordinamento militare si risolva in via interpretativa; troverebbero applicazione anche all’ordinamento militare le disposizioni contenute nella legge 4 maggio 1998, n. 133, giacché l’art. 1, secondo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180 rinvia alle norme che disciplinano stato giuridico e indipendenza dei magistrati ordinari, estendendole ai magistrati militari.

Considerato in diritto

1. ¾ La questione di legittimità costituzionale investe la disciplina delle supplenze di magistrati nei tribunali militari, giacché l’ordinamento per essi previsto consentirebbe, ad avviso del Tribunale militare di Torino, al presidente della corte militare d’appello di adottare provvedimenti di sostituzione di magistrati, in caso di loro mancanza o impedimento, per la composizione di collegi giudicanti con magistrati di altri uffici giudiziari, senza seguire criteri precostituiti con le tabelle degli uffici giudicanti e senza una motivazione dei provvedimenti che permetta di verificare i criteri seguiti per la sostituzione.

Il giudice rimettente denuncia l’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale ¾ il quale prevede che non si considerano attinenti alle condizioni di capacità del giudice, stabilite dalle leggi di ordinamento giudiziario, le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi ¾ in relazione all’art. 1, secondo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180, che attribuisce ai magistrati militari le stesse garanzie in vigore per i magistrati ordinari, agli artt. 7-bis e 97 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (quali risultano a seguito delle aggiunte introdotte per la magistratura ordinaria dall’art. 6 della legge 4 maggio 1998, n. 133), che regolano le tabelle degli uffici giudicanti e le supplenze di magistrati, ed inoltre all’ordinamento giudiziario militare (regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022).

Queste disposizioni, consentendo ad avviso del giudice rimettente provvedimenti del tutto discrezionali ed immotivati di applicazione e supplenza senza che ne derivi un vizio della capacità del giudice, sarebbero in contrasto con la garanzia costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, Cost.) e con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), essendo ingiustificata la disparità di trattamento, nella disciplina delle supplenze e delle applicazioni, per la magistratura militare rispetto alla disciplina prevista per la magistratura ordinaria.

2. ¾ La questione non è fondata, giacché la premessa interpretativa dalla quale muove il giudice rimettente non può essere condivisa.

L’ordinamento giudiziario militare di pace è improntato, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 7 maggio 1981, n. 180, al principio di assimilazione delle garanzie di indipendenza dei magistrati militari a quelle previste per i magistrati ordinari (sentenze n. 71 del 1995 e n. 52 del 1998). Tale parificazione è stabilita mediante il rinvio alle disposizioni in vigore per questi ultimi (art. 1, secondo comma, legge n. 180 del 1981), e non si può ritenere che sia esclusa da questo generale rinvio la disciplina della predeterminazione dei criteri per la composizione dei collegi giudicanti e per le applicazioni e supplenze dettata per i magistrati ordinari dalle norme che il giudice rimettente, sul presupposto della loro inapplicabilità alla magistratura militare, vorrebbe invece assumere quale elemento di comparazione per denunciare la violazione del principio di eguaglianza.

Si deve invece ritenere ¾ come del resto ha già affermato il Consiglio della magistratura militare fondandosi proprio sulla ricordata equiparazione dello stato giuridico dei magistrati militari a quelli ordinari, stabilita dall’art. 1 della legge n. 180 del 1981 ¾ che nell’ambito dell’ordinamento giudiziario militare operino tutte le norme dell’ordinamento giudiziario comune, comprese quelle che disciplinano le applicazioni e le supplenze dei magistrati mancanti o impediti. Anche nell’ordinamento militare applicazioni e supplenze possono, quindi, essere disposte solo seguendo criteri prefissati e con provvedimenti motivati, che consentano di verificare la rispondenza di ogni singolo provvedimento adottato ai presupposti ed ai criteri obiettivi indicati dal Consiglio della magistratura militare.

Questa interpretazione delle disposizioni denunciate, diversa da quella proposta dal giudice rimettente, è confermata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha ritenuto che debbano trovare applicazione, per sostituire il giudice astenuto, ricusato o impedito, i criteri obiettivi e predeterminati stabiliti a tal fine dal Consiglio della magistratura militare; mentre il presidente della corte militare d’appello, cui spetta valutare l’opportunità di provvedere mediante decreto motivato di supplenza o di applicazione quando ciò sia necessario per l’impossibilità di funzionamento dell’organo giudicante, vede il proprio provvedimento di sostituzione del giudice mancante con altro magistrato soggetto al controllo del Consiglio della magistratura militare.

3. ¾ L’estensione alla magistratura militare delle stesse regole previste per l’applicazione e la supplenza dei giudici della magistratura ordinaria esclude ogni ipotesi di disparità di trattamento.

Inoltre la disciplina della sostituzione dei giudici nei collegi giudicanti, da applicare anche nell’ordinamento giudiziario militare, prevede garanzie che escludono la denunciata lesione del principio di precostituzione del giudice; mentre eventuali prassi interpretative che si discostino dal disegno normativo non possono essere considerate perché si possa affermare la illegittimità costituzionale delle norme (cfr. sentenze n. 468 del 1992 e n. 276 del 2000).

Ogni altro profilo dedotto con riguardo all’art. 33, comma 2, cod. proc. pen. rimane così superato.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2, del codice di procedura penale, in relazione all’art. 1, secondo comma, della legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace), agli artt. 7-bis e 97 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), modificati dalla legge 4 maggio 1998, n. 133, e al regio decreto 9 settembre 1941, n. 1022 (Ordinamento giudiziario militare), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 25, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente e Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 2000.