Ordinanza n. 306/2000
 CONSULTA ONLINE  ORDINANZA N. 306

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall'art. 38 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 sul pubblico impiego), nella parte in cui ha abrogato l'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in materia di finanza pubblica), come sostituito dall'art. 6-bis del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito con modificazioni nella legge 18 marzo 1993, n. 67 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, recante disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), promosso con ordinanza emessa il 19 ottobre 1998 dal Pretore di Brescia nei procedimenti civili riuniti vertenti tra l'A.S.L. n. 15 di Breno e altri contro l'Inps, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto di costituzione dell'Inps;

udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti.

Ritenuto che il Pretore di Brescia ha sollevato, con ordinanza del 19 ottobre 1998, questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall'art. 38 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 sul pubblico impiego), nella parte in cui ha abrogato l'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in materia di finanza pubblica), come sostituito dall'art. 6-bis del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito con modificazioni nella legge 18 marzo 1993, n. 67 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, recante disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), in riferimento agli artt. 3, 76 e 77, primo comma, della Costituzione;

che la questione è stata sollevata in un giudizio avente ad oggetto le domande di annullamento o revoca di due ordinanze ingiunzione emesse dal direttore della sede dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) di Brescia, proposte sulla premessa che l'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis del d.l. n. 9 del 1993 ed interpretato dal giudice adito, <<in chiaro contrasto con la sentenza>> della Corte n. 115 del 1994, disporrebbe, con presunzione juris et de jure, che i rapporti per i quali è causa non configurano rapporti di lavoro subordinato;

che, ad avviso del rimettente, siffatta premessa dimostrerebbe la rilevanza della questione proprio in quanto la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata determinerebbe la reviviscenza dell'art. 13, della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis del d.l. n. 9 del 1993;

che, secondo il giudice a quo, la norma censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 76, 77, primo comma, e 3 della Costituzione, poiché sarebbe stata emanata in <<difetto assoluto di competenza del Consiglio dei Ministri>>, sia in quanto la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 non avrebbe attribuito al Governo il potere di disciplinare la materia dei rapporti di lavoro autonomo e professionale, sia in quanto detta legge è di data anteriore all'entrata in vigore della norma abrogata, sicché non risulterebbe ipotizzabile che il Parlamento abbia conferito al Governo il potere di abrogare una norma inesistente alla data del conferimento della delega;

che, ad avviso del rimettente, la norma impugnata violerebbe altresì l’art. 3 della Costituzione ed il principio di ragionevolezza, dato che essa sarebbe <<“geneticamente” inidonea ad essere conosciuta, a causa della sua stessa collocazione e della sua “anonimità”>>, come risulterebbe dimostrato, tra l'altro, dalla circostanza che <<tutti i giudici del lavoro di Brescia, sia in primo grado, sia in sede di appello>> avrebbero continuato ad applicarla anche dopo che essa è stata abrogata, con conseguente grave danno consistente nella <<perdita di credibilità, interna ed esterna>> da parte dei giudici che ciò hanno fatto, in violazione del principio che impone loro <<di rispettare la legge e, dunque, di conoscere la legge vigente ed applicabile>>, con rischio di delegittimazione delle autorità intervenute in occasione dell’emanazione della disposizione e di <<perdita dei requisiti essenziali di affidabilità e di fiducia nella certezza della stessa legge>>;

che l'Inps, parte nel processo a quo, si è costituito nel giudizio innanzi alla Corte, eccependo l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, dato che il rimettente censura l'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1993 in quanto ha abrogato una norma di cui egli vorrebbe dare un'interpretazione in contrasto con quella già offerta dalla Corte costituzionale e condivisa dalla Corte di cassazione, impedendo alla parte di provare l'eventuale esistenza di un rapporto di lavoro subordinato;

che, secondo la parte, la questione sarebbe comunque infondata sia perché l'eventuale difficoltà di conoscenza della norma non potrebbe mai determinarne l’irragionevolezza, sia perché il potere attribuito al legislatore delegato comprende quello di abrogare tutte le norme eventualmente in contrasto con i principi della legge delega, a prescindere dal momento in cui queste ultime sono venute ad esistenza, purché la delega non sia scaduta.

Considerato che il Pretore di Brescia dubita, in riferimento agli artt. 3, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 74 del d.lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1993, nella parte in cui ha abrogato l'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis del d.l. n. 9 del 1993, convertito con modificazioni nella legge n. 67 del 1993;

che il rimettente motiva la rilevanza della questione sulle premesse che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata determinerebbe la reviviscenza dell'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis del d.l. n. 9 del 1993, e che quest'ultima disposizione, al secondo comma, a suo avviso, prevederebbe, con presunzione juris et de jure, che i contratti d'opera o per prestazioni professionali a carattere individuale in esso contemplati non configurino <<rapporti di subordinazione>>, precludendo in tal modo una loro differente qualificazione;

che, indipendentemente da ogni questione circa la controversa possibilità di reviviscenza di norme abrogate da disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime (sentenze n. 74 del 1996; n. 310 del 1993), la prima premessa risulta del tutto carente del necessario fondamento argomentativo, mentre la motivazione della seconda è implausibile;

che, infatti, questa Corte ha già affermato che la disposizione dell'art. 13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art. 6-bis del d.l. n. 9 del 1993, non stabilisce affatto che <<in virtù di essa un rapporto sorto da un contratto d'opera o per prestazioni professionali stipulato da uno degli enti ivi indicati non potrebbe essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato neppure se le concrete modalità di svolgimento del rapporto stesso (...) siano quelle proprie del lavoro subordinato>>, in quanto <<un siffatto significato normativo (è) in contrasto con il dettato costituzionale>> (sentenza n. 115 del 1994);

che detta interpretazione è stata fatta propria dalla Corte di cassazione, la quale si è pronunciata nel senso che dalla norma da ultimo richiamata non è dato inferire un più generale precetto secondo cui il rapporto descritto nel contratto come rapporto d'opera o di prestazione professionale non sia mai suscettibile di una diversa qualificazione neppure in caso di contrasto tra il contratto e le risultanze del rapporto svoltosi tra le parti;

che il Consiglio di Stato ha, a sua volta, dichiarato che nella predetta disposizione il legislatore si è limitato a sancire che non sono sussistenti gli obblighi previdenziali e assistenziali delle amministrazioni indicate all'art. 13, quando il rapporto posto in essere sia effettivamente riferibile ad un contratto d'opera o per prestazioni professionali, sicché non vi è alcuna preclusione legislativa al potere del giudice di qualificare diversamente il contratto, anche in contrasto con il nomen iuris ad esso dato dalle parti, quando quest'ultimo abbia dato luogo ad un'attività lavorativa con le modalità del lavoro subordinato;

che l'implausibilità per tutte queste ragioni del presupposto logico dell'ordinanza di rimessione relativamente al contenuto prescrittivo della norma in questione esclude la rilevanza della sollevata questione che, pertanto, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell'articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall'art. 38 del decreto legislativo 23 dicembre 1993, n. 546 (Ulteriori modifiche al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 sul pubblico impiego), nella parte in cui ha abrogato l'art. 13 della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in materia di finanza pubblica), come sostituito dall'art. 6-bis del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito con modificazioni nella legge 18 marzo 1993, n. 67 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, recante disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Brescia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 luglio 2000.