Ordinanza n. 295/2000

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ORDINANZA N. 295

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO  

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY   

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 609-bis del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 21 ottobre 1998 dal Tribunale di Crema nel procedimento penale a carico di T. M. ed altro, iscritta al n. 881 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1998.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 5 aprile 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

 Ritenuto che il Tribunale di Crema ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 609-bis del codice penale, introdotto dalla legge 15 febbraio 1996, n. 66 (Norme contro la violenza sessuale), in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, per violazione del principio di determinatezza della fattispecie incriminatrice;

che il Tribunale rimettente premette in fatto di essere chiamato a giudicare due soggetti nei cui confronti era stata elevata l’imputazione, <<fra l’altro, del reato previsto e punito dall’art. 609-bis cod. pen.>>;

che ad avviso del giudice a quo la disposizione denunciata - che punisce con la pena della reclusione da cinque a dieci anni chiunque costringe taluno a compiere o subire atti sessuali, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità (primo comma), ovvero abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa o traendola in inganno (secondo comma, nn. 1 e 2), e prevede nel terzo comma una diminuzione della pena in misura non eccedente i due terzi nei casi di minore gravità - accomunando sotto un’unica previsione fatti che prima integravano i distinti reati di violenza carnale e di atti di libidine violenti e unificando le condotte incriminate mediante la locuzione "atti sessuali", senza ulteriore descrizione o definizione, difetta di determinatezza, non essendo rinvenibile nel linguaggio corrente e nella letteratura scientifica una nozione comunemente e univocamente accettata di atto sessuale;

che, al riguardo, il Tribunale rimettente rileva che la stessa giurisprudenza <<presenta non pochi esempi dai quali si può desumere l’assenza di un significato consolidato e pacifico della suddetta locuzione>>, al punto che il medesimo comportamento - un bacio sulla guancia e sul collo e un tentativo di bacio sulla bocca - è stato in un caso ritenuto penalmente non sanzionabile e in un altro ricondotto al previgente delitto di atti di libidine violenti;

che, a causa dell’eccessiva genericità e indeterminatezza della nuova locuzione di sintesi "atti sessuali", l’individuazione dell’atto sessuale penalmente rilevante in ogni fattispecie concreta verrebbe interamente rimessa alla discrezionalità interpretativa del giudicante: con il pericolo di <<vistose disparità di trattamento, inaccettabili dalla coscienza sociale, anche in considerazione del fatto che l’art. 609-bis c.p. prevede sanzioni ispirate a severo rigore>>;

che a sostegno delle proprie argomentazioni il giudice rimettente riporta ampi stralci della motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 1981, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del reato di plagio;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata;

che in prossimità dell’udienza l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, rilevando che la fattispecie configurata nell’art. 609-bis cod. pen. risulta determinata con sufficiente precisione e non si pone dunque in contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost., qualora si interpreti la nozione di "atti sessuali" alla luce della nuova collocazione dei delitti così detti "sessuali" fra i reati contro la libertà personale;

che tale collocazione, indicativa della volontà del legislatore di individuare nella libertà di autodeterminazione sessuale il bene giuridico tutelato dalla norma e corrispondente ad un nuovo comune modo di sentire, dovrebbe orientare l’interprete a ritenere punibili gli atti che violino la libertà sessuale intesa come estrinsecazione di un diritto fondamentale della persona che coinvolge la sfera della sessualità, così come affermato, in alcune recenti pronunce, dalla Corte di cassazione;

che, osserva ancora l’Avvocatura, ove <<si richiedesse una maggiore specificità rischierebbero di rimanere impuniti comportamenti non specificamente previsti dal legislatore ma ugualmente lesivi della libertà personale nel suo aspetto della libera determinazione della sessualità>>.

Considerato che il giudice rimettente omette completamente di descrivere i fatti sottoposti al suo giudizio, limitandosi ad affermare di essere chiamato a giudicare due soggetti imputati, tra l'altro, del delitto previsto dall'art. 609-bis cod. pen.;

che dallo stesso tenore dell'ordinanza di rimessione e, in particolare, dagli esempi richiamati dal giudice a quo a sostegno dell'incertezza che la giurisprudenza avrebbe dimostrato in ordine agli esatti confini della condotta incriminata, emerge che i supposti profili di indeterminatezza della nozione di "atti sessuali" di cui all'art. 609-bis cod. pen. vengono proiettati dal rimettente sulla soglia minima di quei comportamenti che, vigente l'originaria disciplina del codice penale, erano potenzialmente riconducibili al modello legale degli atti di libidine violenti (art. 521);

che, così delimitata la censura di illegittimità costituzionale, l’omessa descrizione dei fatti contestati non consente alla Corte di verificare la rilevanza della questione;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per carenza di motivazione sulla rilevanza (v., per analoga decisione relativa ad una questione sollevata sull'art. 519, secondo comma, numero 1, dell’originaria disciplina del codice penale, ordinanza n. 404 del 1987).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art.609-bis del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Crema, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 luglio 2000.