Sentenza n. 390/2000

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SENTENZA N. 390

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898 (Nuova regolamentazione delle servitù militari), come modificato dall'art. 3 della legge 2 maggio 1990, n. 104 (Modifiche ed integrazioni alla legge 24 dicembre 1976, n. 898, concernente nuova regolamentazione delle servitù militari), promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1998 dal Tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Adragna Rosario ed altri contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 110 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto di costituzione di Adragna Rosario ed altri;

udito nell'udienza pubblica del 23 maggio 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto in fatto

1.- Con atto di citazione del 12 febbraio 1998, i proprietari di un'area avente natura edificatoria, sulla quale era stata imposta una servitù militare a protezione di un deposito dell’Aeronautica militare, convennero in giudizio innanzi al Giudice unico del Tribunale di Palermo il Ministero della difesa. La servitù consisteva nei divieti di: a) fare piantagioni di essenza tale (ad es., alberi di alto fusto, canapa, granturco, ecc.) che potessero intercettare la possibilità di vista e di tiro; fare determinate operazioni campestri (quali scassare il terreno con mine, bruciare i residui delle piantagioni ecc.); b) lasciare seccare sul posto i prodotti delle coltivazioni; nel caso di vegetazione spontanea, se i proprietari non avessero provveduto direttamente al tempestivo taglio ed alla conseguente pulizia del terreno, era stabilito che vi provvedesse l’Amministrazione militare; c) fabbricare muri, edifici o altre strutture in elevazione; d) fare elevazioni di terra o di altro materiale; e) scavare fossi o altri vani, ad eccezione di cunette per lo scolo delle acque, della profondità massima di cm. 50; f) impiantare condotte elettriche sopraelevate di gas o di liquidi infiammabili. Gli attori ritenevano che tali limitazioni finissero di fatto per svuotare di contenuto il diritto di proprietà, e, pertanto, trattandosi di terreno di natura edificatoria, chiedevano la condanna dell’Amministrazione convenuta al pagamento di una congrua indennità ai sensi della legge 25 giugno 1865, n. 2359, o, in subordine, della legge 8 agosto 1992, n. 359, anziché secondo il criterio automatico di cui all’art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, adottato dal Comando interessato, ed applicabile, invece, secondo gli attori, solo ai terreni agricoli, in quanto commisurato al reddito dominicale ed agrario. Per l’ipotesi in cui il Giudice unico del Tribunale di Palermo ritenesse, invece, che il criterio di cui si tratta fosse stato dettato dalla legge anche per i suoli edificabili e per le servitù aventi natura espropriativa, gli attori chiedevano che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale del citato art. 7, come modificato dall’art. 3 della legge 2 maggio 1990, n. 104, per contrasto con l’art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Il giudice adìto, con ordinanza emessa in data 10 novembre 1998, ha ritenuto non manifestamente infondata, e rilevante nel giudizio in corso, la questione.

Al riguardo, nella ordinanza si osserva che la norma impugnata non può essere interpretata nel senso che il criterio, ivi previsto, di indennizzo - rapportato al doppio del reddito dominicale ed agrario dei terreni e del reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell’imposizione sul reddito, e stabilito nella metà dei predetti redditi per le limitazioni di cui a ciascuna delle lettere a) e b) dell’art. 2 della stessa legge, e nell’intero reddito in caso di concorso di dette limitazioni - , sia applicabile solo per i fondi agricoli e non anche per le aree edificabili.

Infatti, la norma contiene un esclusivo ed indistinto riferimento al reddito dominicale ed agrario dei terreni, senza distinguere tra terreni agricoli ed edificabili.

Inoltre, il reddito agrario e quello dominicale di tutti i terreni non edificati prescindono, ai fini dell’imposta sul reddito, dalla natura edificatoria o agricola del terreno.

Infine, ulteriore argomentazione potrebbe trarsi, sempre ad avviso del giudice a quo, dal fatto che proprio l’art. 2, lettera b), della legge n. 898 del 1976 dispone che la servitù militare può consistere nel divieto di fabbricare muri o edifici, ciò che comporterebbe che il legislatore ha tenuto ben presente che l’imposizione della servitù possa aver riguardo anche a terreni di natura edificatoria. Ma nella accezione più ampia, la norma impugnata, nella parte in cui prevede un criterio automatico di determinazione dell’indennizzo basato sul valore della rendita catastale che prescinde del tutto dal riferimento al parametro rappresentato dal valore venale del bene, determinerebbe, nel caso di imposizione di vincoli di inedificabilità su aree edificabili, una commisurazione dell’indennizzo del tutto inadeguata, irrisoria o addirittura inesistente, comprimendo il diritto di proprietà, mediante una limitazione di natura espropriativa senza un effettivo indennizzo, ponendosi in contrasto con l’art. 42, terzo comma, della Costituzione.

Il rimettente richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 1993, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale della previgente normativa, contenuta nell’art. 2, secondo e terzo comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, come sostituito dall’art. 1 della legge 8 marzo 1968, n. 180, rilevandosi che il giudizio di congruità dell’indennizzo non può prescindere dal parametro del giusto prezzo risultante dagli artt. 40 e 68 della legge n. 2359 del 1865. Le considerazioni espresse nella predetta occasione dalla Corte costituzionale si attaglierebbero anche alla attuale normativa, che differirebbe da quella già dichiarata incostituzionale solo per il fatto di fare riferimento, per il calcolo dell’indennizzo in caso di servitù militare, non più al reddito dominicale ed agrario dei terreni e reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell’imposizione sul reddito, ma al doppio di esso.

Nessun riferimento, infatti, conterrebbe la norma in questione al parametro rappresentato dal valore venale del bene, dal quale in nessun caso si potrebbe legittimamente del tutto prescindere. In proposito, il giudice a quo richiama, oltre a numerose decisioni della Corte costituzionale, l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità che, in tema di indennizzo per la costituzione giudiziale di servitù di elettrodotto, esclude che il carattere anche amovibile della servitù medesima incida sulla necessità di liquidare tale indennizzo sulla base dell’effettivo valore del fondo asservito, e, quindi, di tener conto anche della sua vocazione edificatoria.

2.- Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la parte privata del procedimento a quo, che ha richiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata, con argomentazioni adesive a quelle contenute nella ordinanza di remissione.

Considerato in diritto

1.- La questione sottoposta all'esame della Corte riguarda l’art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898 (Nuova regolamentazione delle servitù militari), come modificato dall’art. 3 della legge 2 maggio 1990, n. 104 (Modifiche ed integrazioni alla legge 24 dicembre 1976, n. 898, concernente nuova regolamentazione delle servitù militari), nella parte in cui prevede, per le limitazioni discendenti dalle "servitù militari", un criterio automatico di determinazione dell’indennizzo annuo, basato sul valore della rendita catastale (doppio, metà o intero reddito dominicale e agrario a seconda delle ipotesi), che prescinde del tutto dal riferimento al parametro rappresentato dal valore venale del bene, con ciò determinando, nel caso di imposizione di vincoli di inedificabilità su aree edificabili, una commisurazione dell’indennizzo del tutto inadeguata, irrisoria o addirittura inesistente, e consentendo, pertanto, una compressione del diritto di proprietà mediante limitazione di natura espropriativa senza indennizzo.

Viene denunciata la violazione dell’art. 42, terzo comma, della Costituzione.

2.- La questione è fondata per la parte in cui il criterio indifferenziato di determinazione di indennizzo annuo si applica ai terreni con preesistente destinazione edificatoria e non suscettibili di altra utilizzazione e di rendita agraria.

Con una scelta discrezionale, che andava oltre la dichiarazione di illegittimità costituzionale della normativa anteriore a Costituzione contenuta nell’art. 3, secondo comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849 (sentenza n. 6 del 1966), il legislatore del 1976 e del 1990 ha voluto garantire ai soggetti interessati dall’asservimento a "servitù militari" sempre un indennizzo annuo per la perdita di redditività a seguito delle limitazioni, fin dal loro sorgere, in relazione alle ricordate peculiarità e natura dei vincoli negativi, non aventi carattere generale ed obbiettivo, ritenuti, di per sé, tali da incidere significativamente sulle possibilità di reddito del bene. Ciò è testimonianza di una maggiore attenzione per gli interessi anche dei privati, oltre per quelli generali (primari di difesa), avuto anche riguardo al fatto che le attività vietate al soggetto privato in virtù dell'asservimento sono considerate in genere legittime dall’ordinamento, che perciò appresta un equo contemperamento degli interessi in gioco, attraverso una forma di corrispettivo, anche se non necessariamente coincidente con la diminuzione del reddito, purché non irrisorio.

Per le anzidette limitazioni non vi è normalmente alcuna preordinazione ad un trasferimento coattivo della proprietà; anzi, il sistema prescelto presuppone, in ogni caso, che il proprietario del bene asservito rimanga nella libera disponibilità dell’immobile, salvo a dover sottostare solo a quei determinati obblighi negativi, che, a seconda delle esigenze strettamente collegate al tipo di opere ed installazioni di difesa, siano stati concretamente imposti, nell’ambito di tipologie di limitazioni configurate dal legislatore, comportanti un non omogeneo "aggravio della proprietà privata" e differenziati "oneri dello Stato".

Avendo il legislatore scelto, per le anzidette limitazioni, il sistema di indennizzo annuo, basato sulla diminuzione di redditività del terreno o fabbricato, questo indennizzo annuo (alternativo non al valore venale del bene, ma al corrispettivo per la perdita parziale di utilizzazione del bene) poteva essere commisurato ad un valore, non di scambio della proprietà del bene, ma di reddito, desunto da un parametro anche automatico; è stato adoperato il valore catastale dell’immobile, utilizzando il reddito dominicale e agrario per i terreni e il reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini della imposizione sul reddito. Detta rendita catastale subisce differenti coefficienti di moltiplicazione (in definitiva per due e per uno) a seconda delle tipologie delle limitazioni imposte.

Tale sistema di calcolo di indennizzo annuo non è stato contestato nella sua interezza, potendo essere considerato equo nella generalità dei casi, in quanto la rendita catastale rappresenta un valore di riferimento accettabile ai fini del calcolo della rendita, dovendosi, nelle ipotesi in esame, indennizzare limitazioni temporanee per la perdita o diminuzione di redditività dell’immobile nell’anno preso in considerazione. Se poi vi siano stati errori o vizi nella applicazione delle regole per la determinazione delle rendite catastali, queste potranno essere corrette e sindacate con i rimedi previsti dall’ordinamento.

Invece, il criterio adottato si rivela del tutto inadeguato o addirittura mancante, potendo portare a valori di rendita insignificanti ed irrisori o addirittura zero (come per alcuni dei terreni in contestazione), quando si tratti di terreni con preesistente destinazione edificatoria, che non siano suscettibili di una utilizzazione agricola e quindi siano in tutto o in parte privi di rendita dominicale e agraria.

In tali casi il generalizzato metodo di calcolo dell’indennizzo attraverso la rendita catastale, necessariamente basata sul catasto terreni e sulla rendita dominicale e agraria - perché non vi è stata ancora l’edificazione prevista nella programmazione urbanistica o perché il terreno non è pertinenziale ad un fabbricato - è assolutamente inidoneo per determinare un giusto indennizzo, in una ipotesi di limitazione temporanea, che concretamente impone un sostanziale divieto di edificazione a carattere generale (divieto di fare elevazioni di qualsiasi materiale, di fabbricare muri e edifici), in mancanza di qualsiasi altra utilizzabilità e di riferimento a rendita temporanea.

Pertanto, deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale della norma denunciata nella parte in cui non prevede un indennizzo annuo differenziato per i terreni con preesistente destinazione edificatoria e non suscettibili di altra utilizzazione e rendita agraria.

3.- La fissazione del concreto criterio correttivo specifico rientra nel potere discrezionale del legislatore, che può essere esercitato utilizzando una serie di metodi integrativi e compensativi, non necessariamente ragguagliati al valore dell’area edificabile (cfr., per taluni riferimenti, sentenza n. 179 del 1999); così, ad esempio, ricorrendo alla redditività di fabbricati omogenei nella stessa zona, depurata dagli oneri per investimenti occorrenti per la costruzione; alla percentuale di reddito medio del fabbricato edificabile, calcolando l’incidenza di valore del suolo; alla redditività media delle aree edificabili dello stesso tipo, ecc.).

In altri termini, può essere adoperato un qualsiasi metodo e criterio, che tenga conto anche della natura edificatoria dei terreni, in armonia, del resto, con il sia pure diverso sistema differenziato (terreni agricoli e suoli edificabili) di determinazione della indennità per espropriazione traslativa della proprietà o per la imposizione ICI.

4.- Sul piano generale degli oneri derivanti dalle "servitù militari" deve, infine, essere sottolineato che, specie per le nuove installazioni, problemi come quelli in esame potranno essere ridotti attraverso la localizzazione delle opere ed impianti militari coordinata con i piani di assetto territoriale della regione (art. 3 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, nel testo risultante dall’art. 1 della legge 2 maggio 1990, n. 104).

In ogni modo, in caso di revisione quinquennale e di conferma della imposizione, che renda impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di proprietà sul bene o su parte di esso, è offerta al proprietario la possibilità di chiedere la espropriazione totale o parziale del bene stesso (art. 11, primo comma, della legge 24 dicembre 1976, n. 898).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898 (Nuova regolamentazione delle servitù militari), come modificato dall’art. 3 della legge 2 maggio 1990, n. 104 (Modifiche ed integrazioni alla legge 24 dicembre 1976, n. 898, concernente nuova regolamentazione delle servitù militari), nella parte in cui non prevede un indennizzo annuo differenziato per i terreni con preesistente destinazione edificatoria e non suscettibili di altra utilizzazione e rendita agraria.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 2000.