Ordinanza n. 291/2000

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 291

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e 5 del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 203 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 18 dicembre 1997, n. 471, 18 dicembre 1997, n. 472 e 18 dicembre 1997, n. 473, in materia di sanzioni amministrative tributarie) e degli artt. 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 18 giugno 1999 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra "Duebi s.r.l." e il Comune di Milano, iscritta al n. 537 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che nel corso di un procedimento vertente tra la "s.r.l. Duebi", con sede in Milano, ed il Comune di Milano (ricorso depositato il 10 aprile 1998, con decreto di fissazione e sospensione 21 aprile 1998),nel quale era stato chiesto l'annullamento di molteplici verbali di accertamento di violazioni del regolamento comunale sulla pubblicità del Comune di Milano, il Pretore della stessa città ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e 5 del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 203 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 18 dicembre 1997, n. 471, 18 dicembre 1997, n. 472 e 18 dicembre 1997, n. 473, in materia di sanzioni amministrative tributarie) e degli artt. 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non prevedono l'immediata ricorribilità al giudice naturale dei diritti, da parte del cittadino, a fronte della notifica di sanzioni amministrative, differendo la stessa ad un tempo futuro ed indeterminato, a differenza della precedente normativa;

che il giudice a quo, dopo aver preliminarmente ricostruito il quadro normativo di riferimento in materia di sanzioni amministrative, sottolinea come il meccanismo della normativa di cui alla legge n. 689 del 1981 (combinato disposto degli artt. 16, 18 e 22) appaia lesivo dei diversi principi costituzionali;

che, secondo l'ordinanza di rimessione, la nuova normativa, per un verso, ammette il pagamento della sanzione amministrativa in misura ridotta (pari alla terza parte del massimo), entro il termine tassativo di sessanta giorni (art. 16); per altro verso, contempla solo la possibilità di presentare, al fine di contestare l'atto notificato, scritti difensivi e documenti, senza, peraltro, prevedere alcun termine finale entro cui l'amministrazione locale debba rispondere, con la conseguenza di non poter più adempiere nella misura ridotta, giacché l'ordinanza-ingiunzione che segue (la quale peraltro, costituisce già titolo esecutivo e solo avverso di essa è ammesso il ricorso al giudice ordinario) interverrebbe molti anni dopo la contestazione della sanzione;

che, sul punto della rilevanza, il giudice a quo si limita ad osservare che l'eccezione avanzata, nel corso del giudizio, dall'amministrazione comunale, si basa, infatti, sul rilievo secondo cui l'art. 22 della legge n. 689 del 1981 - applicabile in base al sopravvenuto d.lgs. 5 giugno 1998, n. 203 - non ammetterebbe, avverso i verbali di accertamento, il ricorso al Pretore, bensì soltanto avverso le ordinanze-ingiunzione, con la conseguenza che, ove fosse accolta detta pregiudiziale, il ricorrente non avrebbe, allo stato, alcuna difesa giudiziale dei propri diritti, con conseguente violazione dell'art. 24 della Costituzione;

che il vulnus all'art. 3 della Costituzione verrebbe ravvisato sul rilievo che tutta la evoluzione legislativa in tema di sanzioni amministrative sarebbe andata verso la piena ed immediata tutela giudiziale (così, ad esempio, il d.lgs. n. 472 del 1997, art. 18; il d.l. n. 79 del 1995, convertito in legge n. 172 del 1995; la legge n. 481 del 1995 e la legge n. 249 del 1997), mentre ciò non avverrebbe nei confronti dei cittadini colpiti da sanzioni nel settore pubblicitario;

che gli artt. 18 e 22 della legge n. 689 del 1981 vengono censurati anche in relazione alla circostanza secondo cui essi distolgono il cittadino dal proprio giudice naturale, giacché impongono la possibilità di presentare scritti difensivi alla stessa autorità che ha emesso la sanzione e dilazionano ad un tempo futuro ed indeterminato il ricorso al giudice ordinario;

che quanto, poi, ai vizi denunciati in relazione al d.lgs. n. 203 del 1998, il giudice a quo osserva che, in particolare, con l'art. 4, comma 3, è stato rimessa in vigore, per di più con efficacia retroattiva (art. 5 del d.lgs. n. 203 del 1998: dal 1° aprile 1998, essendo stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 1° luglio 1998), la vecchia normativa di cui alla legge n. 689 del 1981, che era stata sostituita dai decreti legislativi nn. 471, 472 e 473 del 1997, che hanno regolamentato le sanzioni in materia di tributi locali (in particolare, l'art. 12, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 473 del 1997);

che, pertanto, sempre secondo il giudice a quo, alla luce dell'art. 25 della Costituzione e dell'art. 11 delle preleggi, le suddette norme del 1998 non possono non apparire inficiate da evidente incostituzionalità, anche nella considerazione che tale retroattività non troverebbe alcuna adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza;

che nel giudizio introdotto con l’ordinanza di cui sopra è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito, preliminarmente, un profilo di inammissibilità, giacché il giudice a quo non avrebbe censurato l’art. 16 della legge n. 689 del 1981, norma che stabilisce il termine perentorio di 60 giorni per il pagamento della misura ridotta, concludendo nel merito per la infondatezza della questione. In particolare ha osservato che la modifica introdotta dal decreto legislativo n. 203 del 1998 si sarebbe resa necessaria per ovviare all’operato del legislatore, il quale, a decorrere dal 1° aprile 1998, aveva erroneamente esteso alle violazioni di carattere amministrativo non tributario l’applicazione delle nuove sanzioni tributarie (modifica introdotta dall’art. 12, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 473 del 1997);

che, secondo la difesa erariale, l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 203 del 1998 si porrebbe come norma interpretativa e, come tale, certamente con natura retroattiva.

Considerato che l’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale è manifestamente carente nella motivazione sulla rilevanza - nonostante sia ampiamente diffusa sui vizi denunciati ripresi pedissequamente dalla memoria di parte privata - per un duplice ordine di deficienze: a) per quanto riguarda la mancata considerazione del momento determinante della giurisdizione e della competenza, in relazione ai sopravvenuti (rispetto alla proposizione della domanda 10 aprile 1998) mutamenti legislativi alla luce dell'art. 5 del codice di procedura civile (nel testo modificato dall'art. 92, comma 1, della legge 26 novembre 1990, n. 353 e dall'art. 6 del d.l. 7 ottobre 1994, n. 571, convertito in legge 6 dicembre 1994, n. 673); b) in ordine al pacifico intervenuto annullamento di ufficio da parte del comune di una parte dei verbali (n. 44) ed al pagamento dell'oblazione per gli altri verbali (n. 83), per cui incombeva al giudice di esplorare preliminarmente la possibilità che il giudizio potesse essere deciso, in tutto o in parte, indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale;

che di conseguenza deve essere dichiarata la manifesta inammissibilità della questione.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, e 5 del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 203 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 18 dicembre 1997, n. 471, 18 dicembre 1997, n. 472 e 18 dicembre 1997, n. 473, in materia di sanzioni amministrative tributarie) e degli artt. 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 113 della Costituzione, dal Pretore di Milano, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 14 luglio 2000.