Sentenza n. 359/2000
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ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria  FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di L’Aquila, iscritta al n. 375 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza emessa il 27 marzo 1999, pervenuta a questa Corte l’11 giugno 1999, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di L’Aquila ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 76 e 77 della Costituzione, e in relazione all’art. 3, comma 1, lettera h, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), dell’art. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni).

Il Giudice remittente premette di essere chiamato a decidere su una istanza di applicazione della custodia cautelare nei confronti di un minore arrestato nella quasi flagranza del delitto di furto aggravato da violenza sulle cose; di ritenere che nella specie sussistano gravi indizi di colpevolezza, che non vi sia né il pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, né quello di inquinamento probatorio; e che l’identità fisica del prevenuto sia certa, ma che sussista invece il pericolo concreto che egli si dia alla fuga.

Osserva il giudice a quo che l’art. 3, comma 1, della legge n. 81 del 1987, di delega per l’emanazione del codice di procedura penale, nel dettare i criteri per la disciplina del processo a carico di imputati minorenni, reca, alla lettera h, la seguente direttiva: “potere del giudice di disporre la custodia in carcere solo per delitti di maggiore gravità e sempre che sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero gravi esigenze di tutela della collettività”. L’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, nel disciplinare la facoltà del giudice di disporre la custodia cautelare, ha previsto invece come condizioni facoltizzanti, al comma 2, i tre classici pericula libertatis – pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, pericolo di inquinamento probatorio e pericolo di fuga – in perfetta concordanza con quanto stabilito (in quel caso, però, conformemente ai criteri di delega dettati per i maggiorenni) dall’art. 274 del codice di procedura penale.

Secondo il remittente, l’esplicito criterio più restrittivo dettato dal legislatore delegante per gli indagati minorenni deve ritenersi una scelta di politica legislativa; né potrebbe farsi rientrare il pericolo di fuga nell’ambito delle “gravi esigenze di tutela della collettività” di cui è parola nell’art. 3, comma 1, lettera h, della legge di delega, poiché questa formula è sempre riferita, nell’ordinamento penale, al pericolo di reiterazione dei reati; e d’altra parte, se non si fosse voluto escludere il pericolo di fuga dal novero delle condizioni che rendono possibile l’applicazione della custodia cautelare, la disposizione che detta i criteri particolari nei confronti dei minorenni sarebbe superflua, mentre l’eccezione da essa prevista rispetto ai criteri generali deve intendersi secondo il principio interpretativo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Sussiste pertanto, ad avviso del giudice a quo, violazione dei criteri della delega, onde l’art. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. n. 448 del 1988 dovrebbe essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.

2. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concordando con le argomentazioni del remittente. L’Avvocatura erariale osserva che effettivamente la lettera della legge delegante è chiara nel senso di non prevedere il pericolo di fuga fra le condizioni che consentono l’adozione della misura della custodia cautelare nei confronti dei minori, né il pericolo di fuga può farsi rientrare fra le “gravi esigenze di tutela della collettività”. Il carattere di eccezionalità che il legislatore delegante ha impresso al ricorso alla custodia cautelare nei confronti del minore, e la materia in cui si versa, della libertà personale, escluderebbero una interpretazione estensiva dei criteri della delega. Anche attraverso una valutazione sistematica e comparativa della disciplina in esame in rapporto ai criteri dettati per i maggiorenni, per i quali si è previsto espressamente il pericolo di fuga come condizione che consente l’adozione della misura (art. 2, comma 1, n. 59, della legge n. 81 del 1987), sarebbe confermata la diversità dei criteri di delega stabiliti per gli indagati minorenni, e di conseguenza la violazione dell’art. 76 della Costituzione denunciata dal giudice a quo.

Considerato in diritto

1. – La questione sollevata investe l’art. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come sostituito dall’art. 42 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate), che consente al giudice di disporre la custodia cautelare nei confronti del minorenne “se l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga”. Di tale previsione del decreto delegato viene denunciato il contrasto con i principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delega, che prevedeva la “facoltatività di misure cautelari personali” e il “potere del giudice di disporre la custodia in carcere solo per delitti di maggiore gravità e sempre che sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero gravi esigenze di tutela della collettività” (art. 3, comma 1, lettera h, della legge 16 febbraio 1987, n. 81), escludendo dunque il pericolo di fuga dal novero delle condizioni che abilitano all’adozione della misura restrittiva. Si censura pertanto la violazione dell’art. 76 (e dell’art. 77) della Costituzione.

2. – La questione è fondata.

Come osserva il remittente, e come rileva anche la difesa del Presidente del Consiglio, i criteri direttivi dettati dal legislatore per la disciplina del processo minorile sono chiari nel senso di consentire il ricorso alla custodia in carcere solo quando sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero sussistano “gravi esigenze di tutela della collettività” (art. 3, comma 1, lettera h, della legge di delega n. 81 del 1987). Il pericolo di fuga – esplicitamente previsto come condizione che giustifica il ricorso a misure preventive di coercizione personale, nel caso di indagati adulti, dall’art. 274, comma 1, lettera b, del codice di procedura penale, in conformità a quanto previsto a sua volta dalla direttiva n. 59 contenuta nell’art. 2, comma 1, della legge di delega n. 81 del 1987 – non è dunque compreso fra i presupposti che consentono la custodia in carcere dei minorenni. Né esso potrebbe ritenersi riconducibile alle “gravi esigenze di tutela della collettività”, le quali attengono al diverso pericolo della commissione di nuovi reati, e non possono identificarsi col semplice rischio che l’indagato si sottragga con la fuga all’applicazione della pena per il reato già ascritto a suo carico.

La diversa disciplina prevista dal legislatore delegante, rispettivamente per gli indagati maggiorenni e per quelli minori di età, discende presumibilmente dal disfavore del legislatore per l’utilizzo del carcere nei confronti dei minori, anche in coerenza con i principi affermati a livello internazionale riguardo al diritto penale minorile. In ogni caso, la scelta del delegante non poteva essere disattesa dal legislatore delegato: il quale invece, nel prevedere, nell’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, le condizioni che abilitano a disporre la custodia cautelare, ha pedissequamente ricalcato le tracce dell’art. 274 del codice di procedura penale, senza tener conto della diversità dei criteri direttivi che la legge di delega imponeva di seguire.

Con ciò il legislatore delegato ha però violato i criteri della delega, consentendo il ricorso alla custodia in carcere per i minori in una ipotesi nella quale la delega non lo prevedeva: la relativa disciplina è dunque illegittima per contrasto con l’art. 76 della Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, lettera b, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), come sostituito dall’art. 42 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 26 luglio 2000.