Ordinanza n. 311/2000

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ORDINANZA N. 311

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Francesco GUIZZI, Presidente

- Cesare MIRABELLI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 5, 151, 263 del codice penale militare di pace, in relazione all’art. 14, commi 2 e 3, della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), nonché degli artt. 5, 37, 223 e 263 del codice penale militare di pace, in relazione all’art. 151 dello stesso codice, promossi con ordinanze emesse il 16 giugno e il 21 luglio 1999 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino, iscritte ai nn. 539 e 544 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che con ordinanza emessa in data 16 giugno 1999 (R.O. n. 539 del 1999) nel corso dell’udienza preliminare relativa a un procedimento penale a carico di un imputato del reato di mancanza alla chiamata (articolo 151 del codice penale militare di pace), il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione, degli articoli 5, 151, 263 del codice penale militare di pace, in relazione all’art. 14, commi 2 e 3, della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), nella parte in cui assoggettano alla giurisdizione militare, anziché devolverlo al giudice ordinario, il reato di mancanza alla chiamata commesso da chi abbia rifiutato totalmente in tempo di pace la prestazione del servizio militare adducendo motivi diversi da quelli indicati nell’art. 1 della legge n. 230 del 1998 o senza addurre motivo alcuno;

che il giudice a quo premette che l’art. 14, comma 3, della legge n. 230 del 1998 ha attribuito la cognizione del delitto di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza, previsto dal comma 2 dello stesso articolo, alla giurisdizione del giudice ordinario, mentre, in base alle disposizioni censurate, il reato di mancanza alla chiamata continua a soggiacere alla giurisdizione militare;

che, a suo avviso, nelle due fattispecie criminose, previste rispettivamente dall’art. 151 cod. pen. mil. pace e dall’art. 14, comma 2, della legge n. 230 del 1998, esisterebbe identità di interesse tutelato, di entità di pena, di modalità oggettive di condotta e di qualifica soggettiva di appartenenza alle Forze armate dell’agente, sicché comporterebbe violazione del canone della ragionevolezza conservare, per la prima fattispecie, la giurisdizione dei tribunali militari e devolvere la cognizione soltanto della seconda al giudice ordinario;

che le disposizioni censurate violerebbero altresì l’art. 25, primo comma, della Costituzione, poiché la semplice adduzione dei motivi di coscienza di cui all’art. 1 della legge permetterebbe all’imputato di scegliere sia il giudice territorialmente competente che la autorità giudiziaria dotata di giurisdizione;

che, infine, sempre secondo il remittente, nel mancante alla chiamata, non essendosi per lui verificata alcuna incorporazione né costituito alcun legame organico con le Forze armate, farebbe difetto lo status di militare, con conseguente violazione, da parte delle disposizioni censurate, dell’art. 103, terzo comma, della Costituzione, che limita per il tempo di pace la giurisdizione dei tribunali militari ai soli reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata;

che con altra ordinanza emessa in data 21 luglio 1999 (R.O. n. 544 del 1999) nel corso dell’udienza preliminare relativa ad un procedimento penale a carico di un imputato del reato di lesioni personali aggravate, commesse in stato di mancanza alla chiamata (art. 223 del codice penale militare di pace), il medesimo giudice ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento, questa volta, al solo art. 103, terzo comma, della Costituzione, degli artt. 5, 37, 223 e 263 del codice penale militare di pace, in relazione all’art. 151 dello stesso codice, “nella parte in cui assoggettano alla giurisdizione militare la cognizione dei reati militari, quali la lesione personale, commessi da militari in stato di mancanza alla chiamata”;

che secondo il remittente il fatto su cui è chiamato a decidere configurerebbe, allo stato della legislazione vigente e alla luce della giurisprudenza di merito e di legittimità, un reato militare, la cui cognizione, ai sensi dell’art. 263 cod. pen. mil. pace, appartiene ai tribunali militari, posto che, a norma dell’art. 5 dello stesso codice, agli effetti della legge penale militare sono considerati in servizio alle armi anche i militari in stato di mancanza alla chiamata;

che, muovendo da argomentazioni analoghe a quelle sviluppate nella precedente ordinanza di rimessione, il giudice a quo perviene alla conclusione che il mancante alla chiamata non sia né possa essere considerato militare in servizio, sicché le disposizioni censurate comporterebbero, in contrasto con l’art. 103, terzo comma, della Costituzione, l’assoggettamento di un non appartenente alle Forze armate alla giurisdizione militare;

che anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata “inammissibile e, comunque, non fondata”;

che secondo l’Avvocatura dello Stato, l’atto con il quale sorge il rapporto di appartenenza alle Forze armate deve essere individuato nell’arruolamento e conseguentemente le disposizioni censurate non violerebbero l’art. 103, terzo comma, della Costituzione, poiché il soggetto in stato di mancanza alla chiamata risulta arruolato fin dal momento in cui è stata accertata la sua idoneità al servizio militare.

Considerato che le due ordinanze pongono questioni non dissimili e i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi unitariamente;

che questa Corte, pronunciando su questioni in parte analoghe, ha escluso che dal congiunto operare delle disposizioni concernenti il trattamento, anche giurisdizionale, dei reati di mancanza alla chiamata risulti l’estensione della giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace in relazione ad uno status di militare non ancora assunto o ad obblighi relativi al servizio militare semplicemente potenziali;

che nella sentenza n. 73 del 1998 ha, infatti, affermato che da quelle disposizioni si desume una nozione di servizio militare ragionevolmente circoscritta, quale quella definita dagli articoli 3 e 5 del codice penale militare di pace come servizio che deve iniziare nel momento stabilito per la presentazione, cui sono tenuti i cittadini già arruolati, ai quali sia stato notificato il provvedimento di chiamata alle armi, e che sono considerati (art. 5) in servizio di leva anche se per essi, proprio a causa della “mancanza”, un servizio effettivo non ha ancora avuto inizio;

che, in particolare, in quella sentenza questa Corte ha chiarito che con la chiamata alle armi sorge un dovere che, essendo ordinato all’immediato inserimento nelle Forze armate, è idoneo a costituire un vincolo giuridico di appartenenza ed è quindi tale da giustificare l’assoggettamento alla giurisdizione militare;

che, pertanto, con le disposizioni censurate il legislatore non ha ecceduto il limite posto dall’articolo 103, terzo comma, della Costituzione, alla giurisdizione dei tribunali militari per il tempo di pace, giacché, in relazione al delitto di mancanza alla chiamata, tale giurisdizione riguarda un reato militare commesso da un appartenente alle Forze armate;

che non maggior pregio presentano le censure che il remittente avanza alla luce dell’art. 25, primo comma, della Costituzione, poiché i militari che incorrono nel reato di mancanza alla chiamata non vengono distolti dal giudice naturale precostituito per legge, che è per essi il tribunale militare;

che, anche sul parametro dell’art. 3 della Costituzione, le disposizioni denunciate sono indenni dal vizio di legittimità costituzionale;

che questa Corte, con la sentenza n. 271 del 2000, ha invero escluso che la diversità di trattamento, sul piano della giurisdizione, dei reati di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza e di quelli di mancanza alla chiamata sia priva di un fondamento giustificativo, essendo questo ravvisabile nell’esigenza, non irragionevolmente apprezzata dalla legge n. 230 del 1998, di approntare, mediante l’espansione della giurisdizione del giudice ordinario, uno statuto unitario alle manifestazioni della coscienza;

che, conclusivamente, le questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate in riferimento a tutti i parametri invocati.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, 151, e 263 del codice penale militare di pace, in relazione all’articolo 14, commi 2 e 3, della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), nonché degli articoli 5, 37, 223, e 263 del codice penale militare di pace, in relazione all’articolo 151 dello stesso codice, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione e rispettivamente in riferimento al solo articolo 103, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Torino, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.

Francesco GUIZZI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 luglio 2000.