Sentenza n. 349/2000

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SENTENZA N. 349

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Francesco GUIZZI, Presidente

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

- Dott. Franco BILE 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1999 dalla Corte di appello di Genova nel procedimento penale a carico di Mario Benvenuto, iscritta al n. 380 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 2000 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. ¾ Nel corso di un giudizio nel quale l’imputato, condannato in primo grado, aveva proposto appello eccependo che la parte civile esercitava all’epoca dei fatti le funzioni di componente privato del Tribunale per i minorenni di Genova - circostanza questa appresa dopo la scadenza dei termini stabiliti dall’art. 21, comma 2, cod. proc. pen. per proporre eccezioni in ordine alla competenza - la Corte d’appello di Genova, con ordinanza del 30 aprile 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 107 della Costituzione, dell’art. 11 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che in caso di tardiva conoscenza della qualità di magistrato la eccezione di incompetenza possa essere sollevata oltre il termine stabilito dall’art. 21, comma 2, cod. proc. pen.

La disposizione denunciata prevede che i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, egualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge.

La Corte d’appello di Genova ritiene che la speciale competenza stabilita dall’art. 11 cod. proc. pen. per i procedimenti riguardanti i magistrati abbia natura di competenza per territorio; le eccezioni ad essa relative devono essere proposte, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare (art. 21, comma 2, cod. proc. pen.) e, se respinte, sono precluse qualora non siano riproposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (art. 491 cod. proc. pen.).

Il giudice rimettente sottolinea che tale spostamento di competenza sarebbe destinato a garantire la serenità ed obiettività del giudizio, l’imparzialità e la terzietà del giudice: si risponderebbe così all’esigenza, analoga a quella posta a fondamento della disciplina della ricusazione del giudice (artt. 37 ss. cod. proc. pen.), di evitare il rischio che la valutazione conclusiva del processo sia o possa apparire condizionata dal fatto che la persona offesa dal reato, o comunque il danneggiato, eserciti funzioni giurisdizionali nello stesso distretto del giudice chiamato a decidere sulla responsabilità dell’imputato. Ma mentre è espressamente previsto (art. 38, comma 2, cod. proc. pen.) che la dichiarazione di ricusazione del giudice possa essere proposta dopo il termine stabilito per le questioni preliminari (art. 491, comma 1, cod. proc. pen.) qualora la relativa causa sia divenuta nota dopo la scadenza di tale termine, analoga possibilità non è invece prevista dall’art. 21 cod. proc. pen. per l’incompetenza per territorio determinata dall’applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen. Ciò comporterebbe, appunto, la denunciata lesione del principio di eguaglianza e della garanzia costituzionale di un giudizio reso da un giudice imparziale.

2. ¾ Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, in subordine, non fondata.

In particolare la disposizione denunciata riguarderebbe la determinazione della competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati, piuttosto che i tempi e i modi per rilevarne la eventuale violazione. Inoltre, se pure la deroga alla ordinaria competenza territoriale per i procedimenti riguardanti i magistrati comprendesse, come nel caso in esame, gli esperti componenti privati del Tribunale per i minorenni, la diversità dei termini stabiliti per eccepire l’incompetenza, rispetto a quelli previsti per rilevare la esistenza di cause di astensione o ricusazione, sarebbe giustificata; comunque, anche l’esistenza di cause di astensione o di ricusazione potrebbe essere rilevata solo nel corso della fase di giudizio cui esse si riferiscono e non nei gradi successivi.

Considerato in diritto

1. ¾ La questione di legittimità costituzionale investe la disciplina della competenza per i procedimenti penali riguardanti i magistrati.

La Corte d’appello di Genova ritiene che l’art. 11 del codice di procedura penale ¾ che attribuisce al giudice competente per materia del capoluogo del distretto di corte d’appello determinato dalla legge la cognizione dei procedimenti che altrimenti sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto nel quale esercita, o esercitava al momento del fatto, le proprie funzioni il magistrato imputato, ovvero persona offesa o danneggiata dal reato ¾, nella parte in cui non consente alla difesa di sollevare la eccezione di incompetenza oltre il termine stabilito dall’art. 21, comma 2, del codice di procedura penale, possa essere in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e con le garanzie di imparzialità del giudizio e di neutralità del giudice (artt. 24, 101 e 107 Cost.), la cui obiettività potrebbe, invece, essere condizionata dal fatto che la persona offesa dal reato eserciti funzioni giurisdizionali nello stesso distretto del giudice chiamato a decidere sulla responsabilità dell’imputato; ciò mentre, per analoghe esigenze di obiettività del giudizio, la ricusazione del giudice può essere proposta anche dopo il termine stabilito per eccepire l’incompetenza (art. 38, comma 2, cod. proc. pen.).

2. ¾ La questione non è fondata.

 Il giudice rimettente considera la disciplina della competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati come un particolare criterio di predeterminazione della competenza per territorio, per il quale operano i comuni meccanismi e le preclusioni previste per tale tipo di incompetenza: essa va rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, appena compiuto l’accertamento della costituzione delle parti (art. 21, comma 2, cod. proc. pen.), rimanendo la relativa questione altrimenti preclusa (art. 491 cod. proc. pen.).

La deroga ¾ determinata dalle funzioni svolte da uno dei soggetti del processo in relazione all’ufficio giudicante ¾ alle regole generali della competenza per territorio, solitamente ancorate al luogo del commesso reato, viene in tal modo considerata nell’ambito della logica propria dei criteri di determinazione di questo tipo di competenza: essa non riguarda la persona del giudice, bensì l’ufficio giudiziario ed il suo collegamento con la cognizione del reato, e va verificata entro la fase preliminare del giudizio, non dopo che questo sia stato incardinato ed abbia avuto inizio.

La diversa disciplina della ricusazione, indicata dal giudice rimettente quale termine di comparazione per denunciare una ingiustificata disparità di trattamento, non costituisce un idoneo elemento di raffronto con la disciplina della competenza (cfr. sentenza n. 381 del 1999). La ricusazione, difatti, è destinata a prendere in considerazione non l’ufficio giudiziario cui è attribuita l’astratta competenza a conoscere del reato, ma la persona del giudice investito del concreto giudizio; essa può dipendere da cause sorte anche nel corso del giudizio ed è fondata sulla valutazione in concreto di una situazione di possibile pregiudizio per l’imputato o per una delle altre parti. Non è, dunque, irragionevole la scelta del legislatore di stabilire termini per proporre la dichiarazione di ricusazione diversi da quelli previsti per eccepire o rilevare l’incompetenza per territorio e di consentire che la dichiarazione di ricusazione possa essere fatta dopo la fase introduttiva del giudizio, quando la causa che la determina sia sorta o, se preesistente, sia divenuta nota successivamente. I due istituti, dello spostamento della competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati e della ricusazione, pur concorrendo a garantire la imparzialità del giudice, rispondono difatti a criteri diversi e non si impone una loro parificazione.

3. ¾ Anche i dubbi di legittimità costituzionale proposti in riferimento alla garanzia costituzionale di imparzialità del giudice e di obiettività del giudizio non sono fondati.

La regola processuale denunciata prevede un termine per proporre la questione di incompetenza per territorio, stabilendo, non irragionevolmente, che esso si esaurisca nell’arco degli atti introduttivi del giudizio, prima dell’apertura del dibattimento.

Rientra, difatti, nella discrezionalità del legislatore limitare la possibilità di rilevare l’incompetenza per territorio a vantaggio dell’interesse all’ordine e alla speditezza del processo (ordinanze n. 130 del 1995 e n. 521 del 1991), evitando così che, avviato il giudizio di merito, esso possa essere vanificato da un tardivo spostamento di competenza territoriale o che le parti possano sottrarne la cognizione al giudice oramai investito; tutto ciò senza che venga in rilievo una situazione idonea a ledere in concreto l’imparzialità del giudice, per la quale opera, invece, l’istituto della ricusazione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 107 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Genova con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 luglio 2000.