Ordinanza n. 367/2000

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ORDINANZA N. 367

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA 

- Franco BILE  "

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale promosso, in un procedimento di ricusazione, con ordinanza emessa il 7 luglio 1999 dalla Corte di appello di Palermo, iscritta al n. 617 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 7 luglio 1999 la Corte di appello di Palermo, chiamata a decidere sulla dichiarazione di ricusazione presentata dalla parte civile nei confronti del Presidente del Tribunale di Marsala, nell’ambito di un procedimento penale per i reati di cui agli artt. 110, 113 e 449, secondo comma, cod. pen., ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede quale causa di incompatibilità del giudice l’ipotesi in cui «l’illecito da valutare penalmente sia stato oggetto di un precedente giudizio in sede civile da parte del medesimo magistrato»;

 che la Corte rimettente premette che il giudice ricusato aveva fatto parte di altro collegio dello stesso Tribunale di Marsala che aveva definito con sentenza il giudizio civile promosso da una società di armamento, a responsabilità limitata, di cui era amministratore unico uno degli attuali imputati, esprimendo in quella sede in modo inequivoco il suo convincimento sui fatti divenuti poi oggetto del procedimento penale e affermando, in particolare, che «le violazioni commesse dall'armatore al massimo comportano una contravvenzione depenalizzata»;

che nel merito la rimettente osserva che la dichiarazione di ricusazione non può essere accolta in quanto «la dedotta situazione di incompatibilità, che ove sussistente si risolverebbe in una causa di ricusazione», non è disciplinata da alcuna previsione di legge: «non dall’art. 34 c.p.p. né dall’art. 36 lett. c) dello stesso codice di rito che si riferisce a manifestazioni di giudizio espresse fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie»;

che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di tale mancata previsione in quanto, potendo uno stesso fatto essere oggetto di separati giudizi ai fini della responsabilità civile e penale, il giudice che si sia pronunciato in sede civile su tale fatto, e sia poi chiamato a valutarlo nuovamente in sede penale, si trova in una posizione che menoma la sua terzietà;

che nella specie il pregiudizio sarebbe consistito nell'avere il giudice ricusato sostanzialmente affermato nel procedimento civile la «innocenza anche» ai fini penali del soggetto che poi era stato chiamato a giudicare in sede penale;

che secondo la Corte rimettente la mancata previsione di una causa di incompatibilità riconducibile alla ipotesi in questione è in contrasto con l’art. 3 Cost., data la «palese violazione del principio di parità di trattamento di situazione analoghe»; con l’art. 24, secondo comma, Cost., stante la violazione del diritto di difesa «pregiudicato da convinzioni precostituite in ordine alla stessa materia del decidere»; e con l’art. 101 Cost., «posto a presidio dell’imparzialità della funzione giudicante»;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente al contenuto dell’atto di intervento spiegato nel giudizio di costituzionalità promosso con l’ordinanza iscritta al n. 396 del r.o. del 1999 (poi deciso con sentenza n. 283 del 2000).

Considerato che la Corte di appello di Palermo dubita della legittimità costituzionale dell’art. 34 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede quale causa di incompatibilità del giudice l’ipotesi in cui «l’illecito da valutare penalmente sia stato oggetto di un precedente giudizio in sede civile da parte del medesimo magistrato»;

 che con l'ordinanza n. 431 del 1999, successiva all'ordinanza di rimessione, questa Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità di analoga questione di costituzionalità, rilevando che nell’ambito dei rapporti tra gli istituti apprestati dal codice di rito a garanzia dell’imparzialità del giudice l’art. 34 cod. proc. pen. fa riferimento alle situazioni in cui i termini della relazione di incompatibilità intercorrono all’interno del medesimo procedimento, o comunque nell'ambito di una vicenda processuale sostanzialmente unitaria riguardante la medesima regiudicanda, mentre i casi in cui la funzione pregiudicante è espressa in un diverso procedimento rientrano nella sfera di applicazione della astensione e della ricusazione;

che già in precedenza, con le sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997, questa Corte aveva rilevato che le situazioni pregiudicanti descritte dall’art. 34 cod. proc. pen. sono tipicamente e preventivamente individuate dal legislatore in base alla presunzione che esse determinino l’incompatibilità ad esercitare ulteriori funzioni giurisdizionali nel medesimo procedimento, mentre il pregiudizio determinato da valutazioni sul merito della responsabilità penale espresse in un diverso procedimento deve essere accertato in concreto, caso per caso, facendo ricorso alla disciplina degli istituti dell’astensione e della ricusazione, eventualmente integrata da un intervento della Corte stessa;

che con la sentenza n. 283 del 2000 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 37 cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevede che possa essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto»;

che, a seguito della mutata sfera di applicazione dell'art. 37, comma 1, cod. proc. pen., occorre restituire gli atti all'autorità giudiziaria rimettente perché valuti se la questione sia tuttora rilevante.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 ordina la restituzione degli atti alla Corte di appello di Palermo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 26 luglio 2000.