Ordinanza n. 368/2000

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ORDINANZA N. 368

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso, in un procedimento penale, con ordinanza emessa il 24 gennaio 2000 dalla Corte di assise di Salerno, iscritta al n. 112 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 24 gennaio 2000 la Corte di assise di Salerno ha sollevato, su eccezione della difesa degli imputati, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che, nel corso di un precedente dibattimento riguardante lo stesso fatto a carico dei medesimi imputati, abbia emesso ordinanza con la quale, nel dichiarare la nullità del decreto che ha disposto il giudizio perché emesso da giudice dell’udienza preliminare funzionalmente incompetente, abbia ordinato la trasmissione degli atti alla procura distrettuale antimafia;

che il rimettente espone che i giudici togati che attualmente compongono il collegio hanno concorso a pronunciare, quali componenti di altro collegio della stessa Corte di assise, nel corso della precedente istruttoria dibattimentale a carico dei medesimi imputati e in relazione agli stessi fatti, ordinanza con la quale, <<valutata la matrice camorristica e non meramente personale del delitto di omicidio>>, era stata dichiarata la nullità del decreto che dispone il giudizio per incompetenza funzionale del giudice dell'udienza preliminare;

che, in particolare, il giudice a quo precisa che l'eccezione di nullità, proposta dalla difesa negli atti preliminari al dibattimento ex art. 491 cod. proc. pen., era stata in un primo momento disattesa dal collegio, che aveva ritenuto che l'appartenenza degli imputati ad un'organizzazione di stampo mafioso non potesse di per sé determinare, nella fase delle indagini preliminari, l'attribuzione della competenza a trattare il procedimento alla Procura distrettuale di Salerno, né radicare la competenza del giudice per l'udienza preliminare presso l’omologo tribunale, dovendo invece a tal fine assumere rilevanza il movente passionale del delitto;

che successivamente il collegio, nuovamente investito della eccezione in <<fase avanzata della istruttoria dibattimentale>>, era pervenuto - sulla base dell'esame di alcuni testimoni e di circostanze affermate da alcuni difensori e confermate dal pubblico ministero - all'opposta conclusione che l'omicidio, <<pur avendo come causa remota una volontà di vendetta riconducibile al c.d. delitto d'onore, fosse stato comunque ideato e voluto [da uno degli imputati] per ribadire e rafforzare, all'interno e all'esterno dell'organizzazione, il suo prestigio di influente capoclan camorrista>>, ed aveva quindi dichiarato la nullità del decreto che aveva disposto il giudizio;

che il rimettente - premesso che nell'emettere tale ordinanza era stata compiuta una <<penetrante valutazione di alcuni rilevanti aspetti del merito della vicenda processuale>>, affermando <<la matrice camorrista, e non semplicemente personale e passionale dell'omicidio>> - ritiene di trovarsi in una situazione di incompatibilità <<perfettamente assimilabile>> a quella presa in esame dalla sentenza della Corte costituzionale n. 455 del 1994, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all'esito di precedente dibattimento riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. per ritenuta diversità del fatto;

che, ad avviso del rimettente, il principio allora affermato, secondo cui l'incompatibilità alla funzione di giudizio sussiste ogni qual volta il giudice in uno stadio anteriore del procedimento abbia espresso <<una valutazione nel merito della stessa materia processuale riguardante il medesimo incolpato>>, sia nel momento conclusivo delle indagini preliminari, sia <<in un precedente giudizio di cognizione, non potutosi concludere con sentenza>>, dovrebbe trovare applicazione anche nel caso in esame, in cui tale valutazione sia stata appunto espressa in <<un provvedimento conclusivo della fase, ancorché non rivestente carattere di sentenza>>;

che pertanto il giudice a quo ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost.

Considerato che, contrariamente a quanto assume il rimettente, la fattispecie dedotta nel presente giudizio di costituzionalità non è assimilabile a quella presa in esame dalla sentenza n. 455 del 1994;

che allora la Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen. <<nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 2, c.p.p.>>, rilevando in motivazione che il giudice, quando accerta all'esito del dibattimento che <<il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio>>, compie <<una penetrante delibazione del merito della regiudicanda, non dissimile da quella che, in mancanza di una valutazione della diversità del fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito>>;

che tale decisione si iscrive nell’alveo della giurisprudenza costituzionale secondo cui il termine pregiudicante della relazione di incompatibilità deve sostanziarsi in una valutazione non formale, ma di contenuto, sul merito dell'ipotesi di accusa, con esclusione delle <<determinazioni assunte in ordine allo svolgimento del processo, sia pure a seguito di una valutazione delle risultanze processuali>> (v. in questo senso, tra le tante, sentenza n. 131 del 1996, ordinanze n. 357 del 1997, n. 281 del 1996);

che, con riferimento all’istituto dell’incompatibilità, la funzione pregiudicante non può essere ravvisata in un atto - quale un'ordinanza che prende in esame una questione relativa alla competenza - avente natura meramente processuale e che, in quanto tale, non dovrebbe contenere valutazioni sul merito della res iudicanda;

che l'eventuale effetto pregiudicante derivante da una valutazione di merito non imposta dal tipo di atto deve essere accertata in concreto e trovare rimedio, ove ne sussistano i presupposti, negli istituti dell'astensione e della ricusazione (v., al riguardo, ordinanze nn. 444 e 29 del 1999, n. 203 del 1998, ed i richiami nelle stesse contenuti alla sentenza n. 308 del 1997 sui rapporti tra gli istituti della incompatibilità e dell'astensione-ricusazione), anch'essi preposti alla tutela del principio del giusto processo;

 che, in particolare, nel caso di specie eventuali indebite valutazioni espresse in ordine alla condotta dell’imputato avrebbero potuto essere ricondotte alla causa di ricusazione prevista dall'art. 37, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dalla Corte di assise di Salerno, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 26 luglio 2000.