Ordinanza n. 338/2000

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ORDINANZA N. 338

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI  

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI   

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA  

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI  

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI  

- Annibale MARINI  

- Franco BILE   

- Giovanni Maria FLICK  

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), promosso con ordinanza emessa il 3 febbraio 1998 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da N. G. contro il Ministero dell’Interno e altro, iscritta al n. 177 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visti l’atto di costituzione di N. G. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

 Ritenuto che, a seguito di una ordinanza con la quale il Vice pretore onorario della Pretura circondariale di Trapani, sezione distaccata di Erice, aveva ingiunto a N. G. di non parcheggiare la propria auto lungo il lato est di un vicolo cittadino, perché impediva la manovra di ingresso delle auto dei condomini, il predetto era stato tratto a giudizio per violazione dell’art. 388 del codice penale e condannato al pagamento di lire 200.000 di multa, non avendo ottemperato al provvedimento;

 che, considerata la tenuità della pena, N. G. non proponeva appello e il Prefetto di Trapani revocava il decreto con cui era stato autorizzato allo svolgimento dell’attività di Guardia particolare giurata, nonché il relativo porto di pistola;

 che, a cagione di detti decreti, l’istituto di vigilanza privato, presso il quale il condannato prestava servizio da 17 anni, lo licenziava;

 che, con ricorso del novembre del 1995, N. G. aveva impugnato i decreti prefettizi chiedendone l’annullamento, per la violazione dei principi posti a base della sentenza della Corte costituzionale n. 971 del 1988;

 che, nel corso del giudizio, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 138, primo comma, numero 4, del regio-decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza);

 che il giudice a quo ricorda come questa Corte abbia affermato, con la citata sentenza n. 971, il principio secondo cui il pubblico dipendente non può essere destituito, in conseguenza di una sentenza penale, senza che la pubblica amministrazione abbia verificato la sussistenza di cause concrete di non compatibilità con l’ufficio;

 che, con la medesima sentenza, sono state dichiarate illegittime diverse disposizioni di legge, fra cui l’art. 8, lettera a), del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, in tema di sanzioni disciplinari per il personale dell’amministrazione della pubblica sicurezza;

 che successivamente, ispirate alla stessa ratio decidendi, sono intervenute altre pronunce costituzionali (fra le quali la sentenza n. 408 del 1993) che hanno dichiarato l’illegittimità delle disposizioni che prevedevano l’esclusione automatica dei partecipanti dai concorsi per l’accesso al pubblico impiego, con ciò confermando e sviluppando un orientamento risalente (sentenze nn. 207 del 1996, 45 e 61 del 1965, 33 e 15 del 1960);

 che da tali decisioni si potrebbe desumere un principio costituzionale di portata generale, in virtù del quale non potrebbe essere attribuito alla condanna penale un automatico valore rescindente o risolutivo del rapporto intrattenuto dal condannato con la pubblica amministrazione, dovendo quest’ultima vagliare, caso per caso, se la condanna comporti un’alterazione del rapporto fiduciario;

 che anche la sentenza n. 108 del 1994, dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 26 della legge n. 53 del 1989, nella parte in cui lasciava al giudizio insindacabile del Ministro dell’interno la valutazione delle “qualità morali” del candidato e della sua famiglia, si inserisce nel medesimo filone;

 che non vi sarebbero motivi ragionevoli per ritenere che quanto vale per i pubblici dipendenti addetti a funzioni di polizia non debba valere anche per i “pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio”, dipendenti privati che svolgano analoghe funzioni in forza di una concessione rilasciata dalla pubblica amministrazione;

 che sarebbe perciò irragionevole assoggettare a destituzione, attraverso la revoca automatica dell’autorizzazione, solo coloro che espletano attività di polizia in base a una concessione o autorizzazione amministrativa;

 che la funzione di prevenzione e repressione dei reati risponderebbe allo stesso interesse pubblico, tanto se esercitata da un pubblico dipendente, quanto dal privato autorizzato, pena il contrasto con gli artt. 3 e 97, primo comma, della Costituzione;

 che la questione sarebbe rilevante, poiché non sarebbe possibile una interpretazione estensiva dell’art. 138, primo comma, numero 4, del regio decreto n. 773 del 1931;

 che, con memoria scritta, si è costituita la parte privata, chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione in esame, “nella parte in cui, ai fini del requisito dell’assenza da condanne penali, prescinde dalla valutazione della entità del reato e della gravità della pena”;

 che secondo il difensore la questione appare fondata, perché la disposizione oggetto di censura - nel richiedere l’assenza di qualsiasi condanna penale per delitto - non distingue tra le varie ipotesi, sia con riferimento alla gravità del fatto, sia all’entità della pena, così determinando la sopravvivenza del requisito, della buona condotta, cancellato da questa Corte con la sentenza n. 311 del 1996;

 che è intervenuto il Presidente del consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo per l’infondatezza;

 che, secondo la difesa erariale, non vi sarebbero nuovi elementi per disattendere l’orientamento già espresso dalla Corte con le sentenze nn. 326 del 1995 e 405 del 1997.

 Considerato che questa Corte ha già valutato con esito negativo (così la citata sentenza n. 326), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo all’art. 138, primo comma, numero 4, del regio decreto n. 773 del 1931;

 che analoga decisione è stata resa in una fattispecie concernente il mancato rinnovo delle nomina a guardia particolare giurata (così la sentenza n. 405 sopra menzionata);

 che la questione oggi sottoposta all’esame presenta soltanto due nuovi elementi: l’estrema lievità del delitto e la mancata coltivazione dei mezzi d’impugnazione da parte del condannato;

 che tali aspetti attengono a questioni di mero fatto, non essendo mutati - al di là dell’ulteriore parametro costituito dall’art. 97 della Costituzione - gli argomenti posti a fondamento della questione;

 che va tenuto fermo il principio già enunciato, secondo cui la revoca del porto di pistola non implica, per il privato, l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro, il quale può trovare altre e diverse ragioni di conservazione;

 che l’ulteriore parametro costituzionale, relativo all’imparzialità e al buon andamento dell’amministrazione, è palesemente estraneo alla materia de qua e non impinge sul ragionamento già svolto;

 che pertanto la questione dev’essere dichiarata manifestamente infondata.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.